È Pasqua: cambia il tuo punto di vista!

Siamo prossimi alla Pasqua e non avrei mai immaginato di viverla di nuovo blindata in casa per la pandemia. E voi?
Vorrei dirvi che presto finirà, trovare frasi di incoraggiamento e ottimismo, ma come voi anch’io sono stanca, perché è un anno che rispetto diligentemente le regole ed esco solo per lavorare.
Come molti di voi, niente più socialità, trekking in montagna, passeggiate al lago o al mare.

Col passare dei mesi sono venute meno la pazienza, la tolleranza, la comprensione, la speranza. E sono cresciute la stanchezza, l’esasperazione, la frustrazione, l’ansia.

Sembra proprio che tutto vada male… E questo malessere è così diffuso che i prodotti maggiormente pubblicizzati in TV sono proprio quelli contro l’insonnia, l’ansia, l’irritabilità, il mal di stomaco e di testa.
Zero energia, zero positività. Che disastro!

Quindi cosa fare?
Ripiegarci su noi stessi? Abbandonarci all’apatia? Arrenderci alla negatività?

Per me è inaccettabile!
Non voglio abbattermi né violare le regole, perciò l’unica cosa da fare è “cambiare punto di vista”.

Al posto di ascoltare di continuo il mio disagio, che in alcuni momenti è assordante, ho scelto di “dargli un piccolo spazio” nell’arco della giornata.
Per il resto, al posto di elencare tutto ciò che mi manca (nel lavoro, vita sociale, salute, famiglia, ecc.), ho scritto una lista di tutto ciò che posso ancora fare, nonostante le restrizioni e, per aiutare le persone che amo, ho inventato “sfide” sportive (da condividere grazie ad un’app) che alimentano la motivazione a stare nel verde, organizzare al meglio la giornata, avere uno scopo, prendersi cura di sé.

Un amico che purtroppo è stato colpito da una malattia degenerativa, che lo paralizzerà per sempre, mi ha detto: “Ogni giorno penso a quel poco che posso ancora fare, piuttosto che a tutto quello che sto perdendo”.

E per me è un grande esempio, perché se nella nostra vita possiamo ancora muoverci, non importa andare in montagna o al mare.
Possiamo anche camminare al parco vicino a casa.

Questo è il concetto: usare il pensiero creativo per trovare soluzioni che ci facciano stare bene, pur nella difficoltà.

E allora prendiamo esempio anche dai ragazzi, che hanno organizzato party virtuali, aperitivi a distanza, incontri all’aria aperta…

Siamo noi a scegliere come reagire.
Perciò domandiamoci: “Che cosa vogliamo?”.
Crogiolarci nelle nostre emozioni negative o reagire e trovare nuovi modi per coltivare un po’ di serenità?

Aiuta tuo figlio ad affrontare le difficoltà come fossero “avventure irripetibili”.

Il problema di cui mi parlano spesso i ragazzi è la paura di affrontare prove e sfide.
Una paura che spesso li blocca e impedisce loro di ottenere il risultato che desiderano.

È il timore di sbagliare, il terrore di fallire, il disagio di essere giudicati.

La soluzione che di solito indichiamo loro è l’impegno: “studia di più” per migliorare i tuoi voti, “allenati di più” nello sport, “esercitati più ore” nel caso suonassero uno strumento o danzassero.
E non è un consiglio sbagliato, ma… Nonostante questo, rendono poco.
Come mai?
Perché si tratta di una “questione mentale”!

Provate a far guardare loro “la difficoltà” che devono affrontare come fosse “un’avventura irripetibile”.

Sì, usate proprio queste parole: avventura irripetibile… E aprirete loro una porta.
Pensate un po’ al significato di queste parole, all’immagine che trasmette e alle emozioni che può suscitare…

La parola “avventura” stimola il desiderio di viverla e questo fa provare “grinta”, coraggio e non paura e resa.
E quando ci dicono che qualcosa è “irripetibile”, sentiamo che è un’occasione speciale, unica, da non perdere.

Ci rendiamo conto che non ci sarà un’altra prova o esperienza identica a quella che dobbiamo e vogliamo affrontare.

La verifica, l’interrogazione, l’esame universitario piuttosto che la gara, il torneo, il concorso sono tutti momenti irripetibili, unici… Ed è questo il bello!

Perciò vale la pena affrontarli con l’animo di un vincente, perché chi si sente così va incontro alla prova con determinazione e non come una vittima sacrificale.

Le difficoltà sono lì per essere superate e vanno affrontate come si fa con le migliori avventure della Vita!

Difendiamoci da chi ci butta addosso i suoi pesi!

Avere a che fare, per lavoro, con molte persone non è facile, ma io l’ho sempre trovato stimolante…
In questi ultimi mesi, però, è diventato particolarmente pesante, perché molti si sentono liberi di “vomitare addosso agli altri” le loro frustrazioni e tensioni, di liberarsi dei loro pesi gettandoli addosso al primo che capita sotto tiro.
L’avete notato anche voi?

Settimana scorsa mi è successa una cosa sgradevole: una persona, senza verificare i fatti né parlare direttamente con me, mi ha scritto un’email dai toni accesi, mettendomi in bocca frasi mai pronunciate.
Leggere quelle frasi mi ha inizialmente sbalordita, poi irritata non poco.
Odio “buttare” il mio tempo in questioni futili, ma sono convinta che certe persone abbiano molto da imparare su come interagire con gli altri. Perciò ho risposto.
Niente polemiche, né giudizi, ma una sana e precisa analisi della situazione.
A quel punto, è seguita una lettera di scuse in cui la persona ammetteva di aver scritto in modo impulsivo e si giustificava dicendo che “è un brutto periodo”.

La prima immagine che ho avuto è quella di una pattumiera in cui si scaricano i rifiuti, per liberarsene.
In fondo quella persona ha fatto proprio così, ma io che cosa c’entravo?
E la seconda cosa che mi ha colpita è stata la giustificazione, della serie: ti tratto male, ma quando me lo fai notare, allora ti dico che è un periodo difficile.

Già, ma ormai il danno è fatto.
E se io non fossi una persona assertiva?
E se fossi timida, incapace di difendermi?
Che effetto avrebbe avuto su di me il suo sfogo?

Certo, se si trattasse di un bambino, non sarei qui a parlarvene, perché i bimbi sono focalizzati su di sé e non riescono a tener conto degli altri. Glielo dobbiamo insegnare. Ma un adulto…

Vivere come isole, focalizzati solo su noi stessi, guardando solo ai nostri problemi e dando per scontato che gli altri non ne abbiano, non ci fa onore.

Sono tre mesi che combatto col dolore e una mobilità limitata di un arto, ma non per questo aggredisco le persone che incontro.
E nemmeno mi lamento, perché immagino che tutti abbiano un peso da portare.
Perciò, quando siamo stanchi, frustrati e preoccupati, proviamo a pensare che anche gli altri possono esserlo.
Colleghiamo cuore e mente, prima di parlare o scrivere: partiamo dal presupposto che gli altri non c’entrano con il nostro malumore e magari diciamoglielo.

Non scarichiamo “la nostra immondizia” sugli altri.

Facciamo lo sforzo di trattenerci e di scaricare le tensioni in altro modo, più sano. Magari camminando.

Abbiamo tutti il diritto di vivere un disagio, ma non di appesantire quello degli altri.

Riflettiamo su questo, per migliorarci e per rendere migliore il nostro rapporto con gli altri.
Non siamo “al centro dell’universo” e non ruota tutto attorno a noi: ci sono anche gli altri.

Il 2020 che finisce… è davvero tutto da buttare?

Il 2020 sta per scomparire, ma di lui parleranno i libri di storia.
Tutti non vedono l’ora che si chiuda, ricordando tutto il male che ha provocato: morti, ospedali al collasso, economia in ginocchio, perdita del lavoro, paura e lacrime.
Ha stravolto anche la nostra vita, togliendoci quelle certezze che davamo per scontate, come frequentare la scuola in presenza.

Ci ha tolto quei gesti spontanei che caratterizzavano il nostro essere umani, come le strette di mano, gli abbracci, i baci.
Ci ha tolto persino la possibilità di mostrare le nostre emozioni attraverso le espressioni del viso.
E abbiamo smesso di vedere sorrisi e risate, con l’uso della mascherina.

Ci siamo divisi in negazionisti, complottisti e non. E ci siamo scagliati gli uni contro gli altri.

Abbiamo scandito le nostre giornate sulla base dei dpcm a cadenza quindicinale.
Ci siamo sentiti confusi, spaventati, persi.

Abbiamo imparato a rispettare le regole per proteggerci e per proteggere le persone che amiamo, come i nonni o i genitori anziani.
Abbiamo accettato, sconvolti, di fare ore di coda per comprare cibo o medicine.
E durante il lockdown abbiamo trasformato le nostre case in uffici, aule scolastiche, palestre e panetterie.

La tecnologia, che spesso avevamo criticato aspramente, ci ha permesso di restare in contatto, di “vederci” attraverso uno schermo, di pranzare insieme seppure a distanza.

È ormai un anno che viviamo così e a volte ho quasi paura di dimenticarmi com’era la vita prima del Covid-19.

Molti infatti, perdendo la speranza, sono caduti in depressione, mentre altri hanno sviluppato paure e sindromi che impediscono loro di vivere a colori.

Un anno quindi da cancellare, da dimenticare, da sotterrare… o forse no, perché ci ha scossi così tanto dal nostro torpore, dal nostro dare tutto per scontato, acquisito, certo, da rimettere in discussione la scala dei nostri valori.

La Vita e la salute sono tornate al primo posto. Così come la famiglia e gli affetti.

Famiglie che si incontravano a mala pena la sera, a cena, si sono ritrovate a mangiare insieme, guardandosi negli occhi. Non più pasti veloci per poi uscire o badare ai propri impegni.

Il tempo si è dilatato. L’abbiamo dovuto riempire.
E allora abbiamo riscoperto la bellezza di stare insieme.

La casa, da carcere, è diventata “nido”: un luogo sicuro e pieno di calore.
Abbiamo visto genitori e figli sui balconi, cantare insieme e appendere messaggi di incoraggiamento, ma anche cucinare e fare ginnastica insieme.

Una condivisione impensabile, senza il Covid-19.

E allora non è un anno da buttare via.
Ci ha dimostrato che gli affetti sono la vera ricchezza; che i figli sono impegnativi, ma stare con loro dà gioia; che i genitori sono un punto di riferimento importante e che i nonni mancano, quando non si possono incontrare.

Gli studenti hanno scoperto di apprezzare così tanto la scuola in presenza, da sentirsi tristi e demotivati, senza.
Ciascuno di noi, poi, si è potuto “guardare dentro”, facendosi domande che mai si sarebbe posto se avesse continuato a correre, dividendosi tra lavoro e impegni vari.

Abbiamo rivalutato certe amicizie e deciso di cancellarne altre, perché superficiali e false.
Abbiamo avuto tempo per guardare negli occhi il nostro partner e ricordarci perché l’abbiamo scelto, apprezzandone il sostegno e le qualità.

Sì, lo so, non per tutti è stato così… Ma siamo così abituati a cogliere il peggio che c’è, da scordarci ciò che di positivo può regalarci un anno…
Eh, sì, anche un anno come questo.

Buon 2021!

Se pretendi di “controllare tutto”, ti rovini la vita!

Quante volte ti hanno detto “Dai, rilassati!”, “Vivi con un po’ di leggerezza!”, “Smettila di voler controllare tutto!”.
E come ti sei sentito? Probabilmente frustrato, incompreso, infelice.
Magari ti sei chiesto se effettivamente stai esagerando o se sono “gli altri” a essere troppo superficiali, lasciando andare le cose così come vanno. Magari hai provato una sorta di invidia per chi vive senza la pretesa di controllare tutto e tutti.

E allora facciamo chiarezza.

Non c’è niente di male né di sbagliato in te, se sei solito fare un’adeguata verifica di come stanno andando le cose nella tua vita (lavoro, relazioni, ecc), anzi, ben venga! E’ utile.
Se invece è un bisogno irrinunciabile, che ti procura ansia, inquietudine, nervosismo, persino terrore, allora parliamo di “ipercontrollo”.

Forse ne hai sentito parlare in termini di “mania di controllo”, cioè quando pretendiamo di prevenire ciò che è imprevedibile, come il comportamento altrui e le situazioni. In poche parole, il nostro voler controllare tutto non è sano e dovremmo lavorarci sopra per vivere in modo più sereno.

Già mi immagino la reazione… “Chi? Io? Mica ho la mania del controllo!”.

Allora proviamo a descrivere chi ce l’ha:

  • Perde serenità di fronte alle situazioni incerte.
  • Ha sempre paura di commettere errori.
  • Ha difficoltà a gestire lo stress.
  • Sente un bisogno costante di essere rassicurato.
  • Non ha fiducia nelle capacità degli altri.
  • Sente su di sé un eccessivo carico di responsabilità.
  • Proprio non riesce a lasciare al caso neppure il dettaglio più insignificante.

Scommetto che ora dirai: “Oh, cavolo! Sono io!” oppure “Oddio!, assomiglia a mia moglie/marito!” o ancora “Sembra che parli di mia madre/padre… E se fosse davvero così?”.

Togliti alcuni dubbi!

Chi è maniaco del controllo spesso pone eccessiva attenzione al proprio corpo, in termini di alimentazione e cura di sé, oppure ha l’ossessione per l’ordine e la pulizia, nel senso che è terrorizzato da germi, sporco e disordine. Pretende di tenere sotto controllo i figli, il partner e, al lavoro, si dimostra perfezionista e intransigente… Insomma, vive proprio male!

Sì, perché – se sei così – non sopporti le novità, gli imprevisti, e non riesci a delegare, così fai tutto tu ed esaurisci le tue energie.

Dimmi la verità… anche il tuo fisico ne risente, vero?
Sì, perché per avere tutto sotto controllo il corpo è in continua tensione muscolare e si irrigidisce. La conseguenza è un costante senso di stanchezza e spossatezza.

Ti ci ritrovi?
Ti va di migliorare? Già, perché è possibile: non è che si nasce così.
Si può essere predisposti, ma non è genetico. Bella notizia, vero?

Allora inizia da qui:

  • Non censurare le tue emozioni, perché è frustrante. Semmai impara a gestire la rabbia, la tristezza, il senso di colpa.
  • Se la mania di controllo ti procura gravi crisi d’ansia o attacchi di panico, cerca un bravo psicologo/psicoterapeuta per farti curare.
  • Guarda in faccia il tuo sforzo di fare ordine, di prevedere l’imprevedibile, di non farti trovare impreparato: renditi conto che è un bisogno interiore e non c’entra con l’impegno e la responsabilità (perciò… non raccontartela!).
  • Diventa consapevole di esserti chiuso in una gabbia, dove tutto deve andare come vuoi, in modo perfetto; dove tu devi mostrarti impeccabile, indipendente, efficiente, senza che nessuno te l’abbia mai chiesto.
  • Prova ad essere più spontaneo, più “vero”: togli la maschera, almeno un pochino. Nessuno ti giudicherà!
  • Smettila di arrabbiarti per come va il mondo: la politica, l’economia, la società. Domandati: “Cosa posso fare concretamente per cambiare le cose?” e poi fallo. Ma se capisci di non poter intervenire… lascia perdere. Vai oltre!
  • Rompi la routine: ogni tanto cambia qualcosa. Magari scegli un nuovo percorso per andare al lavoro o pranza in un bar diverso dal solito.
  • Se qualcosa va storto, prova a dirti: “Ho commesso un errore” e non “Sono un disastro!”.

E ricorda:
“Tutto quello che non riesci a controllare ti sta insegnando a lasciar andare.”   (Jackson Kiddard)

Non permettere a nessuno di influenzare le tue scelte!

Oggi una giovane 23enne, che lavora come estetista da quando aveva 16 anni, mi ha confidato il suo desiderio di conseguire la maturità per guardare avanti e magari frequentare l’università, non tanto per fare un lavoro diverso, quanto per acculturarsi.
Mi sono brillati subito gli occhi, perché quando “sento” in una persona  il desiderio di conoscere e imparare… il cuore mi batte forte e provo una gioia che mi è impossibile descrivere a parole.
Essendo Coach e anche docente, l’ho subito tempestata di domande. Ha risposto in modo consapevole circa le difficoltà, ma quel “fuoco”, quel desiderio di farcela si avvertiva forte. Così le ho dato qualche dritta su come orientarsi per frequentare il quinto anno e poi la maturità.
Non era spaventata.
Mi ha detto con aria seria:
“Io lo so che posso farcela! Perché quando mi metto in testa una cosa… non mi ferma nessuno!”. Poi però ha aggiunto: “E’ solo che nessuno crede in me! Il mio fidanzato dice che non ha senso e mio padre mi scoraggia, forse perché ha paura che io fallisca”.

Il suo sguardo era cambiato: aveva perso luce.
Gli occhi bassi e un filo di voce: “Se almeno appoggiassero questa mia idea, che non è un capriccio! Invece…”.
Il suo era un dialogo intimo con se stessa… e chissà da quanto tempo lo era.

Credo che sia capitato a molti di trovarsi in una condizione simile.
Certamente  più a “femmine” che a maschi.
E allora parliamone!

Perché quel mancato appoggio, anche se solo psicologico e affettivo, fa male, ferisce, fa sentire poco adeguate e non c’è niente di peggio.

E’ la speranza, il desiderio, l’obiettivo da raggiungere – pure con gran fatica – che tengono alta la motivazione. Ma se si è circondati da familiari, partner e amici che non fanno altro che incutere paura e insinuare dubbi… Beh, la strada da percorrere è ancor più in salita e certamente contro vento.
Qui viene fuori di che stoffa siamo fatti!
Se cioè siamo pronti a camminare contro vento, contro tutti, oppure se siamo così deboli o così incerti da dubitare noi stessi della bellezza (e validità) del nostro progetto e quindi rinunciarci.

Per esperienza posso dire che , se quel “fuoco” ci brucia dentro e abbiamo valutato che non si tratta di un fuoco di paglia né di un salto nel vuoto, allora non dobbiamo ascoltare chi cerca di allontanarci dal nostro obiettivo.

Smettiamola di voler condividere ciò che desideriamo fare con chi – parente o meno – non solo non ci capisce, ma fa di tutto per farci rinunciare.

Parliamo di meno e agiamo di più!

Iniziamo a scrivere ciò che vogliamo  raggiungere e a pensare a tutti i passaggi necessari per ottenere più informazioni possibili.
Teniamo nota di tutto ciò che scopriamo.
Cerchiamo di approfondire più che possiamo, facendo domande alle persone competenti.

Non rinunciamo!

Quando la “luce” finalmente si accende nei nostri occhi… è il momento di essere felici!
E per esserlo, non serve l’approvazione degli altri.

Perciò… seguiamo  la nostra strada!

 

Donne, criticare il partner con le amiche non fa bene a voi e nemmeno alla coppia.

Quante di noi, tra donne, non hanno mai ridicolizzato il partner perché non sa mai dove si trovano le cose in casa? Perché non ricorda ciò che gli abbiamo detto due minuti prima? Perché sembra non essere autonomo…?

Ieri ero in un negozio di parrucchiera quando è entrata una donna che conosco di vista: nonna di due bambini a cui bada, età – immagino – 65 anni… magari qualcuno di più, ma molto attiva: spesso alla guida della sua auto o in bici. So chi è il marito, ma li ho visti di rado insieme. Lei arcigna e lui educato e sorridente.

Ad un certo punto, la donna attacca con delle critiche feroci sull’universo maschile.
La parrucchiera ed io inizialmente ridacchiamo più per un senso di solidarietà femminile che per i concetti espressi, ma poi la situazione si fa imbarazzante.

La signora – con tono duro e aria seccata – esclama: “Ah! Per carità! Noi sì siamo autonome, ma loro?! Non sanno neanche trovare i calzini nei loro cassetti! Diciamo la verità: a cosa servono? Sì, vabbè, a fare figli e un po’ di sesso, ma se una donna lavora e non vuole figli… che se ne fa di un marito?!”.

Ero basita.
Basita e a disagio. Niente più sorrisi né risatine. Altro che solidarietà femminile!
Spero che quello della signora sia stato uno sfogo… anche se non ne sono molto convinta.

Ripensando alla feroce osservazione mi domando: Qual è lo scopo?

Sminuire il marito? Calpestare tutti gli uomini? Gridare la sua frustrazione nei confronti del matrimonio? Ribadire in modo femminista la superiorità delle donne?

Qualunque sia il motivo, al suo matrimonio non farà certo bene, perché esprimere critiche così pesanti (senza dubbio riferite al marito) non aiuta la relazione: la uccide.

Ci sono donne, infatti, che si aspettano che la vita di coppia implichi automaticamente la complicità col partner. Credono sia una cosa naturale, ovvia, spontanea. Invece non è così.
La complicità va costruita giorno dopo giorno attraverso l’ascolto attento, la condivisione, l’incontro, il guardarsi e lo stare bene insieme. Non si tratta di idillio, ma di partecipazione, intimità, persino gioco.

La critica separa e allontana dalla complicità.

Criticare l’altro aspramente perché non fa, non dice, non soddisfa le nostre aspettative non lo farà migliorare, ma soltanto allontanare.
Far notare all’altro in malo modo che “non ci arriva”, non lo farà cambiare, ma gli comunicherà tutta la nostra disistima.

Perciò… se qualcosa non ci va bene, se desideriamo tanto che l’altro modifichi un suo comportamento, CHIEDIAMOGLIELO.
Consiglio frasi che comincino così: “Avrei bisogno / necessità…”, “Mi farebbe piacere che tu…”.

Nessun partner è perfetto, neanche il nostro, ma criticarlo con le amiche non solo rende vulnerabile la coppia, ma è anche una mancanza di rispetto.

Se abbiamo scelto di vivere in coppia, allora dobbiamo proteggerla e difenderla: solo così potremo rinnovare quell’energia necessaria a rigenerarla.

La quarantena è finita, ma il tuo umore è peggio di prima? Ecco come uscirne!

L’estate è cominciata e le immagini dei carri militari che trasportavano bare sembrano dimenticate. La gente ha ricominciato ad uscire, a frequentare gli amici, i bar, i ristoranti. Tutto sembra tornato (quasi) come prima… E lo stato d’animo positivo con cui molte persone hanno ben affrontato l’isolamento, pare tornato negativo.

Eh, sì, perché non tutti si sono sentiti depressi nel dover rimanere per forza in casa. Ci sono infatti quelli che, senza esserne consapevoli, ci hanno persino guadagnato in termini di umore e hanno usato il tempo nel modo migliore, dedicandosi a lavori e attività di cui sono capaci e che hanno regalato loro soddisfazione e benessere.

Se ci pensate non è poi tanto strano.
Faccio un esempio: se mi trovassi sola in un periodo della vita, senza partner né amici, “essere obbligata” all’isolamento e sapere che nessuno può uscire a divertirsi… beh, potrebbe persino essere consolante. Stessa cosa se conducessi una vita estremamente stressante a causa del lavoro e ogni week-end mi trovassi così stanca da non avere nemmeno l’energia per uscire e distrarmi.

I conti sono presto fatti: durante la quarantena, sui social niente più foto di aperitivi, balli scatenati, paesaggi mozzafiato e cenette romantiche. Tutti chiusi in casa a postare foto dei piatti cucinati o a condividere video divertenti per tenere alto il morale.

Ma adesso…?

Ora che la vita torna a scorrere, i social si riempiono di miliardi di selfie: chi è in spiaggia, chi brinda con gli amici, chi gira in moto con la persona amata, chi organizza grigliate e chi cena a lume di candela col partner. Insomma… tutti sembrano felici e appagati…
Tranne chi era solo durante il Covid-19 e solo si ritrova.

Queste persone, purtroppo, ripiombano nella loro quotidianità pre-Covid, ovvero a quando si sentivano abbattute, tristi, in ansia per non avere quello che hanno gli altri (amici, partner, week-end speciali).
E “credono” alla felicità che gli altri postano sui social, trascorrendo tempo a sfogliare gli album altrui e convincendosi che loro una vita così non ce l’avranno mai!

Se solo sapessero quanta finzione c’è in molte di quelle foto!

Come certe coppie ritratte in mezzo agli amici, perché da sole non saprebbero cosa dirsi… O sorrisi che mascherano una enorme tristezza, un amore finito da tempo o un senso di vuoto incolmabile…Ma chi sente di nuovo l’enorme peso della solitudine, a questo non pensa. Vede tutto il negativo che c’è nella propria vita e tutto il (falso?) positivo nella vita degli altri e… sta male.

E allora?

Allora sarebbe meglio darsi un sano obiettivo, ovvero quello di non seguire più i profili degli pseudo-amici di FB per un po’.
Magari dargli un’occhiata solo una volta o due alla settimana e spendere il tempo per dedicarsi a qualcosa che piace e che non si poteva fare prima a causa della quarantena.

Prendere consapevolezza del fatto che molte persone vivono solo “in vetrina” e che la felicità che mostrano è spesso apparente.

E se si è soli, al posto di considerarla una sfortuna o una tragedia, guardare alle mille opportunità che si possono cogliere, se si è disposti a mettersi in gioco. Perché essere liberi da legami permette di fare scelte che vanno incontro ai propri reali bisogni.

Perciò… ci si può iscrivere, ad esempio, a un gruppo che ama la fotografia e organizza uscite all’aperto o decidere di aggregarsi a gruppi che usano le ferie per fare il cammino di Santiago o la Via Francigena o ancora frequentare un corso di vela dove fare nuove amicizie.

Qualsiasi cosa va bene, purché trasmetta il piacere di vivere ai propri ritmi, seguendo i propri bisogni e desideri, senza essere frenati, ostacolati o condizionati da nessuno.

Vuoi affrontare al meglio le tue difficoltà? Allora sviluppa la pace interiore.

Cosa cerchiamo consapevolmente? Il lavoro, la salute, il denaro, il divertimento, la felicità…
Ma nel profondo siamo tutti alla ricerca della pace interiore, quella che ci permette di affrontare anche i momenti peggiori senza esitare, senza essere paralizzati dalla paura.

E cosa volere di più se non vivere senza paura (che è spesso legata ad esperienze del passato) e senza ansia (legata al pensiero del futuro)?
Per farlo, dobbiamo concentrarci sul momento presente, cercando di cogliere il meglio che possiamo.

E’ nell’oggi che possiamo trovare le occasioni, ma dobbiamo saperle vedere e volerle cogliere.
Invece siamo così focalizzati sul futuro, così lontano, così incerto, così fuori dal nostro controllo, che ci lasciamo scappare il meglio dell’oggi. Ma è solo il presente ciò che abbiamo veramente. E’ l’unica certezza.
Eppure noi ce la facciamo sfuggire.

Chi ha genitori ottantenni, è cresciuto sentendosi ripetere che “pensare solo all’oggi è da incoscienti”. Bisogna essere lungimiranti, ma ciò non vuol dire evitare di vivere il momento presente. Una cosa non esclude l’altra e, dato che al futuro pensiamo già continuamente, forse dovremmo cominciare a vivere giorno per giorno, assaporando ciò che abbiamo.

Basta pensare, pensare, pensare. Impariamo a godere di ogni piccolo momento e per farlo tiriamo il freno a mano. Sì, cioè, rallentiamo, fermiamoci di tanto in tanto.

La nostra vita è simile a un viaggio in cui ci sono delle soste, dei rallentamenti, dei momenti in cui ammiriamo il paesaggio dal finestrino e altri in cui dobbiamo accelerare. Ma comunque, viviamo istante dopo istante. E così dovremmo fare nella nostra quotidianità.

E allora iniziamo dalle piccole cose, come assaporare lentamente il cibo, ascoltare con attenzione ciò che ci viene raccontato, coltivare la gratitudine verso chi ci ha fatto del bene e dedicarci a un’attività che ci faccia provare gioia e soddisfazione.

Non servono grandi gesti per iniziare a sentirci in pace, ma di sicuro serve allenamento. Cercare la pace interiore è un lungo cammino, che non si può percorrere a tempo perso: richiede dedizione. Una dedizione però che poi regala uno stato di benessere veramente duraturo.

Perché, come dice, Lao Tzu:

Se sei depresso stai vivendo nel passato.
Se sei ansioso, stai vivendo nel futuro.
Se sei in pace, stai vivendo nel presente.

Ora che mi sono laureato, che lavoro faccio? Indicazioni pratiche per scoprirlo.

Mi auguro sempre che un giovane abbia il desiderio e la tenacia di proseguire gli studi frequentando l’università fino a laurearsi. E in effetti di ex studenti laureati ne ho davvero tanti e nelle discipline più varie: da ingegneria ad archeologia, passando per medicina, farmacia, fino ad arrivare a giurisprudenza.
Un nuovo giovane laureato!
Che gioia per tutti!
Ma poi… ?

Cosa succede se la laurea magistrale conseguita può aprire più porte, ma per questo manda in confusione chi se l’è conquistata?
Sì, cioè, sapere di poterla spendere in più settori, al posto di essere un vantaggio può diventare motivo di dubbi e incertezze sul da farsi.

Quale direzione prendere?
Dove inviare il proprio curriculum?

A meno che non si abbiano le idee veramente chiare sul “cosa fare da grandi”, questa ampia scelta può diventare ingombrante. Ancora di più se si sono già fatti due anni di esperienza con contratti a termine, che poi non sono stati rinnovati.

Avere quindi una laurea quinquennale (come ad esempio in giurisprudenza) e poterla spendere in più campi, ma non sapere in quali buttarsi, fa temere di sbagliare la scelta.
E così ci si immobilizza: si resta fermi a pensare, a valutare…
E intanto il tempo passa e l’ansia aumenta.
Un’ansia che, tra l’altro, viene accresciuta dalle frasi che i familiari e i parenti si sentono di esprimere. Mi riferisco ai cosiddetti consigli del tipo “perché non fai così? Perché non mandi il tuo curriculum lì?”…

E così, al posto di essere d’aiuto come vorrebbero, queste persone generano ancora più confusione. E quando si è confusi, gli altri lo notano e allora ricominciano con i loro consigli e le loro perle di saggezza, che fanno più danno che altro.

“Ma insomma, sei laureato, sì, ma ti devi accontentare!”.
E questa frase uccide i sogni, anche quelli nascosti che non si sono portati a galla.

La situazione quindi diventa questa: sapere di aver studiato qualcosa che si ama, desiderare di lavorare in quel campo, ma essere spinti ad accettare qualcosa di completamente diverso perché “ti devi accontentare”… Che dolore!

E mentre si è combattuti tra il proprio sogno e il doversi accontentare… si resta immobili.

Insomma è un cane che si morde la coda!
Ma come uscirne?

  • Innanzitutto prendere carta e penna e annotarsi un elenco di “mestieri” che ci interessa svolgere. Metterli poi in ordine di gradimento, compiendo questa operazione “di pancia”.
  • Affiancare a ciascun “mestiere” la spiegazione più dettagliata possibile del motivo per cui ci piacerebbe fare quel lavoro.
  • Verificare se in quella professione potremmo usare al meglio le nostre potenzialità.
  • Valutare se il ruolo, che andremmo a ricoprire, “risponde” (in una scala da zero a dieci) al nostro desiderio di realizzazione.
  • Partire dal primo punto della nostra lista e indagare meglio su tutto ciò che serve per svolgere quella professione (ovviamente annotarcelo).

E dopo aver spuntato tutti questi punti, cominciare a cercare indirizzi utili a cui far giungere il nostro curriculum.

La cosa importante, però, è procedere in questo ordine e non cercare a caso, mescolando rami e ruoli diversi senza prima aver chiarito con se stessi i propri desideri e bisogni.

Insomma… prima si prende la mira e solo dopo si spara.
Non viceversa!