Difendiamoci da chi ci butta addosso i suoi pesi!

Avere a che fare, per lavoro, con molte persone non è facile, ma io l’ho sempre trovato stimolante…
In questi ultimi mesi, però, è diventato particolarmente pesante, perché molti si sentono liberi di “vomitare addosso agli altri” le loro frustrazioni e tensioni, di liberarsi dei loro pesi gettandoli addosso al primo che capita sotto tiro.
L’avete notato anche voi?

Settimana scorsa mi è successa una cosa sgradevole: una persona, senza verificare i fatti né parlare direttamente con me, mi ha scritto un’email dai toni accesi, mettendomi in bocca frasi mai pronunciate.
Leggere quelle frasi mi ha inizialmente sbalordita, poi irritata non poco.
Odio “buttare” il mio tempo in questioni futili, ma sono convinta che certe persone abbiano molto da imparare su come interagire con gli altri. Perciò ho risposto.
Niente polemiche, né giudizi, ma una sana e precisa analisi della situazione.
A quel punto, è seguita una lettera di scuse in cui la persona ammetteva di aver scritto in modo impulsivo e si giustificava dicendo che “è un brutto periodo”.

La prima immagine che ho avuto è quella di una pattumiera in cui si scaricano i rifiuti, per liberarsene.
In fondo quella persona ha fatto proprio così, ma io che cosa c’entravo?
E la seconda cosa che mi ha colpita è stata la giustificazione, della serie: ti tratto male, ma quando me lo fai notare, allora ti dico che è un periodo difficile.

Già, ma ormai il danno è fatto.
E se io non fossi una persona assertiva?
E se fossi timida, incapace di difendermi?
Che effetto avrebbe avuto su di me il suo sfogo?

Certo, se si trattasse di un bambino, non sarei qui a parlarvene, perché i bimbi sono focalizzati su di sé e non riescono a tener conto degli altri. Glielo dobbiamo insegnare. Ma un adulto…

Vivere come isole, focalizzati solo su noi stessi, guardando solo ai nostri problemi e dando per scontato che gli altri non ne abbiano, non ci fa onore.

Sono tre mesi che combatto col dolore e una mobilità limitata di un arto, ma non per questo aggredisco le persone che incontro.
E nemmeno mi lamento, perché immagino che tutti abbiano un peso da portare.
Perciò, quando siamo stanchi, frustrati e preoccupati, proviamo a pensare che anche gli altri possono esserlo.
Colleghiamo cuore e mente, prima di parlare o scrivere: partiamo dal presupposto che gli altri non c’entrano con il nostro malumore e magari diciamoglielo.

Non scarichiamo “la nostra immondizia” sugli altri.

Facciamo lo sforzo di trattenerci e di scaricare le tensioni in altro modo, più sano. Magari camminando.

Abbiamo tutti il diritto di vivere un disagio, ma non di appesantire quello degli altri.

Riflettiamo su questo, per migliorarci e per rendere migliore il nostro rapporto con gli altri.
Non siamo “al centro dell’universo” e non ruota tutto attorno a noi: ci sono anche gli altri.