Quando essere assertivi non porta al risultato… Ecco cosa fare!

Spiego sempre ai miei coachee (clienti) quanto sia importante sviluppare una buona assertività, per saper dire di no e far valere i propri diritti e bisogni.
Essere capaci di farlo, cambia la vita e permette di avere maggiore autostima.
E non c’è un limite di età per diventare assertivi: i fortunati lo imparano da ragazzi, mentre gli over 40 ci arrivano con qualche sforzo in più.
Ma, per esperienza, posso dire che è un obiettivo raggiungibile, se ben guidati a farlo.

Quindi… se impariamo a essere assertivi abbiamo risolto tutti i nostri problemi… O no?

Antonella ne era convinta e ha faticato parecchio per diventarlo.
Poi, un giorno, nell’appartamento sopra il suo si è trasferita una giovane e chiassosa coppia con un bambino piccolo e un cane di taglia media. La sua tranquillità e serenità sono scomparse, perché la famigliola era indifferente alle più elementari norme di convivenza civile e quindi non c’era più pace.

Cosa fare, se non usare tutta l’assertività di cui era capace?

Mi spiegava di averle provate tutte: prima il dialogo diplomatico, poi una esplicita richiesta di “attenzione e comprensione” nei suoi confronti, per arrivare a una lettera attraverso l’amministratore, ecc.
Risultato? Nessuno!
Se non uno stato di esasperazione, con sentimenti che variavano dalla rabbia alla frustrazione.

Cosa ci insegna questo?

Che l’assertività non porta ad alcun risultato se si scontra con il menefreghismo dell’altro.
Possiamo essere capaci di far presente il disagio che ci procura l’altra persona col suo comportamento irrispettoso ed egoista, ma se l’altro è assolutamente sordo e indifferente alle nostre richieste, non risolveremo nulla.

Questo non vuol dire aver sprecato tempo ed energie.
Chi è assertivo ha indubbiamente una marcia in più, perché “combatte” e non subisce in silenzio.
Non si comporta da vittima, ma agisce per ottenere ciò che desidera.

Esiste, tuttavia, un limite: l’altra persona (con le scelte che fa, i comportamenti che assume, ecc).

E allora cosa possiamo fare?
Certamente non passare il tempo a lamentarci, sebbene a ragione.

Meglio concentrarci sul trovare soluzioni che dipendano “solo” da noi, che portino al nostro benessere, qualunque esso sia.

Decisioni da prendere con lucidità e rispetto del nostro modo di essere: dal mettersi i tappi nelle orecchie per sopportare i rumori molesti, alla scelta di rivolgersi ad un avvocato, fino alla decisione drastica di cambiare casa.

Le scelte sono soggettive, ma ci permettono di non subire.
E questo, chi è assertivo, lo sa!

Difendiamoci da chi ci butta addosso i suoi pesi!

Avere a che fare, per lavoro, con molte persone non è facile, ma io l’ho sempre trovato stimolante…
In questi ultimi mesi, però, è diventato particolarmente pesante, perché molti si sentono liberi di “vomitare addosso agli altri” le loro frustrazioni e tensioni, di liberarsi dei loro pesi gettandoli addosso al primo che capita sotto tiro.
L’avete notato anche voi?

Settimana scorsa mi è successa una cosa sgradevole: una persona, senza verificare i fatti né parlare direttamente con me, mi ha scritto un’email dai toni accesi, mettendomi in bocca frasi mai pronunciate.
Leggere quelle frasi mi ha inizialmente sbalordita, poi irritata non poco.
Odio “buttare” il mio tempo in questioni futili, ma sono convinta che certe persone abbiano molto da imparare su come interagire con gli altri. Perciò ho risposto.
Niente polemiche, né giudizi, ma una sana e precisa analisi della situazione.
A quel punto, è seguita una lettera di scuse in cui la persona ammetteva di aver scritto in modo impulsivo e si giustificava dicendo che “è un brutto periodo”.

La prima immagine che ho avuto è quella di una pattumiera in cui si scaricano i rifiuti, per liberarsene.
In fondo quella persona ha fatto proprio così, ma io che cosa c’entravo?
E la seconda cosa che mi ha colpita è stata la giustificazione, della serie: ti tratto male, ma quando me lo fai notare, allora ti dico che è un periodo difficile.

Già, ma ormai il danno è fatto.
E se io non fossi una persona assertiva?
E se fossi timida, incapace di difendermi?
Che effetto avrebbe avuto su di me il suo sfogo?

Certo, se si trattasse di un bambino, non sarei qui a parlarvene, perché i bimbi sono focalizzati su di sé e non riescono a tener conto degli altri. Glielo dobbiamo insegnare. Ma un adulto…

Vivere come isole, focalizzati solo su noi stessi, guardando solo ai nostri problemi e dando per scontato che gli altri non ne abbiano, non ci fa onore.

Sono tre mesi che combatto col dolore e una mobilità limitata di un arto, ma non per questo aggredisco le persone che incontro.
E nemmeno mi lamento, perché immagino che tutti abbiano un peso da portare.
Perciò, quando siamo stanchi, frustrati e preoccupati, proviamo a pensare che anche gli altri possono esserlo.
Colleghiamo cuore e mente, prima di parlare o scrivere: partiamo dal presupposto che gli altri non c’entrano con il nostro malumore e magari diciamoglielo.

Non scarichiamo “la nostra immondizia” sugli altri.

Facciamo lo sforzo di trattenerci e di scaricare le tensioni in altro modo, più sano. Magari camminando.

Abbiamo tutti il diritto di vivere un disagio, ma non di appesantire quello degli altri.

Riflettiamo su questo, per migliorarci e per rendere migliore il nostro rapporto con gli altri.
Non siamo “al centro dell’universo” e non ruota tutto attorno a noi: ci sono anche gli altri.

Covid-19 e l’importanza di mettere al centro le persone.

Quante persone ho “incontrato” virtualmente, a seguito del mio video su come superare la paura del Covid-19! Donne e uomini di diverse età, che mi hanno fatta partecipe delle loro emozioni, che mi hanno esposto i loro problemi, chiedendomi un consiglio.
Donne e uomini “veri”, con cuore e volontà di vivere meglio in questo periodo così difficile.

Non sono mancati i patiti della polemica: quelli aggressivi, che pretendono che tutti siano d’accordo con loro. Fortunatamente, davvero pochi, sebbene molto insistenti.
Ecco, mi sono resa conto che proprio costoro non hanno capito il senso del mio video, perché

adesso non è importante alzare la voce per ottenere ragione, ma fare in modo che le persone si sentano meglio, anche se sono chiuse in casa o al lavoro.

Qui non c’entra più se esiste o meno il virus, se ci credo oppure no.
L’unica cosa che mi importa sono le persone. Sì, pure quelle che non conosco, ma che mi parlano del loro disagio.

Sono le persone, quelle su cui tutti dovremmo concentrarci.

Una volta, quando ci si guardava in viso senza mascherina, bastava fare un sorriso per rasserenare l’altra persona. Oggi siamo coperti, ma possiamo sempre esprimerci con le parole.

Quanta bellezza c’è, infatti, nelle parole ricevute al momento giusto!
E non serve essere degli oratori per toccare il cuore dell’altro.
Basta ascoltare quello che ci dice e come lo dice.
Saper ascoltare con orecchie e cuore è un dono, ma anche un’abilità che si può imparare ed allenare.

Tutto parte dal considerare importante ciò che l’altro dice, perché nulla è scontato.

Proviamo, ad esempio, a cominciare a chiedere “Come stai” con un tono davvero interessato, guardando fisso negli occhi l’altra persona. Diamole il tempo di rispondere con calma. Non mostriamoci seccati o annoiati o distratti. Le persone “sentono” se siamo interessati a loro.
E piuttosto del frettoloso “Tutto bene?!”, meglio un semplice saluto.

Mai come ora c’è bisogno di vicinanza, di comprensione.

Non ci servono gli agitatori di folle, quelli che gridano, insultano, ci giudicano “fragili” per le nostre paure o per il rispetto che portiamo alle regole.
Abbiamo bisogno di un briciolo di serenità, di normalità, di amore.

E allora allontaniamo da noi chi ci fa sentire sbagliati, deboli. Non lo siamo!

Stiamo combattendo una battaglia con le nostre emozioni, tutti i giorni.
Possiamo sentirci a terra e chiedere aiuto per questo, ma è la dimostrazione che siamo forti, perché desideriamo stare meglio.

E se chi ci sta intorno non lo capisce, non perdiamo tempo a spiegarglielo.
Abbiamo bisogno di momenti sereni e non dobbiamo sprecare le nostre energie per chi davvero non se lo merita.

Se vuoi trasmettere a tuo figlio di non tenere a lui, lascia che rientri sempre più tardi.

Siamo in piena estate e – Covid o meno – i ragazzi in vacanza o a casa pressano per uscire la sera e soprattutto per rientrare sempre più tardi.

A mezzanotte ormai rientra solo cenerentola… perché gli adolescenti, anche se minorenni, tendono a rientrare tra l’una e le quattro del mattino…

Alcune madri disperate, ma rassegnate, mi hanno detto: “Cerco di stare sveglia ad aspettarlo, ma poi crollo!” oppure “Io e mio marito ci diamo il cambio: un po’ sto sveglia io e un po’ sta sveglio lui, finché nostra figlia non rientra”…

Ma c’è stata una madre che mi ha detto seccata: “Mia figlia non ne vuole sapere di tornare a casa entro mezzanotte, ma perché io non posso godermi il riposo che aspetto tutto l’anno?”.

E l’obiettivo è proprio questo: essere felici voi e i vostri figli. Non solo loro.
Non dimenticate che i ragazzi hanno i loro bisogni, ma voi avete i vostri.

Meglio quindi raggiungere un compromesso.
Ad esempio: proponete il coprifuoco a mezzanotte, così vostro figlio chiederà l’una e arriverete a mezzanotte e mezza.

Anche se dovete avere ben chiaro qual è il limite per voi.
Le 3 di notte, onestamente, sono ingiustificate, visto che non vanno a scuola e quindi gli amici possono vederli durante il giorno.

Il concetto è porre un limite che sia utile a salvaguardare la loro sicurezza e incolumità. Quindi una regola educativa, non punitiva.

E se si lamentano che “tutti stanno fuori fino alle 3”, senza polemica né tono seccato, ribadite che – secondo voi – non vi è motivo di stare in giro fino a quell’ora. E non raccogliete le provocazioni, non state a discutere. Il limite è questo. Punto.

Dite: “Non ce l’ho con te, anzi! Ti voglio bene e proprio per questo non trovo sicuro che tu stia in giro fino a tarda notte”.

Non dico che sarà una passeggiata… ma provateci! E fatemi sapere!

Donne, criticare il partner con le amiche non fa bene a voi e nemmeno alla coppia.

Quante di noi, tra donne, non hanno mai ridicolizzato il partner perché non sa mai dove si trovano le cose in casa? Perché non ricorda ciò che gli abbiamo detto due minuti prima? Perché sembra non essere autonomo…?

Ieri ero in un negozio di parrucchiera quando è entrata una donna che conosco di vista: nonna di due bambini a cui bada, età – immagino – 65 anni… magari qualcuno di più, ma molto attiva: spesso alla guida della sua auto o in bici. So chi è il marito, ma li ho visti di rado insieme. Lei arcigna e lui educato e sorridente.

Ad un certo punto, la donna attacca con delle critiche feroci sull’universo maschile.
La parrucchiera ed io inizialmente ridacchiamo più per un senso di solidarietà femminile che per i concetti espressi, ma poi la situazione si fa imbarazzante.

La signora – con tono duro e aria seccata – esclama: “Ah! Per carità! Noi sì siamo autonome, ma loro?! Non sanno neanche trovare i calzini nei loro cassetti! Diciamo la verità: a cosa servono? Sì, vabbè, a fare figli e un po’ di sesso, ma se una donna lavora e non vuole figli… che se ne fa di un marito?!”.

Ero basita.
Basita e a disagio. Niente più sorrisi né risatine. Altro che solidarietà femminile!
Spero che quello della signora sia stato uno sfogo… anche se non ne sono molto convinta.

Ripensando alla feroce osservazione mi domando: Qual è lo scopo?

Sminuire il marito? Calpestare tutti gli uomini? Gridare la sua frustrazione nei confronti del matrimonio? Ribadire in modo femminista la superiorità delle donne?

Qualunque sia il motivo, al suo matrimonio non farà certo bene, perché esprimere critiche così pesanti (senza dubbio riferite al marito) non aiuta la relazione: la uccide.

Ci sono donne, infatti, che si aspettano che la vita di coppia implichi automaticamente la complicità col partner. Credono sia una cosa naturale, ovvia, spontanea. Invece non è così.
La complicità va costruita giorno dopo giorno attraverso l’ascolto attento, la condivisione, l’incontro, il guardarsi e lo stare bene insieme. Non si tratta di idillio, ma di partecipazione, intimità, persino gioco.

La critica separa e allontana dalla complicità.

Criticare l’altro aspramente perché non fa, non dice, non soddisfa le nostre aspettative non lo farà migliorare, ma soltanto allontanare.
Far notare all’altro in malo modo che “non ci arriva”, non lo farà cambiare, ma gli comunicherà tutta la nostra disistima.

Perciò… se qualcosa non ci va bene, se desideriamo tanto che l’altro modifichi un suo comportamento, CHIEDIAMOGLIELO.
Consiglio frasi che comincino così: “Avrei bisogno / necessità…”, “Mi farebbe piacere che tu…”.

Nessun partner è perfetto, neanche il nostro, ma criticarlo con le amiche non solo rende vulnerabile la coppia, ma è anche una mancanza di rispetto.

Se abbiamo scelto di vivere in coppia, allora dobbiamo proteggerla e difenderla: solo così potremo rinnovare quell’energia necessaria a rigenerarla.

Didattica a Distanza: tutti promossi! E ora come lo spiego a mio figlio?

Ormai tutti i docenti e pure i genitori hanno capito come si concluderà l’anno scolastico: praticamente, tutti promossi!

Così, dopo aver raccolto commenti ed esclamazioni di preadolescenti e genitori, ho deciso di mettermi in campo come Coach per aiutarli.

Questo articolo non è “per tutti”: è per chi ha figli nella scuola secondaria di primo grado (la ex scuola media) e “crede” nel valore della scuola e dello studio, tanto da spronare i figli ad applicarsi sempre, in presenza o a distanza. E’ per i genitori di quei figli che si impegnano, che ci tengono a meritare un bel voto e che, in questo periodo di Covid-19, hanno continuato a dare il massimo, senza imbrogli né aiuti.
Parlo di quei ragazzi a cui docenti e genitori hanno detto: “Se vuoi essere promosso, devi studiare!”. E loro l’hanno fatto! Eccome se l’hanno fatto!

Ma ora si sentono confusi nel rendersi conto che quel compagno, che non ha mai partecipato a una video-lezione né mai consegnato compiti né studiato, be’, verrà promosso esattamente come loro.
Un profondo senso di ingiustizia, misto a frustrazione e rabbia.
Ecco cosa esprime quel “Ma non è giusto!”.

E come dar loro torto?!
A quell’età, poi, sono particolarmente sensibili alle ingiustizie, perché la coerenza e le promesse per loro sono sacre.

In realtà la pensano così anche molti genitori, che ben conoscono quel disagio, perché l’hanno già vissuto sia a scuola, da piccoli, sia sul lavoro, da grandi…
E così cercano di aiutare i figli a digerire il boccone amaro, dicendo:

“Non importa! Tu hai fatto il tuo dovere” o “A me degli altri non interessa nulla!”.
Sono frasi buttate lì perché non si sa davvero cosa dire, solo che vengono colte come una mancanza di comprensione e allora… apriti cielo!

Come possiamo aiutarli davvero?

Dobbiamo far centro “dentro di loro”: colpirli a tal punto che la nostra osservazione gli rimanga per sempre e serva a motivarli, nonostante l’ingiustizia.

Il Coaching insegna che la vita è un continuo “allenamento”: ci si allena a impegnarsi, a porsi obiettivi, a fare delle scelte, a essere onesti, determinati, resilienti…

E allora parliamo loro di questo, perché nello sport – che loro praticano spesso a livello agonistico – sanno che tutti si devono allenare in vista della grande gara finale.

Perciò, raccontiamo loro questa storiella (ciascuno la adatti come vuole allo sport praticato dal figlio):
Immagina di giocare in una squadra che dovrà affrontare un campionato importante.
Tu ti alleni sempre, mentre un tuo compagno no.
Arrivati a una settimana prima della partita, il campionato viene sospeso.
Tu senti che non è giusto, ma comunque ti sei preparato: hai imparato tecniche e strategie che ti saranno utili per vincere, quando ripartirà il campionato, mentre al tuo compagno è andata di pura fortuna. Già, perché se il campionato si fosse svolto, non sarebbe stato in grado di affrontarlo e l’allenatore l’avrebbe escluso.

Cosa vuol dire? Che la fortuna oggi c’è, ma domani chissà!

Tu hai puntato su ciò che era sotto il tuo controllo: l’impegno, la costanza, la fatica, la determinazione…
E quando punti su questo, è impossibile non “giocare il campionato”!
La fortuna, invece, è fuori dal tuo controllo: può andarti bene oppure male, ma non dipende da te.
Perciò, non perdere tempo a pensare alle ingiustizie: concentrati su quello che è importante per “giocare in campionato”.
Poniti un obiettivo: nella scuola può essere “Venire promosso”, meglio ancora “Essere promosso con 8 in inglese!”.
Scegli tu l’obiettivo, che sia per te coinvolgente, motivante… E poi non pensare più ad altro se non a raggiungere quello!
Perciò… ecco a cosa è servito il tuo “allenamento” quest’anno: a ripartire alla grande nel prossimo campionato!”.

Sono certa che così molti genitori faranno breccia, offrendo ai propri figli un nuovo punto di vista.
E’ quello che farei io, come Coach!

La convivenza con figli adolescenti ai tempi del Covid19.

La scuola è chiusa dal 23 febbraio… Un mese ormai.

La felicità che questo virus aveva regalato inizialmente ai nostri ragazzi, che potevano godere di giornate soleggiate senza compiti né lezioni per stare tutto il giorno al parco con gli amici, ha lasciato spazio all’irritazione, al nervosismo, alla frustrazione… Persino all’ansia e allo stress.

Gli adolescenti, abituati a vivere una sorta di vita parallela a quella della loro famiglia, si ritrovano chiusi in casa, a dover seguire ore di video-lezioni in aule virtuali che, chiamate così hanno un non so che di avveniristico, ma in pratica sono piccoli o grandi spazi della loro casa in cui non si sentono davvero liberi di essere se stessi come in classe, perché i compagni non ci sono e manca l’occhiata complice, il messaggio scritto di fretta sul diario aperto, le risate in diretta e le imitazioni dei prof.

Non solo.

Manca quella vicinanza fisica che per gli adolescenti è fondamentale.

Penso alle amiche che si confidano e poi si abbracciano; agli innamorati che si tengono per mano e si baciano teneramente; ai compagni di scuola a cui si tirano i “coppini” durante l’intervallo…

E’ solo un mese, ma a molti ragazzi sembra un’eternità.
E la cosa peggiore è che non c’è una “scadenza”… Sì, insomma, come quella sulle confezioni, che non può essere posticipata. Quella sì è una certezza.
Ma di certezze non ne hanno gli adulti, figuriamoci i ragazzi che vivono tutto amplificato.
Basta un messaggio su Whatsapp mal compreso che scoppia la tragedia!
E il rischio è alto in questo senso, perché è raro trovare chi padroneggia così bene la lingua italiana da scrivere in modo inequivocabile ciò che gli passa per la testa…

E ai ragazzi ne passano davvero tanti di pensieri!

C’è chi, avendo avuto insufficienze nel primo quadrimestre, teme di non poter più rimediare;
chi aveva già fissata la data della discussione di laurea e ora non sa più quando sarà;
chi aveva un elenco di esami programmati, che ora sono stati sospesi.
Una ragazza universitaria, in un momento di sfogo, mi dice: “Sì, ho molto più tempo, ma vivo nell’incertezza e non so più cosa fare!”.

Ecco il nocciolo: l’incertezza.

I ragazzi si fanno mille domande: la scuola riprenderà? Potrò rivedere i miei amici? Potrò riabbracciare il mio ragazzo/a? Potrò riprendere ad allenarmi? Potrò andare in vacanza?…

Le risposte però mancano e non serve chiedere agli adulti, perché l’incertezza è condivisa.
Forse è la prima volta che figli e genitori sono d’accordo su qualcosa: provano le stesse emozioni di paura, di speranza, e si sforzano di trovare un senso alle loro giornate sempre più ripetitive.

Tutti in famiglia sperimentano la convivenza “h.24” e non è tutto rose e fiori come nei film.
Sì, ci sono giornate buone e altre molto meno.
Secondo i ragazzi manca del tutto la privacy…
E non importa se hanno una camera tutta per sé…
Il “nemico” è in agguato! Il genitore ascolta.
Loro lo avvertono.
E su questo non hanno proprio torto.
Quante volte gli adulti – approfittando di questa “clausura” – origliano o sbirciano attraverso la porta? Magari quando i ragazzi stanno facendo la video-lezione, per spiare la prof. che spiega, o per vedere che cosa si raccontano con gli amici nelle video-chiamate…

Molti genitori relegati in casa non vedono l’ora di tornare al lavoro fuori casa, ma questo vale anche per i ragazzi. Uno di questi mi ha detto: “Era meglio andare a scuola che vivere così!”.

… perché gli adolescenti hanno bisogno di stare “nel mondo”, di confrontarsi con gli amici, di sperimentare, di avere un ruolo…
E quello di “figlio” e basta va loro un po’ stretto.

Ecco perché talvolta sono insofferenti.

E allora come possiamo aiutarli?
Come possiamo rendere la nostra e la loro vita di “reclusi” meno pesante?

Certamente accordandoci, che non significa imporre il nostro volere di genitori, ma sederci a un tavolo e ammettere che nessuno potrà più continuare a seguire le vecchie abitudini.

Bisogna coinvolgere i ragazzi: chiedere loro cosa ne pensano, invitarli a trovare soluzioni.

Stabilire insieme, seduti a tavolino, quali nuovi orari dovremo rispettare e quali aiuti dovremo portare alla famiglia. E’ un modo per crescere in modo responsabile.

In questo momento di totale incertezza, i ragazzi hanno bisogno di “certezze”, di punti fermi: la famiglia lo è, se non è soffocante.

E allora perché non partire dalla condivisione dei propri bisogni e desideri?
Esprimerne un paio a testa e chiedere al resto della famiglia di rispettarli?
Metterli persino per iscritto… in bella mostra!

Noi adulti non dobbiamo apparire per forza positivi e sereni se non lo siamo.
Certo, è il caso di evitare sempre di scaricare sui figli preoccupazioni, insoddisfazioni, tensioni.
Ma chi l’ha detto che i figli adolescenti non siano in grado di “capire” i nostri bisogni e le nostre difficoltà? Basta esprimerli nel modo giusto: niente lagne né continui lamenti.

Solo comprendendo i bisogni dell’altro saremo genitori e figli migliori.
Perciò… usiamo questo tempo per farlo.

Impariamo a smascherare gli opportunisti.

Credo che a tutti sia capitato nel corso della vita di essere delusi da certe persone.
Avete presente quella sgradevole sensazione, quel senso di sofferenza che si prova quando ci si accorge che la persona che abbiamo frequentato – felici di farlo – è tutt’altro che sincera, leale, onesta e non prova per noi l’affetto che noi proviamo per lei?
Può trattarsi di un collega, un conoscente, ma anche di un amico e persino di un parente.

Dai, provate a pensarci: quante volte vi è capitato?

La domanda, però, è: ma sono state davvero loro a “cambiare” o siamo stati noi a non prestare attenzione ai campanelli d’allarme?

Mi racconta una donna: “Sa, credevo fossimo diventate amiche: si sfogava con me, mi chiedeva consigli e poi, tutto d’un tratto, ha smesso di frequentarmi. Ora in ufficio mi tratta come un’estranea e mi risponde in modo sbrigativo. Frequenta un’altra collega che ha sempre criticato. E dire che quando era appena arrivata, le ho dato tutte le dritte possibili!”.

Cosa è successo?

Semplice: ha aperto il suo cuore a un’opportunista e si è sentita stupida, ingenua per non essersene accorta.
Ma come può rendersi conto che la stanno usando se non è come loro, se è una persona “autentica” e buona?

Impresa ardua, ma non impossibile!

Ecco degli indizi:

  • L’opportunista è incapace di vera amicizia: fa solo ed esclusivamente il proprio interesse.
  • Si affianca a chi gli fa comodo in quel momento, ma una volta ottenuto ciò che vuole, cambia “amico”.
  • Ha le idee chiare su quello che vuole dagli altri e “chiede” sempre, ma non dà nulla senza un tornaconto.
  • Si prende gioco delle persone e le “usa”.

Facciamo qualche esempio di soggetti opportunisti:

  • quello che “scrocca” sempre il passaggio in macchina quando uscite in compagnia;
  • quella che vi chiede di “ritirarle” sempre il figlio da scuola, perché lei non può;
  • quello che si abbuffa al ristorante, tanto poi si divide;
  • quello che si fa aggiustare il pc o si fa aiutare ad usarlo (così risparmia i soldi del tecnico);
  • quella che vi invita fuori o vi telefona solo per sfogarsi (e poi non si fa più sentire per un bel po’);
  • quella che vi chiede di andare a correre o al cinema, perché non ha nessun altro in quel momento;
  • quella che si è appena trasferita nel vostro paese o nel vostro ufficio, non conosce nessuno, ma diventa “amica” vostra perché vede che avete buoni amici e un’ottima reputazione (e stare con voi le apre le porte).

Insomma, i motivi sono tantissimi e io spero di aver “aperto gli occhi” a chi di voi è buono e sensibile, affinché non cada nella trappola.

Perciò… se avete realizzato di avere accanto qualche opportunista… prendete le distanze!
Anzi, tagliatelo fuori dalla vostra vita!
Solo così eviterete tante sofferenze.

La lettera che ogni figlia vorrebbe ricevere.

Figlia mia,
ricordati sempre di essere te stessa.

Non cadere nell’errore di “voler piacere” a tutti i costi, perché è sciocco, inutile e finiresti poi col non piacere più a te stessa, cioè a colei che ti amerà sempre più di chiunque altro.

So che arriverà il momento in cui sentirai il bisogno di compiacermi, magari meritando sempre bei voti a scuola oppure vincendo una gara sportiva, oppure comportandoti sempre come una “brava bambina”.

A chiunque farebbe piacere avere una figlia così, ma non a me se ciò significasse saperti angosciata al pensiero di non riuscire a ottenere un bel voto.
Non voglio poi che dall’esito di una gara dipenda la tua autostima e non voglio che tu sia la bimba perfetta né quella “sempre più brava, più gentile e più educata” di tutti gli altri.

Sii sempre te stessa, anche se dovrai lottare con i denti per non farti travolgere da quello che desiderano gli altri per te.

Impara ad ascoltare il tuo cuore: senti come batte?

Quella sei tu : sono le tue emozioni, sono i tuoi desideri…
Sono quello che conta di più, se vuoi vivere felice.
… ascoltandoti, infatti, scoprirai che per te esistono cose davvero importanti  e altre assolutamente inutili.

Sai, sarò felice se ti vedrò studiare con la passione di chi vuole imparare cose nuove e non per uno sciocco voto dato da un’insegnante che magari non ha capito niente di te.

Perché sai che cosa conta davvero nella vita?

L’impegno, la costanza, l’energia e l’entusiasmo… che guidano le nostre azioni verso i nostri obiettivi.
Se riuscirai a credere in questo, ti sentirai sempre speciale e nessuno riuscirà a farti sentire debole, fragile, incapace di camminare da sola.

Non permettere a nessuno di dirti come sei!

Lungo il tuo cammino, vedrai, ti capiterà certamente di incappare in quelli che sputano sentenze e si permetteranno di venirti a dire che “sei tagliata per…, ma limitata in…”, che “sei un tipo lunatico oppure sempre allegro” , che “sei una frana in…”, che “si vede che non ti interessa questo o quest’altro”, che “hai bisogno di un uomo così e così”.

Lasciali tutti parlare, figlia mia.
E più ne incontrerai e più dovrai trovare un angolo di pace in cui rifugiarti per guardarti dentro e per poter gridare al mondo: “Io sono io!”.

Ascolta le mie parole…
Ricorda che ti starò sempre vicina e che ti amerò per sempre.

                                                                                                                            La tua Mamma

Vuoi farti notare? Usa meglio lo smartphone!

Oggi la gente ama farsi notare per come si veste, per ciò che possiede, per le persone che frequenta, per i followers che ha sui social.

Uno degli elementi che vengono meno considerati per farsi notare è l’educazione.

Parliamo pure in generale, ma fateci caso: è proprio così.
Eppure “essere educati” significa adottare comportamenti positivi, che rendono migliori noi, ma anche i nostri figli e quindi l’intera società.

Sono forse un’illusa? Non credo proprio.

Migliorare il mondo in cui viviamo è possibile: dipende da ciascuno di noi.

E allora perché non partire dall’uso dello smartphone?
Quell’oggetto che ormai è parte integrante di noi, quasi una sorta di appendice?

Vediamo cosa possiamo fare concretamente per dimostrare agli altri che “essere educati” fa bene a tutti:

  • Quando siamo in mezzo agli altri, evitiamo di “urlare” al cellulare. Basta usare un tono di voce che non disturbi e che non obblighi gli altri ad ascoltare i fatti nostri.
  • Quando siamo in pubblico, non mettiamoci a discutere, litigare, raccontare fatti privati facendo nomi e cognomi. Le persone hanno già i propri problemi e non è il caso che si sorbiscano anche i nostri.
  • A tavola non teniamo il cellulare sul tavolo (vicino al tovagliolo). Il pasto è il momento di guardarsi in faccia e di scambiare qualche parola, perciò niente tablet né cellulari.

Sì, vabbè Coach, ma come facciamo a farlo rispettare ai figli?

Vi suggerisco un modo semplice ed efficace: puntate un timer da cucina su quanto tempo prevedete che durerà il pranzo o la cena e, finché non suonerà, il cellulare resterà in un’altra stanza o in una cesta apposita. 😉

  • Al ristorante o a casa di amici, mettiamo in vibrazione il cellulare ed evitiamo di far “suonare” le notifiche: in questo modo dedicheremo tutta la nostra attenzione agli amici, che lo apprezzeranno.
  • Nei luoghi culturali (teatro, cinema, mostre e musei), ma anche nelle chiese o nelle aule universitarie e scolastiche, mettiamo la modalità “silenzioso” e teniamola per tutto il tempo necessario. Sarà per noi un vero stacco dalla quotidianità e dimostreremo rispetto per chi lavora o visita questi luoghi.
  • Usiamo il vivavoce solo se siamo da soli, magari in macchina. Anche per ovvie questioni di privacy.
  • In linea generale, a proposito di lavoro, a meno che la professione della persona a cui telefoniamo non preveda la reperibilità h.24, cerchiamo di chiamare tra le 9 e le 18 e non al di fuori. E se proprio non possiamo farne a meno, chiediamole: “Può parlare in questo momento?” e aggiungere “Oppure vuole che la richiami?”.
  • Con amici, familiari e parenti, invece, vale sempre la buona norma di non telefonare durante i pasti (ad esempio h.12.00-13.45 e h.19.30-21), ma nemmeno dopo le h.22, perché potrebbero allarmarsi.

Se ci pensate sono piccoli accorgimenti che però fanno la differenza.
A noi non costano nulla, ma ci fanno guadagnare in “immagine” oltre che in sostanza.

Che ne dite?