Troppi problemi e poca energia? Ecco un buon modo per uscirne!

Ti è mai capitato nella vita di sentirti stanca, svuotata e di aver pensato: “Vorrei solo scomparire!”? Una frase che sottintende il desiderio di trovare un po’ di silenzio, di pace: smetterla di dar retta agli altri, di preoccuparti e occuparti di mille problemi tutti insieme.

Magari hai esclamato: “Sono alla frutta!”… quando in realtà sei al “dolce”, visto come ti senti.

Sono periodi in cui, se ti chiedono cosa vuoi, non lo sai… perché non hai la forza né la voglia di pensare alla risposta.
Se pensi “Cosa voglio?”, la testa inizia a girare, i pensieri si affollano nella mente e non trovi le parole per spiegare a chi ami il groviglio che c’è.

Alla domanda – “Come posso aiutarti?” – ti senti peggio, perché non lo sai o non hai voglia di suggerire la risposta.
Vorresti soltanto che ci pensasse qualcun altro a farti stare bene: che risolvesse i tuoi problemi, che si prendesse cura di te, facendoti tornare il sorriso.

Senti di aver bisogno di aiuto, da sola non ce la fai, perché ti mancano le energie: sei scarica!
E i problemi si risolvono quando si è lucidi, riposati e pieni di energia.

“Oddio, Coach! Allora sono depressa?”.

Non è detto.
Magari sei “semplicemente” sfinita e quindi tutto diventa estremamente pesante.
Magari si sono sommati vecchi e nuovi problemi, rendendoti le giornate soffocanti.
Magari hai accumulato stress e tensioni, senza riuscire a scaricarle.
Magari è molto tempo che non ti dedichi una pausa per fare ciò che ami.

“Quindi cosa devo fare?”.

PRENDITI CURA DI TE!

Sì, certo, Coach! E tutti i miei problemi chi li risolve?”.

Lo farai tu, quando ti sarai ricaricata.
Significa che devi recuperare sonno, energie, lucidità, motivazione. Solo così tornerai a vedere il sereno.

“Già, Coach, ma se non riesco a decidere nemmeno cosa voglio fare… Come faccio a occuparmi di me?”.

Innanzitutto, non aspettarti di ricevere l’aiuto che ti serve (a meno che tu non decida di rivolgerti ad un professionista): i familiari e gli amici sono fantastici, ma mancano degli strumenti necessari per darti concretamente una mano.

Fai così: dividi un foglio di carta in 3 colonne.
Sulla prima colonna scrivi (con la penna) tutto ciò che ti occupa la mente (cioè i problemi che ti tolgono serenità).
Sulla seconda colonna, invece, scrivi che cosa puoi fare concretamente per risolverli.
Nella terza colonna scrivi quando te ne occuperai e, in una scala da 0 a 10, quanto pensi di riuscire a spuntare quella voce in elenco.
Se la tua valutazione è 5, significa che la soluzione che hai trovato non va bene per te, perciò trova un’altra soluzione.

Poi numera il tuo elenco di “problemi” (prima colonna) e affrontalo sulla base delle priorità (dal problema più pesante a quello meno) oppure in base alle tue energie (se ne hai poche, parti dal problema più semplice).

Il passo più difficile è uscire dalla “palude”!
Decidere di muoversi, anche a piccoli passi, senza la pretesa di risolvere tutto e subito.
Datti un tempo!

Se poi hai la possibilità di rivolgerti ad un Coach, meglio!
Ti affiancherà nella costruzione degli step necessari a uscire dal tuo stallo, ti sorreggerà quando sarai stanca e ti ascolterà quando avrai bisogno di “scaricare” i tuoi pensieri e dare forma a quel groviglio.
Un prezioso alleato che ti permetterà di risolvere più velocemente i tuoi problemi per tornare a guardare la vita a colori.

È Pasqua: cambia il tuo punto di vista!

Siamo prossimi alla Pasqua e non avrei mai immaginato di viverla di nuovo blindata in casa per la pandemia. E voi?
Vorrei dirvi che presto finirà, trovare frasi di incoraggiamento e ottimismo, ma come voi anch’io sono stanca, perché è un anno che rispetto diligentemente le regole ed esco solo per lavorare.
Come molti di voi, niente più socialità, trekking in montagna, passeggiate al lago o al mare.

Col passare dei mesi sono venute meno la pazienza, la tolleranza, la comprensione, la speranza. E sono cresciute la stanchezza, l’esasperazione, la frustrazione, l’ansia.

Sembra proprio che tutto vada male… E questo malessere è così diffuso che i prodotti maggiormente pubblicizzati in TV sono proprio quelli contro l’insonnia, l’ansia, l’irritabilità, il mal di stomaco e di testa.
Zero energia, zero positività. Che disastro!

Quindi cosa fare?
Ripiegarci su noi stessi? Abbandonarci all’apatia? Arrenderci alla negatività?

Per me è inaccettabile!
Non voglio abbattermi né violare le regole, perciò l’unica cosa da fare è “cambiare punto di vista”.

Al posto di ascoltare di continuo il mio disagio, che in alcuni momenti è assordante, ho scelto di “dargli un piccolo spazio” nell’arco della giornata.
Per il resto, al posto di elencare tutto ciò che mi manca (nel lavoro, vita sociale, salute, famiglia, ecc.), ho scritto una lista di tutto ciò che posso ancora fare, nonostante le restrizioni e, per aiutare le persone che amo, ho inventato “sfide” sportive (da condividere grazie ad un’app) che alimentano la motivazione a stare nel verde, organizzare al meglio la giornata, avere uno scopo, prendersi cura di sé.

Un amico che purtroppo è stato colpito da una malattia degenerativa, che lo paralizzerà per sempre, mi ha detto: “Ogni giorno penso a quel poco che posso ancora fare, piuttosto che a tutto quello che sto perdendo”.

E per me è un grande esempio, perché se nella nostra vita possiamo ancora muoverci, non importa andare in montagna o al mare.
Possiamo anche camminare al parco vicino a casa.

Questo è il concetto: usare il pensiero creativo per trovare soluzioni che ci facciano stare bene, pur nella difficoltà.

E allora prendiamo esempio anche dai ragazzi, che hanno organizzato party virtuali, aperitivi a distanza, incontri all’aria aperta…

Siamo noi a scegliere come reagire.
Perciò domandiamoci: “Che cosa vogliamo?”.
Crogiolarci nelle nostre emozioni negative o reagire e trovare nuovi modi per coltivare un po’ di serenità?

Impara a chiedere aiuto, se ti vuoi bene.

Nadia è una bella cinquantenne, cresciuta in una famiglia vecchio stampo, con due genitori che hanno cresciuto i figli senza aiuti e un padre che, nel lavoro, si è fatto tutto da sé.
Il mantra che lei ha ascoltato sin da piccola è “Chi fa da sé, fa per tre” e infatti non ha mai visto i suoi genitori chiedere aiuto a nessuno. E le rare volte in cui l’hanno fatto, si sono sdebitati immediatamente con un dono.

Questo l’ha spinta a fare altrettanto, con grandi sacrifici e molte frustrazioni, caricandosi sempre più pesi e rifiutando l’aiuto di chi glielo offriva, col risultato di apparire orgogliosa, forse anche un po’ superba.
Tutti la vedono indipendente, autonoma, forte… Così deducono che non abbia né gradisca l’aiuto di nessuno e lei ne soffre.

Ci sono tante persone come Nadia, “bloccate” nel chiedere o incerte sul farlo per non sembrare invadenti o inopportune.

La verità, però, è che tutti abbiamo bisogno di sostegno, che sia concreto o psicologico.

Saper chiedere ci rende “umani” agli occhi degli altri. Non farlo, ci fa apparire come supereroi (anche se non lo siamo) e nessuno ama avere a che fare con un supereroe, perché fa sentire inadeguati.

Ma come “chiedere”?

Ovviamente, prima di farlo, valutare la possibilità di fare da sé, se non altro per evitare di approfittarci dell’altro.

Importante è aver chiaro ciò di cui abbiamo bisogno ed esprimerlo con semplicità: scegliere il momento adatto e le parole giuste.
Fare la nostra richiesta con tono spontaneo e frasi sincere.

Non dobbiamo temere di essere giudicati o rifiutati.

Lo scopo è chiedere aiuto, non essere certi che ci verrà accordato.

Perciò non dobbiamo nascondere di essere in difficoltà: non si tratta di fare le vittime, di piangersi addosso, ma di chiedere consiglio o aiuto in qualcosa che non siamo in grado di fare da soli.

Una volta ricevuto l’aiuto, poi, non sdebitiamoci subito, come a dire “Ecco, non ti devo più nulla! Con te ho chiuso!”, ma

ringraziamo con qualcosa di simbolico: un fiore, un bel biglietto di gratitudine, parole di ringraziamento sincere.

Tanto è scontato che, se siamo persone che chiedono poco, saremo grate e disponibili a ricambiare quando l’altro avrà bisogno.

Maledetta ansia scolastica! Come aiutare i figli a vincerla.

Sono molti i ragazzi che soffrono di ansia da prestazione scolastica e non vi è età, dato che coinvolge sia gli studenti della primaria sia gli universitari.

Ma di che cosa si tratta?

Di solito è legata alla paura dell’insuccesso, del giudizio negativo degli altri oppure al timore di non essere in grado di superare la verifica o l’esame.
Praticamente parte dal desiderio di essere ammirati, amati, ma anche dalla paura di essere ridicolizzati o addirittura rifiutati in caso di mancato superamento della prova.

I genitori, d’altra parte, sono spesso concentrati sul rendimento scolastico, sui voti, e talvolta pongono poca attenzione agli aspetti emotivi e affettivi.

Quante volte capita che figli diligenti e sensibili facciano di tutto per ottenere voti eccellenti nella convinzione di poter essere più amati dai genitori (magari rispetto a fratelli e sorelle)!

Il problema è che si crea un circolo vizioso: più i figli temono di sbagliare la prova e più aumenta l’ansia, con la conseguenza di sbagliare davvero e alimentare quindi la paura di non farcela.

Da dove partire per aiutarli?

Prima di tutto, facendo loro capire che non è necessario essere bravi a tutti i costi: l’importante è dare il meglio di sé, impegnarsi.
E poi smetterla di ragionare e valutare i figli in termini di “numeri”, cioè voti.

I figli devono aver chiaro che il loro “essere”, fatto di valori e qualità, è nettamente separato dal loro “avere” buoni voti.
Se sbagliano una prova, restano comunque degli “esseri stupendi”!

Dobbiamo poi renderli consapevoli che “sbagliare” fa parte dell’affrontare la vita ed è bene che accada, per imparare a superare la frustrazione che ne deriva.
Perciò affianchiamoli per far loro capire dove hanno sbagliato e trovare insieme il modo di recuperare, ma in totale assenza di giudizio.

I figli hanno bisogno di essere rassicurati sul fatto che non li vogliamo “perfetti”.

I ragazzi, che si pongono da soli obiettivi ambiziosi, tendono a non accettare cali di rendimento.
Ecco che dobbiamo farli riflettere sugli inconvenienti, come ad esempio un mal di testa, che possono limitare la prestazione.

È necessario che capiscano di non poter avere sempre un costante ed eccellente rendimento, perché ci sono variabili fuori dal loro controllo.

E… che siano sportivi o meno, facciamo in modo che “si scarichino”, magari andando all’aperto, nel verde, perché l’ansia prosciuga le energie e per rendere al meglio c’è bisogno proprio di quelle.

La primavera è alle porte, ma i ragazzi stanno “sfiorendo”!

La primavera è rinascita, cambiamento. E per i ragazzi è da sempre momento di gioia, di nuovi amori, di conto alla rovescia. Sono questi i mesi dello sprint finale per evitare i debiti, ma anche i fine settimana da trascorrere al parco con gli amici. Momenti fondamentali per un adolescente che ha bisogno di risultati, ma anche di confronto e condivisione con gli altri.

Oggi, però, i ragazzi osservano la primavera dalla finestra e, se a novembre erano arrabbiati, a dicembre in crisi, ora sono stanchi e demotivati, esasperati e depressi, perché la percezione che hanno è che “non cambi nulla”.

E non possiamo dargli torto.

Come Teen Coach me ne rendo conto, perché li seguo da vicino.
I mesi scorsi mi chiedevano aiuto perché la concentrazione scarseggiava durante le lezioni a distanza e  i voti si abbassavano. Mancava loro il rapporto diretto coi compagni e con i docenti, ma almeno avevano la speranza di veder cambiare le cose.

Ora non più.

Il breve ritorno alla didattica in presenza, per certi versi, ha solo peggiorato la situazione, perché i ragazzi si sono trovati a sostenere verifiche e interrogazioni quotidiane svolte in tempi stretti e con zero tolleranza da parte dei docenti. Nulla a che vedere con la “scuola” in presenza a cui erano abituati.

I liceali che seguo, infatti, mi raccontano di interrogazioni fatte a cronometro (dieci minuti e stop), di settimana in presenza con più interrogazioni giornaliere… Gli universitari mi parlano di esami scritti che nemmeno possono rivedere, una volta corretti.
Sbagliare e non sapere dove né come rimediare… Davvero destabilizzante per chi ci tiene a migliorare.

Già, perché gli adolescenti non sono tutti svogliati, votati all’happy hour: ce ne sono tanti che considerano la scuola/università importante e che si impegnano per ottenere buoni risultati.

Ora però sono sfiniti.
Io li vedo, ascolto i loro vissuti e mi rendo conto che stanno pagando un prezzo altissimo a causa della pandemia.

Studiano, si impegnano, seguono le lezioni, ma i mesi tutti uguali ormai sono tanti e “nulla cambia” per loro. Hanno esami e verifiche concentrati in poco tempo, così l’ansia da prestazione aumenta a dismisura. Ed è facile poi dire “basta che studi”. Non è così. Non basta. Non più.

Spesso hanno a che fare con docenti a loro volta pressati, inquieti, preoccupati e spaventati all’idea del contagio. Docenti che si sono dovuti inventare una nuova didattica, piegare a protocolli sempre diversi, senza aver più un confronto diretto con gli studenti.
E così molti hanno perso di vista l’aspetto più importante dell’essere docente: l’umanità, fatta di comprensione e tolleranza per la fatica condivisa.

Quale soluzione trovare?

Non c’è un “vaccino” uguale per tutti.
Tuttavia dobbiamo far sì che i giovani non si abbattano del tutto.

Dobbiamo coltivare in loro la speranza.
Non quella per cui “restare seduti” ad attendere che le cose cambino, che “i grandi” facciano qualcosa per loro.
Speranza nel senso di fiducia e impegno in direzione di un miglioramento, che certamente avverrà (anche se non sappiamo quando).

Gli adolescenti vedono tutto o bianco o nero. In questo momento “solo nero”.

Sta a noi, quindi, far loro cogliere le sfumature, aiutarli a dare un senso a questa attesa, fatta però di “azione” verso uno scopo.
Sta a noi sostenerli, affiancarli, motivarli a non mollare… Perché stavolta il peso da portare è troppo pesante e da soli non ce la fanno.

Non temere di sentirti “disorientata”: è l’inizio della svolta!

A chi non è mai successo di subire il continuo chiasso del vicino di casa o l’arroganza di un collega, di un superiore, oppure la maleducazione e la scortesia degli altri?

Se siamo persone gentili, è difficile immaginare e anticipare i comportamenti scorretti degli altri, perciò finiamo per subirli. E chi si fa coraggio e prova a farli presente… spesso non ottiene alcun successo, perché le persone scorrette non cambiano e non gliene importa nulla del disagio che creano agli altri.

Durante la Scuola di Coaching, ricordo una simulazione apparentemente banale, che però si era rivelata più complicata di altre: un’allieva, donna adulta e manager di una grande azienda, aveva esposto un problema che non riusciva a risolvere, ovvero le sgarberie di un vicino di casa.
Essendo una donna diplomatica, aveva provato a dialogare col vicino, ma aveva ottenuto solo risposte maleducate.

Be’, non sto a dirvi quanto sia stata dura per il Coach (un corsista) guidarla alle risposte giuste!

Forse vi sembrerà strano che una manager non riuscisse a risolvere un simile problema, ma

sta di fatto che quando si è immersi da tempo in una situazione che ci crea disagio, si perde lucidità e si vive immersi in una “bolla” fatta di rabbia, senso di ingiustizia e di impotenza. Per uscirne ci serve qualcuno che ci guidi alla soluzione migliore per noi.

Possiamo rivolgerci ad un familiare, ma rischiamo che ci dia consigli ed esprima giudizi, alimentando così la nostra rabbia o frustrazione.
Meglio rivolgerci ad un Life Coach, capace di farci le domande giuste e portarci alle soluzioni ottimali per noi.

Serve arrivare rapidamente a stare meglio, a vedere che qualcosa cambia, ma senza dover fare qualcosa che ci metta ansia.

Se siamo poco assertivi, è inutile che ci spingano ad affrontare verbalmente l’altra persona.
Se perdiamo facilmente il controllo, meglio non avere di fronte chi ci procura disagio.
Insomma… bisogna essere guidati nel migliore dei modi, altrimenti facciamo più danno che altro.

Ci sono poi alcuni di noi che finiscono per crogiolarsi nel loro vittimismo: “Eh, sono proprio sfigato! Proprio a me doveva capitare un vicino incivile!”, “Eh, sai come mi pesa dover lavorare con tizio?!”.

Questo accade perché abbiamo la percezione di non avere alternative: siamo appunto disorientati, perché quello che abbiamo fatto, non funziona.
E così smettiamo di affrontare il problema e ci adattiamo a “sopravvivere”.

Ma è vita?

Più ci concentriamo sul disagio che proviamo e più lontana diventa la soluzione.
Ci sentiamo come fossimo immersi nel mare, fermi, cercando con gli occhi la riva che non appare da nessuna parte. Che brutta sensazione!

Però è proprio quando ci sentiamo così che alcuni di noi dicono: “Basta! Non ce la faccio più!” e cercano aiuto.

Se non si sentissero disorientati, persi, non lo cercherebbero.
Ecco perché sentirsi disorientati è positivo!
Non dobbiamo temere questa sensazione: non è la fine di tutto, ma l’inizio della soluzione.

Aiuta tuo figlio ad affrontare le difficoltà come fossero “avventure irripetibili”.

Il problema di cui mi parlano spesso i ragazzi è la paura di affrontare prove e sfide.
Una paura che spesso li blocca e impedisce loro di ottenere il risultato che desiderano.

È il timore di sbagliare, il terrore di fallire, il disagio di essere giudicati.

La soluzione che di solito indichiamo loro è l’impegno: “studia di più” per migliorare i tuoi voti, “allenati di più” nello sport, “esercitati più ore” nel caso suonassero uno strumento o danzassero.
E non è un consiglio sbagliato, ma… Nonostante questo, rendono poco.
Come mai?
Perché si tratta di una “questione mentale”!

Provate a far guardare loro “la difficoltà” che devono affrontare come fosse “un’avventura irripetibile”.

Sì, usate proprio queste parole: avventura irripetibile… E aprirete loro una porta.
Pensate un po’ al significato di queste parole, all’immagine che trasmette e alle emozioni che può suscitare…

La parola “avventura” stimola il desiderio di viverla e questo fa provare “grinta”, coraggio e non paura e resa.
E quando ci dicono che qualcosa è “irripetibile”, sentiamo che è un’occasione speciale, unica, da non perdere.

Ci rendiamo conto che non ci sarà un’altra prova o esperienza identica a quella che dobbiamo e vogliamo affrontare.

La verifica, l’interrogazione, l’esame universitario piuttosto che la gara, il torneo, il concorso sono tutti momenti irripetibili, unici… Ed è questo il bello!

Perciò vale la pena affrontarli con l’animo di un vincente, perché chi si sente così va incontro alla prova con determinazione e non come una vittima sacrificale.

Le difficoltà sono lì per essere superate e vanno affrontate come si fa con le migliori avventure della Vita!

In questo periodo, meglio fare programmi o vivere alla giornata?

Ebbene lo ammetto: sono una di quelle che ama programmare. Ecco, l’ho detto!
E sono pure brava, perché so calcolare i tempi e difficilmente sbaglio.

Cosa c’è di meglio?, direte voi.
Fino a qualche tempo fa, nulla: saper elaborare programmi, conoscere il modo con cui portarli a termine e in quanto tempo, sono sempre stati un gran vantaggio. Garantisco!

Ma oggi… Oggi è dura!

Perché con l’arrivo del Covid-19, fare programmi a lungo termine non serve a niente, anzi, è pure controproducente, perché quando meno te l’aspetti… la tua regione cambia colore, il tuo lavoro cambia orari, modalità, strumenti… e la tua vita è in balia degli eventi, delle statistiche, di un virus fuori controllo.

Se anche voi siete come me, sapete di cosa parlo.

E allora, certamente, vi troverete nella condizione per cui avete speso del tempo a programmare (quando magari avreste avuto voglia di fare altro) e quel programma viene cancellato di colpo e non certo per colpa vostra.
Un senso di frustrazione, di precarietà e, siamo sinceri, anche una gran scocciatura.
E allora… qualche esclamazione colorita può anche scappare…

Perché è tutto da rifare… o no?  NO!

Nel senso che non ha più molto senso fare programmi a lungo e medio termine.

Quando saltano, infatti, ci si sente disorientati e non è proprio una bella sensazione, soprattutto se siamo di quelli che non stanno mai fermi, che hanno sempre qualcosa da fare, che odiano il divano e la passività.

Tuttavia questo tempo, così strano, ci insegna qualcosa, ovvero a imparare a “vivere alla giornata”.

Giuro, non avrei mai pensato di pronunciarlo né come Laura né come Coach!
Perché per il mio cervello, “vivere alla giornata” è sinonimo di “buttare via il tempo”, “oziare”.

In realtà questo periodo mi sta insegnando qualcosa di molto prezioso: accorciare i tempi e fare programmi a breve, brevissimo termine.

Significa avere ben chiaro che cosa è importante fare l’indomani, al massimo nei successivi cinque giorni, ma non di più (visto che i Dpcm sono quindicinali).
Perciò, se da un lato è importante continuare a dare un senso alle nostre giornate, dall’altro non ha senso fare programmi troppo in là nel tempo.

Imparare a pensare di giorno in giorno, arrivando a sera soddisfatti di ciò che abbiamo fatto e pensare a ciò che dobbiamo/vogliamo/possiamo fare l’indomani, a seconda delle reali priorità.

Questo è (forse) il segreto per essere sereni in un periodo così buio come questo.
Perciò, muniti di carta e penna,

registriamo gli impegni da portare a termine nel giro di cinque giorni: scriviamoli in una lista in ordine sparso e poi, ogni sera, proviamo a prendere alcune voci della lista per inserirle in ciò che faremo l’indomani.

Riuscire a spuntare di giorno in giorno le attività programmate ci servirà per sentirci motivati…
Ma… Attenzione a non esagerare!
Programmare “troppe” attività/impegni e non riuscire a portarli a termine può avere l’effetto contrario, ovvero farci sentire frustrati e insoddisfatti, facendoci perdere l’energia per affrontare una nuova giornata.

Il 2020 che finisce… è davvero tutto da buttare?

Il 2020 sta per scomparire, ma di lui parleranno i libri di storia.
Tutti non vedono l’ora che si chiuda, ricordando tutto il male che ha provocato: morti, ospedali al collasso, economia in ginocchio, perdita del lavoro, paura e lacrime.
Ha stravolto anche la nostra vita, togliendoci quelle certezze che davamo per scontate, come frequentare la scuola in presenza.

Ci ha tolto quei gesti spontanei che caratterizzavano il nostro essere umani, come le strette di mano, gli abbracci, i baci.
Ci ha tolto persino la possibilità di mostrare le nostre emozioni attraverso le espressioni del viso.
E abbiamo smesso di vedere sorrisi e risate, con l’uso della mascherina.

Ci siamo divisi in negazionisti, complottisti e non. E ci siamo scagliati gli uni contro gli altri.

Abbiamo scandito le nostre giornate sulla base dei dpcm a cadenza quindicinale.
Ci siamo sentiti confusi, spaventati, persi.

Abbiamo imparato a rispettare le regole per proteggerci e per proteggere le persone che amiamo, come i nonni o i genitori anziani.
Abbiamo accettato, sconvolti, di fare ore di coda per comprare cibo o medicine.
E durante il lockdown abbiamo trasformato le nostre case in uffici, aule scolastiche, palestre e panetterie.

La tecnologia, che spesso avevamo criticato aspramente, ci ha permesso di restare in contatto, di “vederci” attraverso uno schermo, di pranzare insieme seppure a distanza.

È ormai un anno che viviamo così e a volte ho quasi paura di dimenticarmi com’era la vita prima del Covid-19.

Molti infatti, perdendo la speranza, sono caduti in depressione, mentre altri hanno sviluppato paure e sindromi che impediscono loro di vivere a colori.

Un anno quindi da cancellare, da dimenticare, da sotterrare… o forse no, perché ci ha scossi così tanto dal nostro torpore, dal nostro dare tutto per scontato, acquisito, certo, da rimettere in discussione la scala dei nostri valori.

La Vita e la salute sono tornate al primo posto. Così come la famiglia e gli affetti.

Famiglie che si incontravano a mala pena la sera, a cena, si sono ritrovate a mangiare insieme, guardandosi negli occhi. Non più pasti veloci per poi uscire o badare ai propri impegni.

Il tempo si è dilatato. L’abbiamo dovuto riempire.
E allora abbiamo riscoperto la bellezza di stare insieme.

La casa, da carcere, è diventata “nido”: un luogo sicuro e pieno di calore.
Abbiamo visto genitori e figli sui balconi, cantare insieme e appendere messaggi di incoraggiamento, ma anche cucinare e fare ginnastica insieme.

Una condivisione impensabile, senza il Covid-19.

E allora non è un anno da buttare via.
Ci ha dimostrato che gli affetti sono la vera ricchezza; che i figli sono impegnativi, ma stare con loro dà gioia; che i genitori sono un punto di riferimento importante e che i nonni mancano, quando non si possono incontrare.

Gli studenti hanno scoperto di apprezzare così tanto la scuola in presenza, da sentirsi tristi e demotivati, senza.
Ciascuno di noi, poi, si è potuto “guardare dentro”, facendosi domande che mai si sarebbe posto se avesse continuato a correre, dividendosi tra lavoro e impegni vari.

Abbiamo rivalutato certe amicizie e deciso di cancellarne altre, perché superficiali e false.
Abbiamo avuto tempo per guardare negli occhi il nostro partner e ricordarci perché l’abbiamo scelto, apprezzandone il sostegno e le qualità.

Sì, lo so, non per tutti è stato così… Ma siamo così abituati a cogliere il peggio che c’è, da scordarci ciò che di positivo può regalarci un anno…
Eh, sì, anche un anno come questo.

Buon 2021!

Se pretendi di “controllare tutto”, ti rovini la vita!

Quante volte ti hanno detto “Dai, rilassati!”, “Vivi con un po’ di leggerezza!”, “Smettila di voler controllare tutto!”.
E come ti sei sentito? Probabilmente frustrato, incompreso, infelice.
Magari ti sei chiesto se effettivamente stai esagerando o se sono “gli altri” a essere troppo superficiali, lasciando andare le cose così come vanno. Magari hai provato una sorta di invidia per chi vive senza la pretesa di controllare tutto e tutti.

E allora facciamo chiarezza.

Non c’è niente di male né di sbagliato in te, se sei solito fare un’adeguata verifica di come stanno andando le cose nella tua vita (lavoro, relazioni, ecc), anzi, ben venga! E’ utile.
Se invece è un bisogno irrinunciabile, che ti procura ansia, inquietudine, nervosismo, persino terrore, allora parliamo di “ipercontrollo”.

Forse ne hai sentito parlare in termini di “mania di controllo”, cioè quando pretendiamo di prevenire ciò che è imprevedibile, come il comportamento altrui e le situazioni. In poche parole, il nostro voler controllare tutto non è sano e dovremmo lavorarci sopra per vivere in modo più sereno.

Già mi immagino la reazione… “Chi? Io? Mica ho la mania del controllo!”.

Allora proviamo a descrivere chi ce l’ha:

  • Perde serenità di fronte alle situazioni incerte.
  • Ha sempre paura di commettere errori.
  • Ha difficoltà a gestire lo stress.
  • Sente un bisogno costante di essere rassicurato.
  • Non ha fiducia nelle capacità degli altri.
  • Sente su di sé un eccessivo carico di responsabilità.
  • Proprio non riesce a lasciare al caso neppure il dettaglio più insignificante.

Scommetto che ora dirai: “Oh, cavolo! Sono io!” oppure “Oddio!, assomiglia a mia moglie/marito!” o ancora “Sembra che parli di mia madre/padre… E se fosse davvero così?”.

Togliti alcuni dubbi!

Chi è maniaco del controllo spesso pone eccessiva attenzione al proprio corpo, in termini di alimentazione e cura di sé, oppure ha l’ossessione per l’ordine e la pulizia, nel senso che è terrorizzato da germi, sporco e disordine. Pretende di tenere sotto controllo i figli, il partner e, al lavoro, si dimostra perfezionista e intransigente… Insomma, vive proprio male!

Sì, perché – se sei così – non sopporti le novità, gli imprevisti, e non riesci a delegare, così fai tutto tu ed esaurisci le tue energie.

Dimmi la verità… anche il tuo fisico ne risente, vero?
Sì, perché per avere tutto sotto controllo il corpo è in continua tensione muscolare e si irrigidisce. La conseguenza è un costante senso di stanchezza e spossatezza.

Ti ci ritrovi?
Ti va di migliorare? Già, perché è possibile: non è che si nasce così.
Si può essere predisposti, ma non è genetico. Bella notizia, vero?

Allora inizia da qui:

  • Non censurare le tue emozioni, perché è frustrante. Semmai impara a gestire la rabbia, la tristezza, il senso di colpa.
  • Se la mania di controllo ti procura gravi crisi d’ansia o attacchi di panico, cerca un bravo psicologo/psicoterapeuta per farti curare.
  • Guarda in faccia il tuo sforzo di fare ordine, di prevedere l’imprevedibile, di non farti trovare impreparato: renditi conto che è un bisogno interiore e non c’entra con l’impegno e la responsabilità (perciò… non raccontartela!).
  • Diventa consapevole di esserti chiuso in una gabbia, dove tutto deve andare come vuoi, in modo perfetto; dove tu devi mostrarti impeccabile, indipendente, efficiente, senza che nessuno te l’abbia mai chiesto.
  • Prova ad essere più spontaneo, più “vero”: togli la maschera, almeno un pochino. Nessuno ti giudicherà!
  • Smettila di arrabbiarti per come va il mondo: la politica, l’economia, la società. Domandati: “Cosa posso fare concretamente per cambiare le cose?” e poi fallo. Ma se capisci di non poter intervenire… lascia perdere. Vai oltre!
  • Rompi la routine: ogni tanto cambia qualcosa. Magari scegli un nuovo percorso per andare al lavoro o pranza in un bar diverso dal solito.
  • Se qualcosa va storto, prova a dirti: “Ho commesso un errore” e non “Sono un disastro!”.

E ricorda:
“Tutto quello che non riesci a controllare ti sta insegnando a lasciar andare.”   (Jackson Kiddard)