Ecco come affrontare i momenti difficili!

È trascorso più di un anno dall’inizio della pandemia e il peso di questa situazione si fa sentire anche tra i più resilienti.
Come superare quindi l’umore nero, la stanchezza psicologica e lo scoraggiamento?

Ecco 7 semplici passi per aiutarci ogni giorno a trovare un po’ di luce:

  1. Per prima cosa dobbiamo evitare di impuntarci su “come dovrebbero andare le cose”: se la realtà è questa, inutile continuare a confrontarla con le nostre aspettative.
    “Accettare la realtà” è fondamentale.
    Più cerchiamo di opporci e più sarà difficile trovare una soluzione.
  2. Non facciamo le vittime, perché piangerci addosso ci rende immobili.
    Dirci che “niente cambierà” ci toglie la responsabilità di agire e di risolvere i problemi.
  3. Guardiamo “dentro di noi” e non fuori.
    Concentriamoci su quello che possiamo cambiare, senza pretendere che cambino gli altri o il contesto in cui viviamo.
    Chiediamoci: “Cosa posso fare io per migliorare la mia situazione?”.
  4. Focalizziamoci su ciò che abbiamo e non su quello che ci manca.
    Siamo vivi? Sani? Amati? Allora non ci manca nulla per affrontare le difficoltà.
  5. Ripetiamoci che questo brutto momento “non durerà per sempre”.
    Nulla è eterno.
    Perciò dedichiamoci a qualcosa che ci fa stare bene e ci permette di ritrovare un po’ di fiducia nel futuro.
  6. Cambiamo prospettiva.
    Come vogliamo vedere le difficoltà?
    Come ostacoli, prove da superare o sfide da vincere? Sta a noi scegliere.
  7. Rendiamoci conto che “molto è possibile” (se dipende da noi, dal nostro atteggiamento, da come reagiamo, da come parliamo a noi stessi) e che spesso le difficoltà ci spingono a scoprire il meglio di noi.

È Pasqua: cambia il tuo punto di vista!

Siamo prossimi alla Pasqua e non avrei mai immaginato di viverla di nuovo blindata in casa per la pandemia. E voi?
Vorrei dirvi che presto finirà, trovare frasi di incoraggiamento e ottimismo, ma come voi anch’io sono stanca, perché è un anno che rispetto diligentemente le regole ed esco solo per lavorare.
Come molti di voi, niente più socialità, trekking in montagna, passeggiate al lago o al mare.

Col passare dei mesi sono venute meno la pazienza, la tolleranza, la comprensione, la speranza. E sono cresciute la stanchezza, l’esasperazione, la frustrazione, l’ansia.

Sembra proprio che tutto vada male… E questo malessere è così diffuso che i prodotti maggiormente pubblicizzati in TV sono proprio quelli contro l’insonnia, l’ansia, l’irritabilità, il mal di stomaco e di testa.
Zero energia, zero positività. Che disastro!

Quindi cosa fare?
Ripiegarci su noi stessi? Abbandonarci all’apatia? Arrenderci alla negatività?

Per me è inaccettabile!
Non voglio abbattermi né violare le regole, perciò l’unica cosa da fare è “cambiare punto di vista”.

Al posto di ascoltare di continuo il mio disagio, che in alcuni momenti è assordante, ho scelto di “dargli un piccolo spazio” nell’arco della giornata.
Per il resto, al posto di elencare tutto ciò che mi manca (nel lavoro, vita sociale, salute, famiglia, ecc.), ho scritto una lista di tutto ciò che posso ancora fare, nonostante le restrizioni e, per aiutare le persone che amo, ho inventato “sfide” sportive (da condividere grazie ad un’app) che alimentano la motivazione a stare nel verde, organizzare al meglio la giornata, avere uno scopo, prendersi cura di sé.

Un amico che purtroppo è stato colpito da una malattia degenerativa, che lo paralizzerà per sempre, mi ha detto: “Ogni giorno penso a quel poco che posso ancora fare, piuttosto che a tutto quello che sto perdendo”.

E per me è un grande esempio, perché se nella nostra vita possiamo ancora muoverci, non importa andare in montagna o al mare.
Possiamo anche camminare al parco vicino a casa.

Questo è il concetto: usare il pensiero creativo per trovare soluzioni che ci facciano stare bene, pur nella difficoltà.

E allora prendiamo esempio anche dai ragazzi, che hanno organizzato party virtuali, aperitivi a distanza, incontri all’aria aperta…

Siamo noi a scegliere come reagire.
Perciò domandiamoci: “Che cosa vogliamo?”.
Crogiolarci nelle nostre emozioni negative o reagire e trovare nuovi modi per coltivare un po’ di serenità?

Impara a chiedere aiuto, se ti vuoi bene.

Nadia è una bella cinquantenne, cresciuta in una famiglia vecchio stampo, con due genitori che hanno cresciuto i figli senza aiuti e un padre che, nel lavoro, si è fatto tutto da sé.
Il mantra che lei ha ascoltato sin da piccola è “Chi fa da sé, fa per tre” e infatti non ha mai visto i suoi genitori chiedere aiuto a nessuno. E le rare volte in cui l’hanno fatto, si sono sdebitati immediatamente con un dono.

Questo l’ha spinta a fare altrettanto, con grandi sacrifici e molte frustrazioni, caricandosi sempre più pesi e rifiutando l’aiuto di chi glielo offriva, col risultato di apparire orgogliosa, forse anche un po’ superba.
Tutti la vedono indipendente, autonoma, forte… Così deducono che non abbia né gradisca l’aiuto di nessuno e lei ne soffre.

Ci sono tante persone come Nadia, “bloccate” nel chiedere o incerte sul farlo per non sembrare invadenti o inopportune.

La verità, però, è che tutti abbiamo bisogno di sostegno, che sia concreto o psicologico.

Saper chiedere ci rende “umani” agli occhi degli altri. Non farlo, ci fa apparire come supereroi (anche se non lo siamo) e nessuno ama avere a che fare con un supereroe, perché fa sentire inadeguati.

Ma come “chiedere”?

Ovviamente, prima di farlo, valutare la possibilità di fare da sé, se non altro per evitare di approfittarci dell’altro.

Importante è aver chiaro ciò di cui abbiamo bisogno ed esprimerlo con semplicità: scegliere il momento adatto e le parole giuste.
Fare la nostra richiesta con tono spontaneo e frasi sincere.

Non dobbiamo temere di essere giudicati o rifiutati.

Lo scopo è chiedere aiuto, non essere certi che ci verrà accordato.

Perciò non dobbiamo nascondere di essere in difficoltà: non si tratta di fare le vittime, di piangersi addosso, ma di chiedere consiglio o aiuto in qualcosa che non siamo in grado di fare da soli.

Una volta ricevuto l’aiuto, poi, non sdebitiamoci subito, come a dire “Ecco, non ti devo più nulla! Con te ho chiuso!”, ma

ringraziamo con qualcosa di simbolico: un fiore, un bel biglietto di gratitudine, parole di ringraziamento sincere.

Tanto è scontato che, se siamo persone che chiedono poco, saremo grate e disponibili a ricambiare quando l’altro avrà bisogno.

La primavera è alle porte, ma i ragazzi stanno “sfiorendo”!

La primavera è rinascita, cambiamento. E per i ragazzi è da sempre momento di gioia, di nuovi amori, di conto alla rovescia. Sono questi i mesi dello sprint finale per evitare i debiti, ma anche i fine settimana da trascorrere al parco con gli amici. Momenti fondamentali per un adolescente che ha bisogno di risultati, ma anche di confronto e condivisione con gli altri.

Oggi, però, i ragazzi osservano la primavera dalla finestra e, se a novembre erano arrabbiati, a dicembre in crisi, ora sono stanchi e demotivati, esasperati e depressi, perché la percezione che hanno è che “non cambi nulla”.

E non possiamo dargli torto.

Come Teen Coach me ne rendo conto, perché li seguo da vicino.
I mesi scorsi mi chiedevano aiuto perché la concentrazione scarseggiava durante le lezioni a distanza e  i voti si abbassavano. Mancava loro il rapporto diretto coi compagni e con i docenti, ma almeno avevano la speranza di veder cambiare le cose.

Ora non più.

Il breve ritorno alla didattica in presenza, per certi versi, ha solo peggiorato la situazione, perché i ragazzi si sono trovati a sostenere verifiche e interrogazioni quotidiane svolte in tempi stretti e con zero tolleranza da parte dei docenti. Nulla a che vedere con la “scuola” in presenza a cui erano abituati.

I liceali che seguo, infatti, mi raccontano di interrogazioni fatte a cronometro (dieci minuti e stop), di settimana in presenza con più interrogazioni giornaliere… Gli universitari mi parlano di esami scritti che nemmeno possono rivedere, una volta corretti.
Sbagliare e non sapere dove né come rimediare… Davvero destabilizzante per chi ci tiene a migliorare.

Già, perché gli adolescenti non sono tutti svogliati, votati all’happy hour: ce ne sono tanti che considerano la scuola/università importante e che si impegnano per ottenere buoni risultati.

Ora però sono sfiniti.
Io li vedo, ascolto i loro vissuti e mi rendo conto che stanno pagando un prezzo altissimo a causa della pandemia.

Studiano, si impegnano, seguono le lezioni, ma i mesi tutti uguali ormai sono tanti e “nulla cambia” per loro. Hanno esami e verifiche concentrati in poco tempo, così l’ansia da prestazione aumenta a dismisura. Ed è facile poi dire “basta che studi”. Non è così. Non basta. Non più.

Spesso hanno a che fare con docenti a loro volta pressati, inquieti, preoccupati e spaventati all’idea del contagio. Docenti che si sono dovuti inventare una nuova didattica, piegare a protocolli sempre diversi, senza aver più un confronto diretto con gli studenti.
E così molti hanno perso di vista l’aspetto più importante dell’essere docente: l’umanità, fatta di comprensione e tolleranza per la fatica condivisa.

Quale soluzione trovare?

Non c’è un “vaccino” uguale per tutti.
Tuttavia dobbiamo far sì che i giovani non si abbattano del tutto.

Dobbiamo coltivare in loro la speranza.
Non quella per cui “restare seduti” ad attendere che le cose cambino, che “i grandi” facciano qualcosa per loro.
Speranza nel senso di fiducia e impegno in direzione di un miglioramento, che certamente avverrà (anche se non sappiamo quando).

Gli adolescenti vedono tutto o bianco o nero. In questo momento “solo nero”.

Sta a noi, quindi, far loro cogliere le sfumature, aiutarli a dare un senso a questa attesa, fatta però di “azione” verso uno scopo.
Sta a noi sostenerli, affiancarli, motivarli a non mollare… Perché stavolta il peso da portare è troppo pesante e da soli non ce la fanno.

In questo periodo, meglio fare programmi o vivere alla giornata?

Ebbene lo ammetto: sono una di quelle che ama programmare. Ecco, l’ho detto!
E sono pure brava, perché so calcolare i tempi e difficilmente sbaglio.

Cosa c’è di meglio?, direte voi.
Fino a qualche tempo fa, nulla: saper elaborare programmi, conoscere il modo con cui portarli a termine e in quanto tempo, sono sempre stati un gran vantaggio. Garantisco!

Ma oggi… Oggi è dura!

Perché con l’arrivo del Covid-19, fare programmi a lungo termine non serve a niente, anzi, è pure controproducente, perché quando meno te l’aspetti… la tua regione cambia colore, il tuo lavoro cambia orari, modalità, strumenti… e la tua vita è in balia degli eventi, delle statistiche, di un virus fuori controllo.

Se anche voi siete come me, sapete di cosa parlo.

E allora, certamente, vi troverete nella condizione per cui avete speso del tempo a programmare (quando magari avreste avuto voglia di fare altro) e quel programma viene cancellato di colpo e non certo per colpa vostra.
Un senso di frustrazione, di precarietà e, siamo sinceri, anche una gran scocciatura.
E allora… qualche esclamazione colorita può anche scappare…

Perché è tutto da rifare… o no?  NO!

Nel senso che non ha più molto senso fare programmi a lungo e medio termine.

Quando saltano, infatti, ci si sente disorientati e non è proprio una bella sensazione, soprattutto se siamo di quelli che non stanno mai fermi, che hanno sempre qualcosa da fare, che odiano il divano e la passività.

Tuttavia questo tempo, così strano, ci insegna qualcosa, ovvero a imparare a “vivere alla giornata”.

Giuro, non avrei mai pensato di pronunciarlo né come Laura né come Coach!
Perché per il mio cervello, “vivere alla giornata” è sinonimo di “buttare via il tempo”, “oziare”.

In realtà questo periodo mi sta insegnando qualcosa di molto prezioso: accorciare i tempi e fare programmi a breve, brevissimo termine.

Significa avere ben chiaro che cosa è importante fare l’indomani, al massimo nei successivi cinque giorni, ma non di più (visto che i Dpcm sono quindicinali).
Perciò, se da un lato è importante continuare a dare un senso alle nostre giornate, dall’altro non ha senso fare programmi troppo in là nel tempo.

Imparare a pensare di giorno in giorno, arrivando a sera soddisfatti di ciò che abbiamo fatto e pensare a ciò che dobbiamo/vogliamo/possiamo fare l’indomani, a seconda delle reali priorità.

Questo è (forse) il segreto per essere sereni in un periodo così buio come questo.
Perciò, muniti di carta e penna,

registriamo gli impegni da portare a termine nel giro di cinque giorni: scriviamoli in una lista in ordine sparso e poi, ogni sera, proviamo a prendere alcune voci della lista per inserirle in ciò che faremo l’indomani.

Riuscire a spuntare di giorno in giorno le attività programmate ci servirà per sentirci motivati…
Ma… Attenzione a non esagerare!
Programmare “troppe” attività/impegni e non riuscire a portarli a termine può avere l’effetto contrario, ovvero farci sentire frustrati e insoddisfatti, facendoci perdere l’energia per affrontare una nuova giornata.

Il 2020 che finisce… è davvero tutto da buttare?

Il 2020 sta per scomparire, ma di lui parleranno i libri di storia.
Tutti non vedono l’ora che si chiuda, ricordando tutto il male che ha provocato: morti, ospedali al collasso, economia in ginocchio, perdita del lavoro, paura e lacrime.
Ha stravolto anche la nostra vita, togliendoci quelle certezze che davamo per scontate, come frequentare la scuola in presenza.

Ci ha tolto quei gesti spontanei che caratterizzavano il nostro essere umani, come le strette di mano, gli abbracci, i baci.
Ci ha tolto persino la possibilità di mostrare le nostre emozioni attraverso le espressioni del viso.
E abbiamo smesso di vedere sorrisi e risate, con l’uso della mascherina.

Ci siamo divisi in negazionisti, complottisti e non. E ci siamo scagliati gli uni contro gli altri.

Abbiamo scandito le nostre giornate sulla base dei dpcm a cadenza quindicinale.
Ci siamo sentiti confusi, spaventati, persi.

Abbiamo imparato a rispettare le regole per proteggerci e per proteggere le persone che amiamo, come i nonni o i genitori anziani.
Abbiamo accettato, sconvolti, di fare ore di coda per comprare cibo o medicine.
E durante il lockdown abbiamo trasformato le nostre case in uffici, aule scolastiche, palestre e panetterie.

La tecnologia, che spesso avevamo criticato aspramente, ci ha permesso di restare in contatto, di “vederci” attraverso uno schermo, di pranzare insieme seppure a distanza.

È ormai un anno che viviamo così e a volte ho quasi paura di dimenticarmi com’era la vita prima del Covid-19.

Molti infatti, perdendo la speranza, sono caduti in depressione, mentre altri hanno sviluppato paure e sindromi che impediscono loro di vivere a colori.

Un anno quindi da cancellare, da dimenticare, da sotterrare… o forse no, perché ci ha scossi così tanto dal nostro torpore, dal nostro dare tutto per scontato, acquisito, certo, da rimettere in discussione la scala dei nostri valori.

La Vita e la salute sono tornate al primo posto. Così come la famiglia e gli affetti.

Famiglie che si incontravano a mala pena la sera, a cena, si sono ritrovate a mangiare insieme, guardandosi negli occhi. Non più pasti veloci per poi uscire o badare ai propri impegni.

Il tempo si è dilatato. L’abbiamo dovuto riempire.
E allora abbiamo riscoperto la bellezza di stare insieme.

La casa, da carcere, è diventata “nido”: un luogo sicuro e pieno di calore.
Abbiamo visto genitori e figli sui balconi, cantare insieme e appendere messaggi di incoraggiamento, ma anche cucinare e fare ginnastica insieme.

Una condivisione impensabile, senza il Covid-19.

E allora non è un anno da buttare via.
Ci ha dimostrato che gli affetti sono la vera ricchezza; che i figli sono impegnativi, ma stare con loro dà gioia; che i genitori sono un punto di riferimento importante e che i nonni mancano, quando non si possono incontrare.

Gli studenti hanno scoperto di apprezzare così tanto la scuola in presenza, da sentirsi tristi e demotivati, senza.
Ciascuno di noi, poi, si è potuto “guardare dentro”, facendosi domande che mai si sarebbe posto se avesse continuato a correre, dividendosi tra lavoro e impegni vari.

Abbiamo rivalutato certe amicizie e deciso di cancellarne altre, perché superficiali e false.
Abbiamo avuto tempo per guardare negli occhi il nostro partner e ricordarci perché l’abbiamo scelto, apprezzandone il sostegno e le qualità.

Sì, lo so, non per tutti è stato così… Ma siamo così abituati a cogliere il peggio che c’è, da scordarci ciò che di positivo può regalarci un anno…
Eh, sì, anche un anno come questo.

Buon 2021!

Covid-19 e l’importanza di mettere al centro le persone.

Quante persone ho “incontrato” virtualmente, a seguito del mio video su come superare la paura del Covid-19! Donne e uomini di diverse età, che mi hanno fatta partecipe delle loro emozioni, che mi hanno esposto i loro problemi, chiedendomi un consiglio.
Donne e uomini “veri”, con cuore e volontà di vivere meglio in questo periodo così difficile.

Non sono mancati i patiti della polemica: quelli aggressivi, che pretendono che tutti siano d’accordo con loro. Fortunatamente, davvero pochi, sebbene molto insistenti.
Ecco, mi sono resa conto che proprio costoro non hanno capito il senso del mio video, perché

adesso non è importante alzare la voce per ottenere ragione, ma fare in modo che le persone si sentano meglio, anche se sono chiuse in casa o al lavoro.

Qui non c’entra più se esiste o meno il virus, se ci credo oppure no.
L’unica cosa che mi importa sono le persone. Sì, pure quelle che non conosco, ma che mi parlano del loro disagio.

Sono le persone, quelle su cui tutti dovremmo concentrarci.

Una volta, quando ci si guardava in viso senza mascherina, bastava fare un sorriso per rasserenare l’altra persona. Oggi siamo coperti, ma possiamo sempre esprimerci con le parole.

Quanta bellezza c’è, infatti, nelle parole ricevute al momento giusto!
E non serve essere degli oratori per toccare il cuore dell’altro.
Basta ascoltare quello che ci dice e come lo dice.
Saper ascoltare con orecchie e cuore è un dono, ma anche un’abilità che si può imparare ed allenare.

Tutto parte dal considerare importante ciò che l’altro dice, perché nulla è scontato.

Proviamo, ad esempio, a cominciare a chiedere “Come stai” con un tono davvero interessato, guardando fisso negli occhi l’altra persona. Diamole il tempo di rispondere con calma. Non mostriamoci seccati o annoiati o distratti. Le persone “sentono” se siamo interessati a loro.
E piuttosto del frettoloso “Tutto bene?!”, meglio un semplice saluto.

Mai come ora c’è bisogno di vicinanza, di comprensione.

Non ci servono gli agitatori di folle, quelli che gridano, insultano, ci giudicano “fragili” per le nostre paure o per il rispetto che portiamo alle regole.
Abbiamo bisogno di un briciolo di serenità, di normalità, di amore.

E allora allontaniamo da noi chi ci fa sentire sbagliati, deboli. Non lo siamo!

Stiamo combattendo una battaglia con le nostre emozioni, tutti i giorni.
Possiamo sentirci a terra e chiedere aiuto per questo, ma è la dimostrazione che siamo forti, perché desideriamo stare meglio.

E se chi ci sta intorno non lo capisce, non perdiamo tempo a spiegarglielo.
Abbiamo bisogno di momenti sereni e non dobbiamo sprecare le nostre energie per chi davvero non se lo merita.

Se vuoi trasmettere a tuo figlio di non tenere a lui, lascia che rientri sempre più tardi.

Siamo in piena estate e – Covid o meno – i ragazzi in vacanza o a casa pressano per uscire la sera e soprattutto per rientrare sempre più tardi.

A mezzanotte ormai rientra solo cenerentola… perché gli adolescenti, anche se minorenni, tendono a rientrare tra l’una e le quattro del mattino…

Alcune madri disperate, ma rassegnate, mi hanno detto: “Cerco di stare sveglia ad aspettarlo, ma poi crollo!” oppure “Io e mio marito ci diamo il cambio: un po’ sto sveglia io e un po’ sta sveglio lui, finché nostra figlia non rientra”…

Ma c’è stata una madre che mi ha detto seccata: “Mia figlia non ne vuole sapere di tornare a casa entro mezzanotte, ma perché io non posso godermi il riposo che aspetto tutto l’anno?”.

E l’obiettivo è proprio questo: essere felici voi e i vostri figli. Non solo loro.
Non dimenticate che i ragazzi hanno i loro bisogni, ma voi avete i vostri.

Meglio quindi raggiungere un compromesso.
Ad esempio: proponete il coprifuoco a mezzanotte, così vostro figlio chiederà l’una e arriverete a mezzanotte e mezza.

Anche se dovete avere ben chiaro qual è il limite per voi.
Le 3 di notte, onestamente, sono ingiustificate, visto che non vanno a scuola e quindi gli amici possono vederli durante il giorno.

Il concetto è porre un limite che sia utile a salvaguardare la loro sicurezza e incolumità. Quindi una regola educativa, non punitiva.

E se si lamentano che “tutti stanno fuori fino alle 3”, senza polemica né tono seccato, ribadite che – secondo voi – non vi è motivo di stare in giro fino a quell’ora. E non raccogliete le provocazioni, non state a discutere. Il limite è questo. Punto.

Dite: “Non ce l’ho con te, anzi! Ti voglio bene e proprio per questo non trovo sicuro che tu stia in giro fino a tarda notte”.

Non dico che sarà una passeggiata… ma provateci! E fatemi sapere!

Grazie alla mia Coach, la mia vita è ripartita meglio di prima!

Ciao a tutti! Mi chiamo Sara, ho 17 anni e … è la prima volta che parlo di me pubblicamente, perciò spero di non annoiare nessuno.

Molti mesi fa, all’inizio del mio penultimo anno di liceo, erano cambiate molte cose: alcuni prof. a cui mi ero affezionata non c’erano più; in classe era arrivata una nuova compagna molto aggressiva; le mie prime verifiche erano andate male e io ero andata proprio in crisi.

Non so… ero tesa, nervosa, anche demoralizzata, perché non funzionava più niente nella mia vita e le mie amiche mi avevano tagliata fuori, seguendo la nuova compagna, una vera leader, che non mi poteva vedere!

Non è che io sia una tipa super festaiola: ci tengo ad avere buoni voti e per questo esco solo il sabato e/o la domenica… Ma era sempre andata bene alle mie amiche, che erano un po’ come me.

Poi di colpo è cambiato tutto! E io mi sono sentita sempre peggio…
Le mie amiche volevano uscire solo con questa compagna e la sua compagnia di ragazzi un po’ più grandi e io non andavo più bene.

Adesso posso dirlo: soffrivo e mi arrabbiavo per questo. Ma dopo i primi due mesi così… ho cominciato a sentirmi sempre più triste e sola.
I miei genitori mi dicevano: “Esci! Divertiti!”. Ma con chi?
Le mie amiche erano diventate così diverse da me! Sembravano più grandi e io mi sentivo proprio uno schifo vicino a loro.
Ogni volta che le vedevo a scuola ero a disagio; ogni volta che avevo una verifica avevo una paura terribile di sbagliare e quando ero interrogata mi veniva la nausea.
Che brutto periodo!

Poi, grazie ad un’amica dei miei genitori, ho incontrato Laura!

I Miei mi avevano spiegato che non sarebbe stato l’inizio di un percorso, ma solo una sessione di coaching per capire il mio problema e conoscermi. Beh, il fatto di sapere di poter scegliere se proseguire o no mi aveva tolto un po’ di ansia, ma… il miracolo – come dico io – l’ha fatto lei, Laura, col suo sorriso e la sua tranquillità. Mi ha ascoltata davvero… Capivo che lo faceva con grande attenzione e interesse, senza mettermi a disagio, senza giudicarmi.

Alla fine del primo incontro lei era riuscita a fare centro e mi aveva spiegato come avremmo potuto procedere per farmi tornare serena e sicura di me.
Ero così contenta che ho chiesto io di fare il percorso e da lì è cominciata la mia risalita.

Ogni volta non vedevo l’ora di incontrarla, perché capivo qualcosa in più di me, e lei mi trasmetteva una gran forza.
Poi è arrivato il Covid-19 e ho avuto paura di interrompere il mio percorso e di crollare di nuovo.

Invece no! Abbiamo continuato vedendoci a distanza via Skype ed è andata benissimo, perché ho continuato a “crescere” e ad allenare le mie potenzialità.
Grazie alla mia Coach, ho usato così bene il tempo che ho guadagnato davvero voti eccellenti e poi ho ripreso i contatti con le mie amiche.

Per me l’isolamento è stato un momento positivo, perché la mia vita è ripartita.
Laura mi ha sempre tampinata, anche quando non eravamo in sessione.
Non mi sono mai sentita sola e questo mi ha dato forza. Lei è una vera forza! E io spero di diventare tosta come lei… Anche se lei dice che forte lo sono sempre stata, senza nemmeno accorgermene.

Ho imparato tanto e ho “spuntato” parecchi obiettivi.
Ora che sono in vacanza mi guardo indietro e mi sento nuova.

Sento di essere io, quella vera. So che non sarà facile affrontare nuovi problemi… perché ce ne saranno!, ma sento di poterci riuscire.
Ho capito come fare e Laura mi ha regalato tanti strumenti per fare da sola.

Cara Laura, sarai sempre la mia Coach!

Con affetto,
Sara R.

Genitori e nonni, riappropriatevi del vostro fondamentale ruolo educativo.

Stiamo tornando pian piano alla normalità e si nota anche nella gestione delle relazioni familiari. Basta trascorrere una giornata all’aperto in mezzo agli altri per rendersi conto che nulla, proprio nulla è cambiato. Il Covid-19, ad esempio, non ha fatto riscoprire a certi giovani il valore e la gioia di avere ancora in vita i nonni né la fortuna di avere al fianco i genitori… Tutto è rimasto scontato.
Mi riferisco all’atteggiamento di molti figli nei confronti dei genitori e di parecchi nipoti nei confronti dei nonni.
Ora, d’accordo che non siamo più nell’Ottocento e nemmeno nel Novecento, ma vi pare corretto che un bambino si rivolga al genitore o alla nonna con tono arrogante, aggressivo e gesti che farebbero irritare anche un santo?
Smettiamola di giustificare questi comportamenti con la solita frase: “Sono bambini!”, perché poi diventa la giustificazione usata quando diventano adolescenti e poi giovani.

Perché abbiamo così tanta paura di “fare gli adulti”? Di assumerci il ruolo di educatori? Perché dobbiamo mostrarci e comportarci per forza come “compagni di merenda”, complici della scorrettezza dei più piccoli?

Il problema che si pone, infatti, non è “il bambino maleducato”, ma l’adulto che proprio non vuole assumersi la responsabilità (e lo stress) di intervenire, di spiegare, di fermare certi atteggiamenti che, in altre nazioni (ve lo garantisco), non sarebbero tollerati.

Vi faccio degli esempi.

Un padre che, vedendo in casa la figlia dodicenne truccarsi come un’adulta appariscente, commenta con tono scherzoso: “Cos’è questo trucco così pesante? Non ti sembrerebbe il caso di evitare, considerata la tua età?!” e poi la lascia uscire comunque, non ha capito nulla del suo ruolo, che non è solo quello di educare, ma anche di proteggere, perché una ragazzina totalmente inesperta della Vita, che appare come una maggiorenne navigata… be’, va certamente incontro a dei seri rischi.

Gli adulti devono avere ben chiaro quali sono “i paletti” da mettere per segnare i confini entro i quali far muovere i figli. Se non lo fanno… la colpa delle azioni e reazioni dei figli è solo loro.

Non è questione di rigidità, ma di ragionare, riflettere coi figli: comunicare loro il senso delle proprie scelte, ma senza lasciare ai piccoli il potere di cambiarle o rifiutarle.

Non è nemmeno questione di severità, perché per vivere in mezzo agli altri dobbiamo essere capaci di condividere e rispettare regole che non vengono da noi (e che magari nemmeno ci piacciono).

Allora, la nonna che permette alla nipotina di otto anni di trattarla come uno zerbino, non sta dimostrando “pazienza e amore”, ma disinteresse e totale mancanza di dignità.
Non solo, ma crea alla bimba l’illusione di essere onnipotente, di poter maltrattare gli altri (come fa con lei). Cosa farà quando si troverà davanti le regole da rispettare a scuola e nel mondo?

Sapete, credo profondamente nell’educazione ai valori e ai principi che regolano le relazioni con gli altri, nel rispetto della libertà (propria e altrui) e davvero non mi capacito di come un adulto con esperienza possa liberamente scegliere di eludere il suo fondamentale compito.
Nessun cucciolo d’uomo dovrebbe permettersi di trattare un adulto come un coetaneo: significherebbe non aver compreso la differenza di ruoli né la gerarchia. Principi fondamentali che regolano la vita nella società.

Ma questi cuccioli non possono educarsi da soli: hanno bisogno di noi, di adulti responsabili, con le idee chiare su cosa è giusto e cosa no, su quali sono i confini da non oltrepassare.

Un ruolo fondamentale , quello dell’adulto, che deve essere disposto a difendere con convinzione, energia e costanza. Quando tutti gli adulti (genitori, nonni, insegnanti, allenatori, ecc.) interiorizzeranno questa grande verità e si riapproprieranno del loro importante ruolo educativo… allora sì le cose potranno cambiare. Ma fino ad allora…