Studenti in crisi dopo la prima settimana di scuola!

La scuola è iniziata ormai da una settimana e la bella notizia è che è ripresa in presenza.
Meraviglioso, no?

I ragazzi così possono ritrovarsi in classe coi compagni, ascoltare gli insegnanti che spiegano, uscire di casa tutte le mattine, non essere più soli.

E allora come mai ci sono ragazzi già in crisi?

La risposta è articolata.

Per prima cosa, durante la Dad si è persa un po’ l’abitudine alla classe.
I rapporti con i compagni, poi, sono diventati un po’ freddi e distanti. In alcuni casi sono scomparsi del tutto.

Così, tutta la perdita di socialità di cui si è sentito parlare, in realtà non era proprio riferita alla vita di classe, dove i compagni ascoltano le interrogazioni e giudicano (soprattutto se la prestazione è scarsa); dove la prof. restituisce le verifiche insufficienti e il votaccio è in bella mostra sul foglio davanti agli occhi di tutti.
E che dire degli intervalli, dove magari si resta tagliati fuori dal gruppetto leader e ci si sente così a disagio da voler scomparire?

Svegliarsi presto, uscire di corsa, ascoltare una prof. noiosa (senza addormentarsi) e indossare la mascherina per ore… Poi tornare a casa tardi, pranzare e via!

Sia ben chiaro: sono assolutamente favorevole e contenta delle lezioni in presenza, ma non posso fare a meno di ascoltare i ragazzi che mi parlano del loro disagio (antipatie, ansie, preoccupazioni, cadute dell’autostima).

Alcuni hanno già iniziato con verifiche, interrogazioni e la loro ansia è già andata alle stelle: faticano persino a dormire.

Ragazzi troppo fragili?  Non direi!
Per molti mesi si sono abituati a una scuola da seguire in casa propria, da soli.
Ora devono cancellare abitudini e ritmi della Dad per tornare a fronteggiare lo stress che la scuola in presenza richiede (corse, pranzi nel pomeriggio, cene veloci per poi ripassare, ecc.).

Si tratta di cambiare un’abitudine e per riuscire a farlo al meglio ci vogliono alcuni mesi.

Quindi…
I ragazzi possono apparire e risultare affaticati (sì, nonostante le lunghe vacanze);
possono essere preoccupati e in ansia oppure possono mostrarsi delusi dal rapporto coi compagni.

Per riprendere alla grande, devono impiegare un po’ di tempo: ora sono un po’… arrugginiti in tutti i sensi.

Perciò cosa fare?
– Non minimizzare né amplificare il loro disagio.
– Ascoltarli.
– Prendere in seria considerazione i loro bisogni (se li esprimono).
– Sostenerli e mettere in conto che per riprendere il giusto ritmo ci vorranno parecchie settimane.
– Spronarli a dare del loro meglio, senza caricarli di aspettative eccessive.
– Non sottovalutare le loro manifestazioni di ansia.

Se poi esprimono la necessità di essere affiancati da un professionista (teen coach, psicologo, counselor), meglio non perdere tempo e cercare il più adatto a far sì che i ragazzi tornino ad avere fiducia in se stessi e nelle proprie capacità, gestendo al meglio le difficoltà che la ripresa della scuola in presenza comporta.

Maledetta ansia scolastica! Come aiutare i figli a vincerla.

Sono molti i ragazzi che soffrono di ansia da prestazione scolastica e non vi è età, dato che coinvolge sia gli studenti della primaria sia gli universitari.

Ma di che cosa si tratta?

Di solito è legata alla paura dell’insuccesso, del giudizio negativo degli altri oppure al timore di non essere in grado di superare la verifica o l’esame.
Praticamente parte dal desiderio di essere ammirati, amati, ma anche dalla paura di essere ridicolizzati o addirittura rifiutati in caso di mancato superamento della prova.

I genitori, d’altra parte, sono spesso concentrati sul rendimento scolastico, sui voti, e talvolta pongono poca attenzione agli aspetti emotivi e affettivi.

Quante volte capita che figli diligenti e sensibili facciano di tutto per ottenere voti eccellenti nella convinzione di poter essere più amati dai genitori (magari rispetto a fratelli e sorelle)!

Il problema è che si crea un circolo vizioso: più i figli temono di sbagliare la prova e più aumenta l’ansia, con la conseguenza di sbagliare davvero e alimentare quindi la paura di non farcela.

Da dove partire per aiutarli?

Prima di tutto, facendo loro capire che non è necessario essere bravi a tutti i costi: l’importante è dare il meglio di sé, impegnarsi.
E poi smetterla di ragionare e valutare i figli in termini di “numeri”, cioè voti.

I figli devono aver chiaro che il loro “essere”, fatto di valori e qualità, è nettamente separato dal loro “avere” buoni voti.
Se sbagliano una prova, restano comunque degli “esseri stupendi”!

Dobbiamo poi renderli consapevoli che “sbagliare” fa parte dell’affrontare la vita ed è bene che accada, per imparare a superare la frustrazione che ne deriva.
Perciò affianchiamoli per far loro capire dove hanno sbagliato e trovare insieme il modo di recuperare, ma in totale assenza di giudizio.

I figli hanno bisogno di essere rassicurati sul fatto che non li vogliamo “perfetti”.

I ragazzi, che si pongono da soli obiettivi ambiziosi, tendono a non accettare cali di rendimento.
Ecco che dobbiamo farli riflettere sugli inconvenienti, come ad esempio un mal di testa, che possono limitare la prestazione.

È necessario che capiscano di non poter avere sempre un costante ed eccellente rendimento, perché ci sono variabili fuori dal loro controllo.

E… che siano sportivi o meno, facciamo in modo che “si scarichino”, magari andando all’aperto, nel verde, perché l’ansia prosciuga le energie e per rendere al meglio c’è bisogno proprio di quelle.

La primavera è alle porte, ma i ragazzi stanno “sfiorendo”!

La primavera è rinascita, cambiamento. E per i ragazzi è da sempre momento di gioia, di nuovi amori, di conto alla rovescia. Sono questi i mesi dello sprint finale per evitare i debiti, ma anche i fine settimana da trascorrere al parco con gli amici. Momenti fondamentali per un adolescente che ha bisogno di risultati, ma anche di confronto e condivisione con gli altri.

Oggi, però, i ragazzi osservano la primavera dalla finestra e, se a novembre erano arrabbiati, a dicembre in crisi, ora sono stanchi e demotivati, esasperati e depressi, perché la percezione che hanno è che “non cambi nulla”.

E non possiamo dargli torto.

Come Teen Coach me ne rendo conto, perché li seguo da vicino.
I mesi scorsi mi chiedevano aiuto perché la concentrazione scarseggiava durante le lezioni a distanza e  i voti si abbassavano. Mancava loro il rapporto diretto coi compagni e con i docenti, ma almeno avevano la speranza di veder cambiare le cose.

Ora non più.

Il breve ritorno alla didattica in presenza, per certi versi, ha solo peggiorato la situazione, perché i ragazzi si sono trovati a sostenere verifiche e interrogazioni quotidiane svolte in tempi stretti e con zero tolleranza da parte dei docenti. Nulla a che vedere con la “scuola” in presenza a cui erano abituati.

I liceali che seguo, infatti, mi raccontano di interrogazioni fatte a cronometro (dieci minuti e stop), di settimana in presenza con più interrogazioni giornaliere… Gli universitari mi parlano di esami scritti che nemmeno possono rivedere, una volta corretti.
Sbagliare e non sapere dove né come rimediare… Davvero destabilizzante per chi ci tiene a migliorare.

Già, perché gli adolescenti non sono tutti svogliati, votati all’happy hour: ce ne sono tanti che considerano la scuola/università importante e che si impegnano per ottenere buoni risultati.

Ora però sono sfiniti.
Io li vedo, ascolto i loro vissuti e mi rendo conto che stanno pagando un prezzo altissimo a causa della pandemia.

Studiano, si impegnano, seguono le lezioni, ma i mesi tutti uguali ormai sono tanti e “nulla cambia” per loro. Hanno esami e verifiche concentrati in poco tempo, così l’ansia da prestazione aumenta a dismisura. Ed è facile poi dire “basta che studi”. Non è così. Non basta. Non più.

Spesso hanno a che fare con docenti a loro volta pressati, inquieti, preoccupati e spaventati all’idea del contagio. Docenti che si sono dovuti inventare una nuova didattica, piegare a protocolli sempre diversi, senza aver più un confronto diretto con gli studenti.
E così molti hanno perso di vista l’aspetto più importante dell’essere docente: l’umanità, fatta di comprensione e tolleranza per la fatica condivisa.

Quale soluzione trovare?

Non c’è un “vaccino” uguale per tutti.
Tuttavia dobbiamo far sì che i giovani non si abbattano del tutto.

Dobbiamo coltivare in loro la speranza.
Non quella per cui “restare seduti” ad attendere che le cose cambino, che “i grandi” facciano qualcosa per loro.
Speranza nel senso di fiducia e impegno in direzione di un miglioramento, che certamente avverrà (anche se non sappiamo quando).

Gli adolescenti vedono tutto o bianco o nero. In questo momento “solo nero”.

Sta a noi, quindi, far loro cogliere le sfumature, aiutarli a dare un senso a questa attesa, fatta però di “azione” verso uno scopo.
Sta a noi sostenerli, affiancarli, motivarli a non mollare… Perché stavolta il peso da portare è troppo pesante e da soli non ce la fanno.

Gli adolescenti… Che bella storia!

Le gioie vanno condivise… e quando parlo di “ragazzi” per me è sempre una bella storia.

Ho conosciuto Matteo quasi due anni fa. Un ragazzone dagli occhi buoni e dai modi educati. Certamente più maturo rispetto alla sua età, innamorato di una ragazza che lui sente di dover proteggere perché “ancora ingenua”. Un vero amico: disponibile, sincero, molto empatico e ben voluto.
Il classico adolescente, però, che nasconde sotto un’armatura il suo vero e meraviglioso “io”: la sensibilità nascosta sotto un’espressione seria, talvolta dura. La sua coerenza e integrità che gli procurano discussioni e arrabbiature.

Quando ci siamo parlati la prima volta, mi ha detto una frase che non scorderò mai: “Eh, magari in un’altra vita!”. Non aveva capito di poter avere tutte le vite che desidera.

Mi confessava: “Ho mollato l’università, perché evidentemente non so studiare”.
E non si rendeva conto di essere più intelligente di tanti altri.

Ammetteva con dispiacere: “Ho fatto molti sport, ma non li ho portati a termine”, senza capire di aver fatto mille esperienze, che nessuno gli porterà mai via.

Non vedeva le sue qualità e si dipingeva con le parole degli altri: “Interessi? Mmm… non ne ho”.
E invece…

Il suo obiettivo l’aveva chiaro in testa: “Voglio conoscermi, capire chi sono e cosa posso fare”.

E la sua mamma è stata davvero lungimirante, visto che mi ha contattata lei, e ha fatto a suo figlio questo enorme regalo.

Matteo OGGI ha uno sguardo deciso, che trasmette vibrazioni positive:
sta terminando i due anni della scuola di specializzazione post-diploma che ha intrapreso al posto dell’università e mi parla del tirocinio che ha iniziato in azienda, dimostrando tutto il suo interesse.

La sua ragazza è al suo fianco e lui continua ad esserne innamorato di quell’amore fatto di ascolto, condivisione, ma anche di arrabbiature e discussioni che fanno crescere.

Lo vedo sereno, equilibrato.
E’ un giovane uomo che ora guarda avanti e s’impegna per il suo futuro.
Non più il ragazzo incerto che cerca una riva su cui approdare.

Porta avanti un lavoretto per seguire una sua passione: l’auto che si è comprato da solo e che ha sistemato poco alla volta, studiando la meccanica e tutto il resto.

Pensava di non avere interessi, di essere inconcludente, e invece sta studiando da solo il giapponese e quando parla della cultura nipponica gli brillano gli occhi.

Approfondisce tutto ciò che fa. Non resta mai in superficie.
Ha voglia di fare nuove esperienze, di mettersi alla prova, di cogliere le sfide… Mi trasmette entusiasmi che prima non aveva.

E continua a prendersi a cuore chi è in difficoltà: dall’amico al familiare. Vorrebbe vedere tutti sereni e soffre se capisce di non poter fare nulla per cambiare le cose.

Un’anima bella, come la definisco io.

Un giovane che è diventato grande, perché finalmente conosce le sue possibilità, “vede” i suoi punti di forza e si rende conto della sua unicità.

Se non è una bella storia questa… 😉

Didattica a Distanza: tutti promossi! E ora come lo spiego a mio figlio?

Ormai tutti i docenti e pure i genitori hanno capito come si concluderà l’anno scolastico: praticamente, tutti promossi!

Così, dopo aver raccolto commenti ed esclamazioni di preadolescenti e genitori, ho deciso di mettermi in campo come Coach per aiutarli.

Questo articolo non è “per tutti”: è per chi ha figli nella scuola secondaria di primo grado (la ex scuola media) e “crede” nel valore della scuola e dello studio, tanto da spronare i figli ad applicarsi sempre, in presenza o a distanza. E’ per i genitori di quei figli che si impegnano, che ci tengono a meritare un bel voto e che, in questo periodo di Covid-19, hanno continuato a dare il massimo, senza imbrogli né aiuti.
Parlo di quei ragazzi a cui docenti e genitori hanno detto: “Se vuoi essere promosso, devi studiare!”. E loro l’hanno fatto! Eccome se l’hanno fatto!

Ma ora si sentono confusi nel rendersi conto che quel compagno, che non ha mai partecipato a una video-lezione né mai consegnato compiti né studiato, be’, verrà promosso esattamente come loro.
Un profondo senso di ingiustizia, misto a frustrazione e rabbia.
Ecco cosa esprime quel “Ma non è giusto!”.

E come dar loro torto?!
A quell’età, poi, sono particolarmente sensibili alle ingiustizie, perché la coerenza e le promesse per loro sono sacre.

In realtà la pensano così anche molti genitori, che ben conoscono quel disagio, perché l’hanno già vissuto sia a scuola, da piccoli, sia sul lavoro, da grandi…
E così cercano di aiutare i figli a digerire il boccone amaro, dicendo:

“Non importa! Tu hai fatto il tuo dovere” o “A me degli altri non interessa nulla!”.
Sono frasi buttate lì perché non si sa davvero cosa dire, solo che vengono colte come una mancanza di comprensione e allora… apriti cielo!

Come possiamo aiutarli davvero?

Dobbiamo far centro “dentro di loro”: colpirli a tal punto che la nostra osservazione gli rimanga per sempre e serva a motivarli, nonostante l’ingiustizia.

Il Coaching insegna che la vita è un continuo “allenamento”: ci si allena a impegnarsi, a porsi obiettivi, a fare delle scelte, a essere onesti, determinati, resilienti…

E allora parliamo loro di questo, perché nello sport – che loro praticano spesso a livello agonistico – sanno che tutti si devono allenare in vista della grande gara finale.

Perciò, raccontiamo loro questa storiella (ciascuno la adatti come vuole allo sport praticato dal figlio):
Immagina di giocare in una squadra che dovrà affrontare un campionato importante.
Tu ti alleni sempre, mentre un tuo compagno no.
Arrivati a una settimana prima della partita, il campionato viene sospeso.
Tu senti che non è giusto, ma comunque ti sei preparato: hai imparato tecniche e strategie che ti saranno utili per vincere, quando ripartirà il campionato, mentre al tuo compagno è andata di pura fortuna. Già, perché se il campionato si fosse svolto, non sarebbe stato in grado di affrontarlo e l’allenatore l’avrebbe escluso.

Cosa vuol dire? Che la fortuna oggi c’è, ma domani chissà!

Tu hai puntato su ciò che era sotto il tuo controllo: l’impegno, la costanza, la fatica, la determinazione…
E quando punti su questo, è impossibile non “giocare il campionato”!
La fortuna, invece, è fuori dal tuo controllo: può andarti bene oppure male, ma non dipende da te.
Perciò, non perdere tempo a pensare alle ingiustizie: concentrati su quello che è importante per “giocare in campionato”.
Poniti un obiettivo: nella scuola può essere “Venire promosso”, meglio ancora “Essere promosso con 8 in inglese!”.
Scegli tu l’obiettivo, che sia per te coinvolgente, motivante… E poi non pensare più ad altro se non a raggiungere quello!
Perciò… ecco a cosa è servito il tuo “allenamento” quest’anno: a ripartire alla grande nel prossimo campionato!”.

Sono certa che così molti genitori faranno breccia, offrendo ai propri figli un nuovo punto di vista.
E’ quello che farei io, come Coach!

Ora che mi sono laureato, che lavoro faccio? Indicazioni pratiche per scoprirlo.

Mi auguro sempre che un giovane abbia il desiderio e la tenacia di proseguire gli studi frequentando l’università fino a laurearsi. E in effetti di ex studenti laureati ne ho davvero tanti e nelle discipline più varie: da ingegneria ad archeologia, passando per medicina, farmacia, fino ad arrivare a giurisprudenza.
Un nuovo giovane laureato!
Che gioia per tutti!
Ma poi… ?

Cosa succede se la laurea magistrale conseguita può aprire più porte, ma per questo manda in confusione chi se l’è conquistata?
Sì, cioè, sapere di poterla spendere in più settori, al posto di essere un vantaggio può diventare motivo di dubbi e incertezze sul da farsi.

Quale direzione prendere?
Dove inviare il proprio curriculum?

A meno che non si abbiano le idee veramente chiare sul “cosa fare da grandi”, questa ampia scelta può diventare ingombrante. Ancora di più se si sono già fatti due anni di esperienza con contratti a termine, che poi non sono stati rinnovati.

Avere quindi una laurea quinquennale (come ad esempio in giurisprudenza) e poterla spendere in più campi, ma non sapere in quali buttarsi, fa temere di sbagliare la scelta.
E così ci si immobilizza: si resta fermi a pensare, a valutare…
E intanto il tempo passa e l’ansia aumenta.
Un’ansia che, tra l’altro, viene accresciuta dalle frasi che i familiari e i parenti si sentono di esprimere. Mi riferisco ai cosiddetti consigli del tipo “perché non fai così? Perché non mandi il tuo curriculum lì?”…

E così, al posto di essere d’aiuto come vorrebbero, queste persone generano ancora più confusione. E quando si è confusi, gli altri lo notano e allora ricominciano con i loro consigli e le loro perle di saggezza, che fanno più danno che altro.

“Ma insomma, sei laureato, sì, ma ti devi accontentare!”.
E questa frase uccide i sogni, anche quelli nascosti che non si sono portati a galla.

La situazione quindi diventa questa: sapere di aver studiato qualcosa che si ama, desiderare di lavorare in quel campo, ma essere spinti ad accettare qualcosa di completamente diverso perché “ti devi accontentare”… Che dolore!

E mentre si è combattuti tra il proprio sogno e il doversi accontentare… si resta immobili.

Insomma è un cane che si morde la coda!
Ma come uscirne?

  • Innanzitutto prendere carta e penna e annotarsi un elenco di “mestieri” che ci interessa svolgere. Metterli poi in ordine di gradimento, compiendo questa operazione “di pancia”.
  • Affiancare a ciascun “mestiere” la spiegazione più dettagliata possibile del motivo per cui ci piacerebbe fare quel lavoro.
  • Verificare se in quella professione potremmo usare al meglio le nostre potenzialità.
  • Valutare se il ruolo, che andremmo a ricoprire, “risponde” (in una scala da zero a dieci) al nostro desiderio di realizzazione.
  • Partire dal primo punto della nostra lista e indagare meglio su tutto ciò che serve per svolgere quella professione (ovviamente annotarcelo).

E dopo aver spuntato tutti questi punti, cominciare a cercare indirizzi utili a cui far giungere il nostro curriculum.

La cosa importante, però, è procedere in questo ordine e non cercare a caso, mescolando rami e ruoli diversi senza prima aver chiarito con se stessi i propri desideri e bisogni.

Insomma… prima si prende la mira e solo dopo si spara.
Non viceversa!

Se vuoi “orientarti” bene, inizia in seconda media.

Gli studenti all’ultimo anno della “ex scuola media” hanno solo tre mesi di tempo (da settembre a dicembre) per decidere a quale scuola superiore iscriversi.

E’ una scelta importante, perché frequentare una scuola non adatta significa poi ritrovarsi demotivati, fare fatica a studiare e quindi avere un basso rendimento, che porta col tempo a sentirsi inadeguati, con la conseguenza di una scarsa autostima nelle proprie capacità.

Tutto questo può portare i ragazzi a non voler più cogliere nuove sfide né a mettersi alla prova.
In poche parole, a non volersi porre obiettivi, per paura di fallire o di non essere in grado di raggiungerli.

Ecco perché orientarsi bene è fondamentale.

Il percorso di Orientamento a scuola, fatto in classe con i docenti, è utile sia per capire le differenze tra i vari tipi di scuola superiore (liceo, istituto Tecnico, professionale, ecc.) sia per conoscere le caratteristiche specifiche di ciascuno (quali materie si studiano, per quante ore, quali sono gli indirizzi e gli sbocchi professionali).
Altrettanto utili, a questo scopo, sono le proposte dei singoli istituti: partecipare al loro Open Day permette di visitarli e di fare delle domande di approfondimento.
Di solito gli studenti trovano interessanti anche i Saloni dell’Orientamento, dove possono raccogliere informazioni e ricevere brochure da consultare con calma a casa insieme alla famiglia.

Nonostante questo, molti ragazzi sbagliano la scelta e si ritrovano bocciati al termine del primo anno.
Come mai?

I ragazzi non si conoscono.
Scelgono spesso in base alla “bravura” a scuola (sono bravo in matematica, quindi liceo scientifico), ma i buoni voti non predicono per forza i risultati futuri, che dipendono da tante variabili (i docenti, il gruppo classe, il contesto).

I voti perciò possono dare indicazioni fuorvianti, poiché non parlano dei desideri, dei sogni, delle passioni e degli hobby dei ragazzi.

Pensate al draghetto Grisù che sputava fuoco, ma voleva fare il pompiere e salvare la gente.
Quello era il suo sogno!

Perciò indaghiamo su che cosa li rende felici e, se non lo sanno, recuperiamo l’informazione da ciò che amavano fare da piccoli.

Quale attività fa perdere loro il senso del tempo e dello spazio?
Dovranno trascorrere cinque anni a scuola: come li vogliono passare?

Non focalizziamoli sul trovare lavoro in futuro, perché il mercato del lavoro è così mutevole che è impossibile prevedere quali saranno gli sbocchi professionali da qui a 5 anni.

Perciò meglio tenere in considerazione le loro potenzialità e aspirazioni, ma anche i loro tempi di concentrazione e il valore che attribuiscono allo studio.

Evitiamo le scelte fatte solo per vicinanza a casa, per seguire il gruppo di amici, per far felici i genitori, seguendo magari le loro orme, oppure per liberarci da una materia in cui facciamo un po’ fatica: le difficoltà fanno parte della vita ed è meglio imparare ad affrontarle, scoprendo come.

Studiare è faticoso, ma scegliere la scuola giusta può renderlo piacevole.

 

*Articolo scritto da Laura Gazzola e pubblicato in un inserto sul Mondo della Scuola de “IL CITTADINO MB”  del 18 gennaio 2020.

“Vabbé, a parte il fatto che si fa le canne, è un ragazzo normale!”.

Così mi ha detto un ventenne parlando di un suo nuovo amico.
Ma è davvero “normale” che un giovane fumi hashish o marijuana?
Perché dobbiamo porci la domanda, se vogliamo assumerci un ruolo educativo.
E non aiuta, come genitore, dirsi: “No, ma mio figlio non lo fa” oppure “Mia figlia non frequenterebbe mai certe compagnie”.

Perciò provate a chiedere ai vostri figli se per loro è normale che un coetaneo fumi abitualmente marijuana. Probabilmente vi risponderanno di sì, anche se loro non lo fanno.

Riflettiamoci insieme, ora, tralasciando il consumo che ne fanno gli adulti e la discussione sugli effetti e sulle conseguenze.

Parliamo di adolescenti, di ragazzi delle scuole superiori e degli universitari.
Ragazzi quindi che studiano, che hanno a disposizione tutte le informazioni sugli “spinelli”.
Ragazzi che non lavorano, ma hanno a disposizione dei soldi che vengono dalla famiglia.

Giovani che escono dallo stereotipo del “tossico” anni ’80, che si vedeva vagare in giro per Milano “strafatto”, barcollante, col braccio pieno di buchi e gli occhi semichiusi, destinato a morirci di eroina.

Per molti dei nostri giovani, un ragazzo che fuma “erba” è normale quanto uno che non lo fa.

Ma secondo voi… è davvero così?

Mi sono presa la briga di documentarmi e ho letto parecchie testimonianze di adolescenti (12-20 anni) che sono soliti “farsi le canne”.

Le motivazioni sono per lo più legate al desiderio di sentirsi bene con se stessi e col gruppo a cui si è scelto di appartenere; al sentirsi in pace, rilassati e tranquilli, riuscendo così ad alleviare lo stress della scuola e degli impegni.

Un modo veloce per “staccare un attimo la spina e svuotare la testa da tutti i problemi, liberandoti da qualunque preoccupazione ti stia assillando”.

Qualcuno lo fa per solitudine, qualcun altro per sentirsi “potente”, allegro, felice e “vivere in modo migliore la vita”, guardandola da un’altra prospettiva, quella più piacevole.

Ma ci sono molti altri che fumano spinelli perché ciò li aiuta a pensare, a riflettere:

“Ti apre la mente e ti porta a grandiosi ragionamenti ai quali durante la vita quotidiana non saresti mai arrivato”.

Sanno che non risolverà i loro problemi, ma “aiuta a guardarli tutti insieme da lontano”.

Alcuni di loro esprimono il bisogno di voler scappare dai problemi (anche solo per un’ora) e attribuiscono alle “canne” il potere di far loro provare sensazioni che non riuscirebbero mai a raggiungere “normalmente”.

Ricorrono spesso nelle loro risposte parole come “normale” o “normalmente”.

E sapete qual è un sinonimo di “normale”?
Il dizionario riporta “sano”.
Mi piace accostare questi due aggettivi: “normale” e “sano”.
Come a dire: un ragazzo “normale” è sano.

E dunque vi sembra “sano” (e quindi normale) un ragazzo che ricorre alla cannabis per vivere meglio?

Questi ragazzi fumano per “smettere di pensare”, ma la mente fa parte di noi, come il cuore, i polmoni. Non possiamo fermarla, ma solo confonderla, anestetizzarla, ma così facendo non risolviamo certo i nostri problemi.

Fumano “per poter guardare i loro problemi tutti insieme da lontano”.
Ed è questo il problema: che i problemi non vanno guardati tutti insieme, perché il rischio è quello di esserne schiacciati.
Vanno guardati uno ad uno, mai contemporaneamente. E bisogna occuparsi di ciascuno di essi in modo separato, dandosi del tempo, fino a risolverlo del tutto.

E’ dura affrontare la quotidianità, con la sua noiosa routine da una parte e i mille disagi (di salute, di relazione, di lavoro, di studio) dall’altra. Ma non farlo in modo cosciente e consapevole toglie la possibilità di trovare una soluzione.

Bisogna fermarsi (non fermare la mente) e chiedersi:
“Che cosa mi annoia?”
“Che cosa mi piace fare?”
“Quale attività mi fa perdere la cognizione del tempo e dello spazio?”.

Tutti abbiamo bisogno di “staccare la spina” ogni tanto, ma dobbiamo far capire ai giovani che possiamo farlo in mille modi appassionanti, senza ridurci a una “canna”.

I ragazzi intervistati facevano spesso riferimento al gruppo, che in effetti è molto importante in quella fascia d’età.
Ma possiamo farli riflettere sul fatto che la parola “gruppo” si può legare a splendide esperienze, non per forza allo sballo.

Possono essere felici praticando uno sport “di gruppo” o suonando in una band o coltivando interessi comuni, come la passione per le auto o le moto.

Ci sono mille modi per evitare di iniziare a fumare le “canne” e in questo possiamo davvero guidarli.

La prima cosa è far loro capire che “non è normale” farlo (anche se lo fanno in molti).
La normalità va in direzione della salute, della realizzazione, della felicità e tutto questo non si può trovare in uno spinello.

Mio figlio non si decide a scegliere la facoltà universitaria. Come lo aiuto?

Uno dei momenti più difficili per chi ha figli, che hanno appena terminato la maturità e non hanno idea di che cosa fare della propria vita, è “stare a guardare”.

Lo so che è un modo di dire con un’accezione negativa, ma che cosa significa in sostanza?

Vuol dire “aspettare che i tempi maturino”, “tener d’occhio una situazione per vedere come si evolve”.

Mi rendo conto che sia difficile e che voi genitori abbiate voglia di aiutare vostro figlio a scegliere o sentiate l’obbligo di intervenire per spingerlo a decidere o siate in ansia per lo stato di confusione o di vuoto che vostro figlio/a ha in questo momento sul suo futuro.

Lo vedete disorientato e l’istinto vi spinge a volerlo “indirizzare” nella scelta universitaria.

Lo vedete “perso” e l’amore che gli volete, vi spinge ad intervenire.

E in che modo lo fate?

Un bombardamento quotidiano della stessa domanda:
“Allora, hai deciso che cosa fare? Perché le iscrizioni ai test universitari hanno una scadenza!”.

E la risposta di vostro figlio è – più o meno – questa:
“Ma non lo so! Non ci capisco niente! Non riesco a capire ORA cosa voglio fare!”.

E qui s’innesca una sorta di psicologico ricatto, ovvero: “Guarda che se non ti decidi in tempo e non vai all’università, io non ho nessuna intenzione di mantenerti lì a far niente! O vai all’università o vai a lavorare!”.

Beh, conosco una ragazza che l’ha presa sul serio questa “minaccia” post diploma e, rendendosi conto di non saper proprio che cosa studiare, ha scelto di prendersi tempo e… si è trovata nel giro di due mesi un lavoro di receptionist.
Certo che non era il lavoro che desiderava svolgere nella vita, ma le è servito per fare chiarezza dentro di sé e, dopo due anni, trovare la sua strada e ricominciare a studiare, più convinta e motivata che mai.

Che cosa vi sto dicendo?

Riflettete bene, se volete aiutare vostro figlio, e affiancatelo facendogli sentire che ci siete, che siete lì per lui, che se lui ne ha bisogno, siete aperti ad ascoltarlo, a confrontarvi con lui.

Non date per scontato che “debba” frequentare ORA l’università: non abbiamo tutti gli stessi tempi di decisione e di scelta.
C’è chi è molto veloce e chi ha bisogno di più tempo, ma l’unica cosa che deve interessarvi è che “faccia la scelta giusta” per il suo futuro.

E se questo futuro, per lui, non ha ancora una forma… ben venga che tardi di uno o due anni la sua scelta. Nel frattempo, come ha fatto la ragazza di cui vi ho parlato prima, può trovare un qualsiasi lavoro per non dipendere del tutto dalla famiglia e non sentirsi un peso.

Volete davvero aiutarlo?

Domandategli – prima di tutto – se davvero desidera avere una laurea.

Non è una domanda banale, perché tutti i ragazzi che ho affiancato nell’orientamento universitario mi hanno detto:

“Eh, DEVO fare l’università, perché senza una laurea come lo trovo un lavoro?”.
In quel DEVO non c’è desiderio, ma obbligo.
E dove c’è obbligo, non c’è motivazione né scelta.

Il risultato è uno stato d’animo di rassegnazione, di apatia.
L’esatto contrario dell’entusiasmo e del desiderio di mettersi in gioco, di affrontare le difficoltà e gli ostacoli.

Che poi – se ci pensate bene – è un modo per “allenarsi” a come vogliono affrontare la vita.

Ve lo domando di nuovo… Cosa potete fare?

Lasciare che sia lui/lei a scegliere che cosa fare ORA.

Se vi dice che desidera proseguire gli studi, ma non ha le idee chiare, rendetevi disponibili a cercare con lui/lei tutte le informazioni sulle diverse facoltà e sugli sbocchi professionali di ciascuna.

Chiedetegli “perché” ci tiene a proseguire gli studi e non accontentatevi della risposta “bisogna avere una laurea”.

Fate in modo che sia lui/lei a iniziare le ricerche di informazioni e, se vi accorgete che ha difficoltà a reperirle, offrite la vostra disponibilità a farlo insieme.

Non sostituitevi a lui/lei.

Non siete voi che dovrete studiare!

E quando vi accorgete di non riuscire ad aiutarlo come desiderate… non disperate.

Ricordatevi che non siete soli: esistono figure come i Teen Coach, che sono in grado di affiancare vostro figlio e portarlo a fare chiarezza dentro di sé per scegliere autonomamente ciò che lo renderà felice nella vita.

Impegno e allenamento non contano solo nei tuffi!

Ieri stavo guardando in Tv le gare di tuffi ai Campionati mondiali di nuoto: adolescenti che si tuffavano in coppia da trampolini altissimi, con un controllo di sé che aveva dell’incredibile e una motivazione, una grinta degne di veri campioni.
Li guardavo ammirata…
Ce n’era uno di soli tredici anni…
Praticamente, uno studente della (ex) scuola media…

Pensate che alcuni sono stati penalizzati semplicemente per aver tenuto leggermente piegata la punta di un piede!

Pazzesco!

Al termine della prestazione, il loro allenatore li ha guardati con un’aria seria, severa e il volto corrucciato: nella prova successiva hanno dato l’anima!

Queste sono gare dove i ragazzi sanno che – per ottenere il massimo punteggio – devono essere “perfetti”!
E nessuno contesta questa rigidità nella valutazione da parte dei giudici: è normale!

Mi è venuto spontaneo tracciare un parallelo con la scuola
ed è una riflessione che voglio condividere con voi.

Provate a pensarci: quando a scuola un ragazzo fa un errore pari a “quella punta del piede leggermente piegata”, si aspetta di ricevere comunque un bel “10”!
E se quel voto non arriva, si lamenta – insieme ai genitori – per l’eccessiva severità e rigidità del docente nella valutazione.

E cosa accade?
Accade che al docente viene suggerito di valutare in base ad una percentuale
In questo modo lo studente arriva a meritare un “10” facendo ben più di un errore.

… ma nel mondo dello sport ad alto livello questo sarebbe ed è inconcepibile.

E come mai?

Forse che la “prestazione cognitiva” abbia meno valore rispetto a quella sportiva?

Perché – come atleta – posso accettare di dover raggiungere “la perfezione” e – come studente – “quella perfezione” mi appare assurda?

C’è qualcosa che non va, vi pare?

Cambiando poi canale e capitando durante la trasmissione del Telegiornale, ho sentito il giornalista che sottolineava con un certo sconcerto che

in Italia i giovani laureati sono solo il 28 %.

Vi starete domandando: “Ma che cosa c’entra con il discorso di prima sui tuffi e lo sport?”.
C’entra!

Perché nello sport i ragazzi danno per scontato di dover arrivare il più vicino possibile alla perfezione per avere ottimi risultati.
Nella scuola è l’esatto contrario, ovvero:

“Perché devo arrivare a dare il massimo?”.

Ecco quindi ciò su cui dobbiamo riflettere:

molti, moltissimi dei nostri ragazzi arrivano alla scuola superiore che “non sono allenati” a studiare, a stare fermi e concentrati sui libri un paio d’ore dopo le lezioni scolastiche.
E così, di fronte ai primi votacci, hanno delle crisi di autostima e perdono di motivazione: iniziano a mettere in dubbio sia la scelta della scuola sia le loro capacità.

In realtà è come se si presentassero sul trampolino senza essersi allenati!
E’ così semplice da capire.

Pertanto: se volete che i vostri figli siano tra quelli che si laureano, in quell’esclusivo 28 %, allora…

spronateli ad “allenarsi” ogni giorno, a tenere duro, a impegnarsi, a non mollare, ad accettare un brutto voto come stimolo a fare meglio.

Solo così diventeranno dei “campioni”!