“Vabbé, a parte il fatto che si fa le canne, è un ragazzo normale!”.

Così mi ha detto un ventenne parlando di un suo nuovo amico.
Ma è davvero “normale” che un giovane fumi hashish o marijuana?
Perché dobbiamo porci la domanda, se vogliamo assumerci un ruolo educativo.
E non aiuta, come genitore, dirsi: “No, ma mio figlio non lo fa” oppure “Mia figlia non frequenterebbe mai certe compagnie”.

Perciò provate a chiedere ai vostri figli se per loro è normale che un coetaneo fumi abitualmente marijuana. Probabilmente vi risponderanno di sì, anche se loro non lo fanno.

Riflettiamoci insieme, ora, tralasciando il consumo che ne fanno gli adulti e la discussione sugli effetti e sulle conseguenze.

Parliamo di adolescenti, di ragazzi delle scuole superiori e degli universitari.
Ragazzi quindi che studiano, che hanno a disposizione tutte le informazioni sugli “spinelli”.
Ragazzi che non lavorano, ma hanno a disposizione dei soldi che vengono dalla famiglia.

Giovani che escono dallo stereotipo del “tossico” anni ’80, che si vedeva vagare in giro per Milano “strafatto”, barcollante, col braccio pieno di buchi e gli occhi semichiusi, destinato a morirci di eroina.

Per molti dei nostri giovani, un ragazzo che fuma “erba” è normale quanto uno che non lo fa.

Ma secondo voi… è davvero così?

Mi sono presa la briga di documentarmi e ho letto parecchie testimonianze di adolescenti (12-20 anni) che sono soliti “farsi le canne”.

Le motivazioni sono per lo più legate al desiderio di sentirsi bene con se stessi e col gruppo a cui si è scelto di appartenere; al sentirsi in pace, rilassati e tranquilli, riuscendo così ad alleviare lo stress della scuola e degli impegni.

Un modo veloce per “staccare un attimo la spina e svuotare la testa da tutti i problemi, liberandoti da qualunque preoccupazione ti stia assillando”.

Qualcuno lo fa per solitudine, qualcun altro per sentirsi “potente”, allegro, felice e “vivere in modo migliore la vita”, guardandola da un’altra prospettiva, quella più piacevole.

Ma ci sono molti altri che fumano spinelli perché ciò li aiuta a pensare, a riflettere:

“Ti apre la mente e ti porta a grandiosi ragionamenti ai quali durante la vita quotidiana non saresti mai arrivato”.

Sanno che non risolverà i loro problemi, ma “aiuta a guardarli tutti insieme da lontano”.

Alcuni di loro esprimono il bisogno di voler scappare dai problemi (anche solo per un’ora) e attribuiscono alle “canne” il potere di far loro provare sensazioni che non riuscirebbero mai a raggiungere “normalmente”.

Ricorrono spesso nelle loro risposte parole come “normale” o “normalmente”.

E sapete qual è un sinonimo di “normale”?
Il dizionario riporta “sano”.
Mi piace accostare questi due aggettivi: “normale” e “sano”.
Come a dire: un ragazzo “normale” è sano.

E dunque vi sembra “sano” (e quindi normale) un ragazzo che ricorre alla cannabis per vivere meglio?

Questi ragazzi fumano per “smettere di pensare”, ma la mente fa parte di noi, come il cuore, i polmoni. Non possiamo fermarla, ma solo confonderla, anestetizzarla, ma così facendo non risolviamo certo i nostri problemi.

Fumano “per poter guardare i loro problemi tutti insieme da lontano”.
Ed è questo il problema: che i problemi non vanno guardati tutti insieme, perché il rischio è quello di esserne schiacciati.
Vanno guardati uno ad uno, mai contemporaneamente. E bisogna occuparsi di ciascuno di essi in modo separato, dandosi del tempo, fino a risolverlo del tutto.

E’ dura affrontare la quotidianità, con la sua noiosa routine da una parte e i mille disagi (di salute, di relazione, di lavoro, di studio) dall’altra. Ma non farlo in modo cosciente e consapevole toglie la possibilità di trovare una soluzione.

Bisogna fermarsi (non fermare la mente) e chiedersi:
“Che cosa mi annoia?”
“Che cosa mi piace fare?”
“Quale attività mi fa perdere la cognizione del tempo e dello spazio?”.

Tutti abbiamo bisogno di “staccare la spina” ogni tanto, ma dobbiamo far capire ai giovani che possiamo farlo in mille modi appassionanti, senza ridurci a una “canna”.

I ragazzi intervistati facevano spesso riferimento al gruppo, che in effetti è molto importante in quella fascia d’età.
Ma possiamo farli riflettere sul fatto che la parola “gruppo” si può legare a splendide esperienze, non per forza allo sballo.

Possono essere felici praticando uno sport “di gruppo” o suonando in una band o coltivando interessi comuni, come la passione per le auto o le moto.

Ci sono mille modi per evitare di iniziare a fumare le “canne” e in questo possiamo davvero guidarli.

La prima cosa è far loro capire che “non è normale” farlo (anche se lo fanno in molti).
La normalità va in direzione della salute, della realizzazione, della felicità e tutto questo non si può trovare in uno spinello.

Essere felici è davvero possibile?

Da molti anni sulle riviste, nei blog, nelle pubblicità sentiamo parlare di quanto sia importante essere felici.
E molte volte, lo confesso, ho pensato “Ma che scoperta! E’ ovvio che sia importante, perché quando sei felice riesci a fare tutto meglio… Persino a stare meglio di salute!”.

E allora perché continuano a parlarne?

Nella Dichiarazione d’indipendenza americana (4 luglio1776) si legge che “a tutti gli uomini è riconosciuto il diritto alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità”.

Trovo meraviglioso aver diritto alla felicità!

Ma come la mettiamo con la realtà di tutti i giorni?
Vallo a dire a chi perde il lavoro, a chi si ammala gravemente, a chi non riesce ad avere figli, a chi non trova l’anima gemella…
E pure a chi ha i figli, il partner, il lavoro, che però gli procurano solo problemi, pensieri, notti insonni.

Credo allora sia importante riflettere sul concetto di “felicità” e farlo qui, ora, insieme.
Solo così potremo orientarci nella direzione giusta per trovarla.

Diciamo subito che la felicità non è uno stato permanente, senza pensieri né crisi e dove la vita procede senza scossoni.

Sarebbe infantile e sciocco immaginare di vivere tutti i giorni toccando il cielo con un dito.
Eppure tutti noi abbiamo provato questa emozione in occasione della nascita di un figlio, della dichiarazione dell’amato, della laurea, del raggiungimento di un traguardo…
Momenti dove abbiamo sentito battere forte il cuore, ma che hanno avuto breve durata. Un’eccitazione che non può durare anni, è ovvio.

Perciò scartiamo l’idea che la felicità sia quell’ebrezza che ci fa vedere il mondo “rosa”.

La felicità non coincide nemmeno con il concetto ormai diffuso del “prima io e poi gli altri”, perché è troppo facile stare bene ignorando o calpestando i bisogni e i diritti degli altri.

Ci sono poi le pubblicità, che ci bombardano di messaggi dove – per essere felicedevi “possedere” qualcosa: l’eterna bellezza, i “Like” sulle tue foto, l’abbigliamento griffato, il fuoristrada, la casa lussuosa… E poi devi andare alla Spa, mangiare cibo biologico, trovarti con gli amici per l’happy hour anche se hai l’influenza…

Questa non è felicità: è qualcosa di effimero, passeggero e se abbiamo questa idea della felicità, saremo infelici per tutta la vita. Niente ci appagherà mai abbastanza.

Ma allora come si fa ad essere felici?

Possiamo arrivarci cercando di mettere in equilibrio le sfere della nostra vita: il lavoro, le relazioni, la cura di noi stessi.

Perciò non serve che ci batta forte il cuore.

L’importante è riuscire a provare soddisfazione per ciò che facciamo e abbiamo.
Vivere giorno dopo giorno con uno stato d’animo positivo.

Sì!, bello!, ma se non proviamo tutta questa soddisfazione?

Allora dobbiamo andarcela a cercare! Tocca a noi migliorare la nostra situazione!

Lo vogliamo o no raggiungere questo stato d’animo positivo?

E allora non lasciamoci fermare da dubbi, esitazioni.
Nessuno in famiglia lo capisce?
Eh, pazienza! Faremo da sole.
Cercheremo una soluzione e ci metteremo in gioco come se si trattasse di una sfida.

Gli ostacoli da superare ci paiono montagne?
Il desiderio di stare bene deve essere più forte.

E poi cerchiamo e troviamo dei validi alleati: medici, allenatori, life coach…

L’importante è non rinunciare ad essere “felici”.

Ti senti “vuota” dentro? Forse sei troppo piena.

Ci sono donne che, vedendo finire una relazione, vivono un senso di “vuoto” e stanno male perché non sanno come riempirlo.

E’ il caso di Sofia che, con aria sconsolata, mi racconta della sua storia con un uomo che in tre anni l’ha distrutta, facendole perdere autostima e fiducia in se stessa.
Un compagno che le ha tarpato le ali ogni volta che lei ha tentato di volare per raggiungere un obiettivo.
“Ma sei sicura di voler tentare? Perché guarda che se va male, come spesso accade, ci rimani malissimo” le ripeteva, oppure le minava quelle poche certezze che le erano rimaste con frasi del tipo: “Ma pensi davvero di farcela? Pensi di esserne capace?”.

E a furia di mettere in dubbio le sue capacità con la scusa del “Lo dico per te, perché tu non soffra se fallisci”, l’ha fatta sentire inadeguata in tutto.

A quel punto l’ha lasciata con il colpo di grazia: “Sei una fallita, senza spina dorsale! Ti fai mettere sotto i piedi senza affrontare la situazione! Non hai carattere!”.

E lei è crollata.
Si è chiusa in se stessa e non ha accettato nessun tipo di aiuto per un anno.

Poi… mi ha contattata.

Quando l’ho incontrata non aveva alcuna certezza. Nemmeno sull’obiettivo da voler raggiungere.
Continuava a ripetere che non si sentiva più la ragazza di un tempo. Quella sì era forte e determinata. Già!
Mica come lei, che ha messo in stand by la sua vita per amare un uomo che l’ha solo distrutta.
Aggiungiamo anche una buona dose di sensi di colpa per averglielo permesso e il quadro è completo.

Magari è capitato anche a te di trovarti nella situazione di Sofia: di abbandonare il ruolo di “protagonista” nella tua vita per diventare “una comparsa” nel film di un altro.

Esserti quindi svuotata dei tuoi sogni e desideri, senza nemmeno rendertene conto.

Esserti snaturata e aver perso te stessa in nome di un amore che era solo a senso unico.

Se però, come Sofia, sei diventata consapevole di vivere da spettatrice e desideri tornare protagonista, ma non sai come fare, perché senti un gran vuoto dentro che non vuoi colmare con un altro uomo…

Prova ad immaginare un grande sacco “vuoto”: che cosa vuoi metterci dentro? Con cosa desideri riempirlo?

Se la tua prima risposta è “non lo so”, insisti: pensa, guarda bene dentro.

Spesso accade che – come per Sofia – il “vuoto” in realtà è così pieno di paure da impedirti di vedere quello che c’è e che desideri raggiungere per stare bene.

Fai luce in quel “sacco” e scoprirai tanti nuovi obiettivi da raggiungere: amicizie da riallacciare, capacità da riscoprire, interessi da coltivare.

E se capisci che da sola ti riesce difficile… contattami.
Al traguardo ti accompagnerò io.

Smetti di rimandare e affronta il tuo problema in 5 secondi.

Sapete qual è il peggior nemico quando abbiamo un problema che ci tormenta?
La procrastinazione.

Oh, la conosco bene, perché è venuta a farmi visita molte volte.
Più il mio problema mi sembrava complicato da risolvere e più tendevo a rimandarlo.
Però poi non è che questo atteggiamento mi facesse sentire bene. Tutt’altro!
Il problema rimaneva lì e ogni giorno saltava fuori, soprattutto al momento di coricarmi, quando avevo terminato di occuparmi del lavoro, della casa, della famiglia.

Succede così a molte persone che mi parlano dei loro problemi relazionali col partner o coi figli.

Problemi che implicano affrontare un percorso di crescita personale, mettendosi in discussione e diventando consapevoli del proprio modo di agire e di pensare.

Be’, certamente non è una cosa per tutti: bisogna avere determinazione e un pizzico di coraggio per decidere di porre fine al proprio disagio e lasciarsi guidare dal desiderio di “svoltare”.

Chi dice “Basta” è già a buon punto, ma non è sufficiente e parlo per esperienza.

Talvolta mi capita di ricevere un messaggio in cui la persona in difficoltà mi chiede un primo appuntamento telefonico per espormi il suo problema, ma poi… rimanda, rimanda all’infinito.
E così il suo problema resta lì, dove è sorto e dove è destinato soltanto ad ingigantirsi, togliendole sempre più serenità e minando poco alla volta la sua autostima.

E come mai?

I motivi per cui certe persone continuano a rimandare la soluzione del loro problema sono molti e diversi:
paura di affrontarlo,
illusione che si risolva da solo,
timore di dover affrontare un percorso e scoprirsi magari diversi da ciò che si pensa…
ma anche il non voler pensare a come ritagliarsi uno spicchio di tempo da dedicare a sé e al percorso da fare.

E allora, pur dicendo “Me ne devo occupare, se voglio stare meglio”,
trovano mille giustificazioni:
“Adesso sono troppo presa”,
“Lo farò la prossima settimana”,
“Ci penserò domani!”,
“Oggi va un po’ meglio… Magari era solo un momento di negatività”.

Tutte scuse per non affrontare e risolvere una volta per tutte il problema.

Se anche a voi capita di rimandare, usando queste frasi…
ecco come agire subito, senza perdere tempo prezioso, per ricominciare a sorridere e a sentirvi nuovamente sereni e pieni di energia positiva.

Immaginate di avermi mandato un messaggio e di aver fissato un appuntamento telefonico con me.
La sera prima dell’appuntamento,
scrivete su un foglio il numero di telefono da comporre e mettetelo in bella vista.
L’indomani avrete 5 SECONDI per agire.

Perciò prendete il numero, il telefono e contate ad alta voce “5 – 4 – 3 – 2 – 1” e chiamate.

I “5 secondi” con il conto alla rovescia e poi l’azione sono efficaci sempre, qualsiasi cosa vogliate fare.
Servono a vincere la procrastinazione e a farvi agire subito.
Ricordatevi, però, di avere pronto tutto ciò che vi occorre per poter “agire” dopo soli 5 secondi!
Altrimenti… vincerà la procrastinazione.