Lui delude le tue aspettative? Cambia tu!

Quante volte ci è capitato di essere arrabbiate col nostro partner, perché – secondo noi – non fa il suo dovere di padre o di marito?

Condividere la vita con un altro essere umano non è facile e spesso capita di sentirci frustrate perché “lui non ci arriva” a capire che deve contribuire, facendo la sua parte nell’accudimento dei figli, nei lavori domestici, nel fare la spesa…

Per carità, ci sono uomini che lo fanno, ma sono così pochi che – in quanto Life Coach – mi è più frequente ascoltare le lamentele di donne che sono allo stremo delle forze, piuttosto che lodi di mogli felici.

Mi viene in mente una cliente che lavora ed è mamma di due bimbi piccoli che non frequentano ancora la scuola primaria. Il marito lavora più ore di lei e quando torna a casa è stanco. Tuttavia si ritaglia degli spazi per rilassarsi o distrarsi con gli amici, mentre lei non stacca mai, passando dal suo lavoro a quello di mamma, di domestica, di cuoca e tanto altro. Lui pare non rendersi conto dei suoi sforzi e lei – quando è molto stanca – si accorge che le sue aspettative vengono costantemente deluse.

“Possibile che lui non voglia capire che il mio badare ai figli è un lavoro molto stressante? Perché non si rende conto che deve darmi una mano?!” dice seccata.

E ha ragione, perché i figli sono di entrambi e non solo delle madri.

Il fatto è, però, che non possiamo vivere in attesa che “lui” cambi: che si accorga delle nostre fatiche e decida improvvisamente di contribuire al 50%, come dovrebbe essere.

Sì, possiamo metterci a tavolino e parlargli, in modo da stabilire chi fa cosa…
Ma se lui è convinto di fare già tanto, solo perché lavora qualche ora più di noi… allora siamo noi a dover cambiare.

“Eh, già! Ma perché devo cambiare io, se il problema è lui?!” mi dice questa giovane donna.

E’ semplice, non ci sono grandi alternative: “Vuoi tenerlo questo marito o vuoi liberartene?” le chiedo volutamente in modo provocatorio.

E voi?

Se la risposta è “Ma stiamo scherzando?! Certo che voglio restare con lui!”, allora non c’è altro da fare che “cambiare”.

Siamo noi a dover definire ciò di cui abbiamo bisogno e a capire che possiamo soddisfare i nostri bisogni senza più aspettarci nulla (o quasi) dall’altro.
Il nostro scopo non dev’essere il lamento, ma l’azione.

Cosa possiamo fare concretamente per portare “solo” il 50 % del peso?

Farci aiutare da una babysitter? Trovare una collaboratrice per i lavori domestici? Cercare una persona che stiri al posto nostro?

Muoviamoci! Non perdiamo tempo ad arrabbiarci perché “lui” non fa il suo dovere!

Cambiamo approccio!

Proviamo a domandarci: “Se io fossi sola a crescere mio figlio, come mi organizzerei?”.

Lo so che la risposta che avete in mente è: “Ma io non sono da sola!” e avete ragione.

Tuttavia, continuando con questa convinzione che sia lui a dover cambiare, non arriveremo da nessuna parte.
Le convinzioni sono radicate e intestardirci di “voler cambiare l’altro” porta solo a frustrazione e conflitti.

Guardiamo avanti, perciò!

Cambiamo il nostro approccio al problema e la soluzione arriverà!

Mio figlio non si decide a scegliere la facoltà universitaria. Come lo aiuto?

Uno dei momenti più difficili per chi ha figli, che hanno appena terminato la maturità e non hanno idea di che cosa fare della propria vita, è “stare a guardare”.

Lo so che è un modo di dire con un’accezione negativa, ma che cosa significa in sostanza?

Vuol dire “aspettare che i tempi maturino”, “tener d’occhio una situazione per vedere come si evolve”.

Mi rendo conto che sia difficile e che voi genitori abbiate voglia di aiutare vostro figlio a scegliere o sentiate l’obbligo di intervenire per spingerlo a decidere o siate in ansia per lo stato di confusione o di vuoto che vostro figlio/a ha in questo momento sul suo futuro.

Lo vedete disorientato e l’istinto vi spinge a volerlo “indirizzare” nella scelta universitaria.

Lo vedete “perso” e l’amore che gli volete, vi spinge ad intervenire.

E in che modo lo fate?

Un bombardamento quotidiano della stessa domanda:
“Allora, hai deciso che cosa fare? Perché le iscrizioni ai test universitari hanno una scadenza!”.

E la risposta di vostro figlio è – più o meno – questa:
“Ma non lo so! Non ci capisco niente! Non riesco a capire ORA cosa voglio fare!”.

E qui s’innesca una sorta di psicologico ricatto, ovvero: “Guarda che se non ti decidi in tempo e non vai all’università, io non ho nessuna intenzione di mantenerti lì a far niente! O vai all’università o vai a lavorare!”.

Beh, conosco una ragazza che l’ha presa sul serio questa “minaccia” post diploma e, rendendosi conto di non saper proprio che cosa studiare, ha scelto di prendersi tempo e… si è trovata nel giro di due mesi un lavoro di receptionist.
Certo che non era il lavoro che desiderava svolgere nella vita, ma le è servito per fare chiarezza dentro di sé e, dopo due anni, trovare la sua strada e ricominciare a studiare, più convinta e motivata che mai.

Che cosa vi sto dicendo?

Riflettete bene, se volete aiutare vostro figlio, e affiancatelo facendogli sentire che ci siete, che siete lì per lui, che se lui ne ha bisogno, siete aperti ad ascoltarlo, a confrontarvi con lui.

Non date per scontato che “debba” frequentare ORA l’università: non abbiamo tutti gli stessi tempi di decisione e di scelta.
C’è chi è molto veloce e chi ha bisogno di più tempo, ma l’unica cosa che deve interessarvi è che “faccia la scelta giusta” per il suo futuro.

E se questo futuro, per lui, non ha ancora una forma… ben venga che tardi di uno o due anni la sua scelta. Nel frattempo, come ha fatto la ragazza di cui vi ho parlato prima, può trovare un qualsiasi lavoro per non dipendere del tutto dalla famiglia e non sentirsi un peso.

Volete davvero aiutarlo?

Domandategli – prima di tutto – se davvero desidera avere una laurea.

Non è una domanda banale, perché tutti i ragazzi che ho affiancato nell’orientamento universitario mi hanno detto:

“Eh, DEVO fare l’università, perché senza una laurea come lo trovo un lavoro?”.
In quel DEVO non c’è desiderio, ma obbligo.
E dove c’è obbligo, non c’è motivazione né scelta.

Il risultato è uno stato d’animo di rassegnazione, di apatia.
L’esatto contrario dell’entusiasmo e del desiderio di mettersi in gioco, di affrontare le difficoltà e gli ostacoli.

Che poi – se ci pensate bene – è un modo per “allenarsi” a come vogliono affrontare la vita.

Ve lo domando di nuovo… Cosa potete fare?

Lasciare che sia lui/lei a scegliere che cosa fare ORA.

Se vi dice che desidera proseguire gli studi, ma non ha le idee chiare, rendetevi disponibili a cercare con lui/lei tutte le informazioni sulle diverse facoltà e sugli sbocchi professionali di ciascuna.

Chiedetegli “perché” ci tiene a proseguire gli studi e non accontentatevi della risposta “bisogna avere una laurea”.

Fate in modo che sia lui/lei a iniziare le ricerche di informazioni e, se vi accorgete che ha difficoltà a reperirle, offrite la vostra disponibilità a farlo insieme.

Non sostituitevi a lui/lei.

Non siete voi che dovrete studiare!

E quando vi accorgete di non riuscire ad aiutarlo come desiderate… non disperate.

Ricordatevi che non siete soli: esistono figure come i Teen Coach, che sono in grado di affiancare vostro figlio e portarlo a fare chiarezza dentro di sé per scegliere autonomamente ciò che lo renderà felice nella vita.

Impegno e allenamento non contano solo nei tuffi!

Ieri stavo guardando in Tv le gare di tuffi ai Campionati mondiali di nuoto: adolescenti che si tuffavano in coppia da trampolini altissimi, con un controllo di sé che aveva dell’incredibile e una motivazione, una grinta degne di veri campioni.
Li guardavo ammirata…
Ce n’era uno di soli tredici anni…
Praticamente, uno studente della (ex) scuola media…

Pensate che alcuni sono stati penalizzati semplicemente per aver tenuto leggermente piegata la punta di un piede!

Pazzesco!

Al termine della prestazione, il loro allenatore li ha guardati con un’aria seria, severa e il volto corrucciato: nella prova successiva hanno dato l’anima!

Queste sono gare dove i ragazzi sanno che – per ottenere il massimo punteggio – devono essere “perfetti”!
E nessuno contesta questa rigidità nella valutazione da parte dei giudici: è normale!

Mi è venuto spontaneo tracciare un parallelo con la scuola
ed è una riflessione che voglio condividere con voi.

Provate a pensarci: quando a scuola un ragazzo fa un errore pari a “quella punta del piede leggermente piegata”, si aspetta di ricevere comunque un bel “10”!
E se quel voto non arriva, si lamenta – insieme ai genitori – per l’eccessiva severità e rigidità del docente nella valutazione.

E cosa accade?
Accade che al docente viene suggerito di valutare in base ad una percentuale
In questo modo lo studente arriva a meritare un “10” facendo ben più di un errore.

… ma nel mondo dello sport ad alto livello questo sarebbe ed è inconcepibile.

E come mai?

Forse che la “prestazione cognitiva” abbia meno valore rispetto a quella sportiva?

Perché – come atleta – posso accettare di dover raggiungere “la perfezione” e – come studente – “quella perfezione” mi appare assurda?

C’è qualcosa che non va, vi pare?

Cambiando poi canale e capitando durante la trasmissione del Telegiornale, ho sentito il giornalista che sottolineava con un certo sconcerto che

in Italia i giovani laureati sono solo il 28 %.

Vi starete domandando: “Ma che cosa c’entra con il discorso di prima sui tuffi e lo sport?”.
C’entra!

Perché nello sport i ragazzi danno per scontato di dover arrivare il più vicino possibile alla perfezione per avere ottimi risultati.
Nella scuola è l’esatto contrario, ovvero:

“Perché devo arrivare a dare il massimo?”.

Ecco quindi ciò su cui dobbiamo riflettere:

molti, moltissimi dei nostri ragazzi arrivano alla scuola superiore che “non sono allenati” a studiare, a stare fermi e concentrati sui libri un paio d’ore dopo le lezioni scolastiche.
E così, di fronte ai primi votacci, hanno delle crisi di autostima e perdono di motivazione: iniziano a mettere in dubbio sia la scelta della scuola sia le loro capacità.

In realtà è come se si presentassero sul trampolino senza essersi allenati!
E’ così semplice da capire.

Pertanto: se volete che i vostri figli siano tra quelli che si laureano, in quell’esclusivo 28 %, allora…

spronateli ad “allenarsi” ogni giorno, a tenere duro, a impegnarsi, a non mollare, ad accettare un brutto voto come stimolo a fare meglio.

Solo così diventeranno dei “campioni”!

Grazie al Teen Coaching, il rapporto con mio figlio è decisamente migliorato!

Sono la mamma di un ragazzo di 17 anni e vorrei portare la mia testimonianza riguardo al Teen Coaching, nella speranza di essere d’aiuto a qualcuno di voi.

L’anno scorso mio figlio Riccardo stava attraversando un periodo un po’  particolare a scuola: molto studio, ma scarsi risultati.

Tutto ciò creava in lui insicurezza e frustrazione.

Un giorno mi chiese di contattare Laura, di cui gli avevo parlato (essendomi approcciata anch’io in passato al Life Coaching).

Così non ho perso tempo e ho contattato Laura, che si è subito resa disponibile ad incontrarlo.

Partendo dal “ problema scolastico”, Riccardo ha affrontato man mano diverse tematiche che gli stavano a cuore ed è arrivato a compiere scelte importanti, come ad esempio sospendere l’attività agonistica – pur continuando ad allenarsi nello sport che pratica da 12 anni –  per porsi nuovi obiettivi.

Nel corso di questo percorso ho visto mio figlio “cambiare”.

La cosa che più di ogni altra si è resa evidente è stato  il cambiamento del nostro rapporto, che è diventato decisamente migliore: fatto di ascolto e comprensione reciproca.

Prima potevo definirlo conflittuale!

Ora Riccardo è più tranquillo, ascolta, riflette su ciò che gli si dice, accetta consigli, è più socievole, più gioioso…

Tutte cose impensabili fino ad un anno fa.

È maturato!!!

I benefici del Teen Coaching non si sono limitati solo ai rapporti interpersonali, ma si sono estesi anche alla scuola.

Ha cominciato a pensare al suo futuro e a costruirlo, ponendosi obiettivi scolastici impegnativi: ha infatti vinto una borsa di studio che lo porterà presto a frequentare il 4° anno di liceo in Argentina!

Sicuramente il Coaching gli ha permesso di conoscere meglio le sue potenzialità e lui ha imparato a sfruttarle.

Il percorso fatto non è stato sempre facile, ma la professionalità e l’aiuto costante di Laura hanno portato ad ottimi risultati.

Riccardo ha trovato in lei una guida, un’alleata con cui confrontarsi e aprirsi, parlando liberamente di sé , di ciò che lo preoccupava o lo faceva gioire.

Consiglierei ad ogni genitore di far vivere un’esperienza del genere al proprio figlio/a

Laura si è confermata una professionista straordinaria, che sa come interloquire con un adolescente, facendolo esprimere al meglio!!!

Grazie di cuore, Coach Gazzola!

Con affetto e stima,

Susanna.

Scarsa autostima: ecco i segnali e i rimedi.

Molti ragazzi e adulti mi confessano di avere poca autostima, di voler cambiare, ma di non sapere come fare.

Perciò partiamo da una domanda: l’AUTOSTIMA che cos’è?

E’ il valore che attribuiamo a noi stessi, come ci percepiamo, quanto ci amiamo.

Già, perché volersi bene è fondamentale e significa non criticarsi, non rimproverarsi severamente per qualsiasi cosa, non dire che siamo stupidi o incapaci o brutti.

Eppure quante volte mi capita di incontrare adolescenti che “si giudicano male” e sono severi con se stessi più di quanto non lo siano con loro i genitori, gli insegnanti o gli amici.

A volte la bassa autostima viene scambiata per timidezza, ma non è la stessa cosa.

Ci sono dei segnali ai quali stare attenti.

Se, ad esempio, camminiamo con la testa bassa, se non guardiamo mai dritto negli occhi le persone, se ci scusiamo più del necessario, se parliamo negativamente di noi (ma anche degli altri) vuol dire che ci stimiamo poco.

E quando cerchiamo di assomigliare agli altri, perché crediamo che siano meglio di noi, tradiamo noi stessi e così la nostra autostima si fa sentire.

Come?

Avete presente quella vocina che dentro di noi ci dice che dobbiamo avere il coraggio di essere noi stessi, di dire ciò che pensiamo senza timore?

Ecco, è lei.

D’altra parte, se vogliamo essere felici, dobbiamo vivere una vita autentica, tutta nostra e non ricalcare la vita degli altri.

Significa dare valore ai nostri pensieri e affrontare tutto e tutti a testa alta.

E come allenarsi a questo?

Innanzitutto non accettando di essere quello che gli altri dicono di noi.

Perciò, se ci diranno: “Non ce la farai mai ad essere bravo in questa cosa! Non sei portato!” e noi pensiamo il contrario, rispondiamo con forza: “Invece sì! E lo dimostrerò!”.

Da lì partirà la nostra sfida.

Certo, dovremo chiarire con noi stessi a quale risultato vorremo arrivare e poi metterci a inseguirlo con impegno, costanza e serietà.

Ma quando l’avremo raggiunto, la nostra autostima sarà cresciuta e saremo pronti per un’altra sfida.

Elimina le “etichette” e l’ansia scomparirà!

Voi quante “etichette” avete?

Già, perché tutti finiamo per essere le “etichette” che la gente ci ha appiccicato addosso o che noi stessi ci siamo appioppati da soli.

La verità, però, è che non lo siamo veramente.

Lasciarci catturare da queste etichette significa sentirne tutto il peso.

Dov’è la libertà?

Oh, certo, ci fa stare bene quando ci dicono che siamo “bravi” in qualcosa.
E’ gratificante, non c’è dubbio.
Solo che quando iniziano a dircelo e noi ci crediamo, facciamo in modo di essere sempre all’altezza di quella aspettativa (che magari non è neanche la nostra).

Il “come sei bravo” diventa un’etichetta che ci richiederà sempre più impegno, sempre più sforzo.
E l’ansia di “non essere all’altezza” inizierà a comparire.

Pensate a scuola, quando uno studente ottiene dei voti eccellenti e tutti i compagni lo etichettano come “genio”.

Pensate con quale ansia affronterà le verifiche e le interrogazioni.

Pensate a quante volte i compagni gli chiederanno: “Quanto hai preso?”.
E pensate a quale peso sul cuore avrà quando, sbagliando una verifica, dovrà rispondere ai compagni curiosi: “Insufficiente”.

Il ragionamento vale anche al contrario, ovvero quando ci dicono che siamo negati per qualcosa.

Eccola lì un’altra bella etichetta!

E se lasciamo che ce la mettano addosso, non combineremo mai nulla.

Cosa dobbiamo fare allora?

Mandare in frantumi l’etichetta, qualunque essa sia!
Significa che non dobbiamo più identificarci con quella.

Basta “sono bravo” e “sono negato”.

In un dato momento qualcuno ci ha visti “bravi” o “vere frane”, e va bene.

Ma noi siamo molto altro e cambiamo continuamente.
Questo è il bello!

Perciò cerchiamo di essere consapevoli di come siamo in ogni momento, tenendo conto che ogni momento è diverso e noi pure.

Viviamo istante per istante, senza la pretesa di rispondere sempre al ruolo o all’etichetta che ci hanno messo.

Solo così elimineremo le nostre ansie.

Solo così torneremo a sorridere.