Scopri se i tuoi figli sono destinati a essere felici!

La scorsa settimana mi è capitato di ascoltare una breve conversazione tra due quattordicenni.

Una diceva all’altra: “Tu come ti immagini tra vent’anni?”
e poi, senza lasciarla rispondere, con tono entusiasta e occhi felici, continuava: “Io mi vedo sposata, con due figli, una bella casa… E tu?”.

La sua amica, con grande esitazione e aria perplessa: “Mah… Non so! Non riesco a immaginarmi!”.

Secondo voi, quale delle due ha più probabilità di essere felice?

La prima ragazza pare avere idee chiare e progetti. La seconda brancola nel buio.
In realtà, la prima ragazza “immagina” (quindi desidera) cose che sono fuori dal suo totale controllo.
Sposarsi significa trovare l’uomo giusto e questo non dipende esclusivamente da noi.
Bisogna avere anche un pizzico di fortuna, oltre che essere ricambiate.
Avere figli non è scontato, nemmeno quando i partner sono sani.
Ci sono coppie che scoprono di non riuscire ad averne solo dopo le nozze e la sofferenza è enorme.
Avere una bella casa dipende dalla disponibilità economica, quindi dalle entrate della coppia, perciò dalla posizione lavorativa di ciascuno.

Questi “sogni/desideri” sono molto pericolosi, perché si concentrano su ciò che non dipende da noi.

Sarebbe stato meglio se la ragazza avesse detto: “Io mi immagino laureata…”, perché l’obiettivo della laurea dipende da lei soltanto, dalla sua determinazione.

Nei percorsi di sviluppo delle Life Skills insegno ai ragazzi a porsi obiettivi realizzabili, sfidanti, gratificanti, che permettano loro di usare tutte le potenzialità che hanno.
Questo comporta che gli obiettivi vengano espressi correttamente e che dipendano al 100% da loro.

Più la realizzazione dell’obiettivo coinvolge altri e meno possibilità ci sarà di arrivarci.
Questo dobbiamo insegnare ai ragazzi!

Certo è meraviglioso lasciarli vivere dentro un film rosa, ma quando si sveglieranno… cosa accadrà?

Meglio guidarli a immaginare un futuro che dipenda dalle loro capacità, punti di forza, determinazione, volontà, motivazione, passione.

Qui non si tratta di togliere a un’adolescente il sogno di un matrimonio e dei figli, ma di indirizzare meglio i suoi obiettivi.

E sappiamo bene che il primo passo per trovare l’amore è quello di realizzare in primis se stessi. Non il “bisogno” dell’altro, ma il piacere di renderci conto che ci completa.
Non una vita che dipende dall’altro (dal suo umore, dal suo denaro, dalle sue attenzioni), ma che si arricchisce grazie all’altro.

Comprendere questo significa indirizzare i ragazzi a essere felici.
E questo è il compito più importante che abbiamo, in quanto adulti ed educatori.

È Pasqua: cambia il tuo punto di vista!

Siamo prossimi alla Pasqua e non avrei mai immaginato di viverla di nuovo blindata in casa per la pandemia. E voi?
Vorrei dirvi che presto finirà, trovare frasi di incoraggiamento e ottimismo, ma come voi anch’io sono stanca, perché è un anno che rispetto diligentemente le regole ed esco solo per lavorare.
Come molti di voi, niente più socialità, trekking in montagna, passeggiate al lago o al mare.

Col passare dei mesi sono venute meno la pazienza, la tolleranza, la comprensione, la speranza. E sono cresciute la stanchezza, l’esasperazione, la frustrazione, l’ansia.

Sembra proprio che tutto vada male… E questo malessere è così diffuso che i prodotti maggiormente pubblicizzati in TV sono proprio quelli contro l’insonnia, l’ansia, l’irritabilità, il mal di stomaco e di testa.
Zero energia, zero positività. Che disastro!

Quindi cosa fare?
Ripiegarci su noi stessi? Abbandonarci all’apatia? Arrenderci alla negatività?

Per me è inaccettabile!
Non voglio abbattermi né violare le regole, perciò l’unica cosa da fare è “cambiare punto di vista”.

Al posto di ascoltare di continuo il mio disagio, che in alcuni momenti è assordante, ho scelto di “dargli un piccolo spazio” nell’arco della giornata.
Per il resto, al posto di elencare tutto ciò che mi manca (nel lavoro, vita sociale, salute, famiglia, ecc.), ho scritto una lista di tutto ciò che posso ancora fare, nonostante le restrizioni e, per aiutare le persone che amo, ho inventato “sfide” sportive (da condividere grazie ad un’app) che alimentano la motivazione a stare nel verde, organizzare al meglio la giornata, avere uno scopo, prendersi cura di sé.

Un amico che purtroppo è stato colpito da una malattia degenerativa, che lo paralizzerà per sempre, mi ha detto: “Ogni giorno penso a quel poco che posso ancora fare, piuttosto che a tutto quello che sto perdendo”.

E per me è un grande esempio, perché se nella nostra vita possiamo ancora muoverci, non importa andare in montagna o al mare.
Possiamo anche camminare al parco vicino a casa.

Questo è il concetto: usare il pensiero creativo per trovare soluzioni che ci facciano stare bene, pur nella difficoltà.

E allora prendiamo esempio anche dai ragazzi, che hanno organizzato party virtuali, aperitivi a distanza, incontri all’aria aperta…

Siamo noi a scegliere come reagire.
Perciò domandiamoci: “Che cosa vogliamo?”.
Crogiolarci nelle nostre emozioni negative o reagire e trovare nuovi modi per coltivare un po’ di serenità?

Quando essere assertivi non porta al risultato… Ecco cosa fare!

Spiego sempre ai miei coachee (clienti) quanto sia importante sviluppare una buona assertività, per saper dire di no e far valere i propri diritti e bisogni.
Essere capaci di farlo, cambia la vita e permette di avere maggiore autostima.
E non c’è un limite di età per diventare assertivi: i fortunati lo imparano da ragazzi, mentre gli over 40 ci arrivano con qualche sforzo in più.
Ma, per esperienza, posso dire che è un obiettivo raggiungibile, se ben guidati a farlo.

Quindi… se impariamo a essere assertivi abbiamo risolto tutti i nostri problemi… O no?

Antonella ne era convinta e ha faticato parecchio per diventarlo.
Poi, un giorno, nell’appartamento sopra il suo si è trasferita una giovane e chiassosa coppia con un bambino piccolo e un cane di taglia media. La sua tranquillità e serenità sono scomparse, perché la famigliola era indifferente alle più elementari norme di convivenza civile e quindi non c’era più pace.

Cosa fare, se non usare tutta l’assertività di cui era capace?

Mi spiegava di averle provate tutte: prima il dialogo diplomatico, poi una esplicita richiesta di “attenzione e comprensione” nei suoi confronti, per arrivare a una lettera attraverso l’amministratore, ecc.
Risultato? Nessuno!
Se non uno stato di esasperazione, con sentimenti che variavano dalla rabbia alla frustrazione.

Cosa ci insegna questo?

Che l’assertività non porta ad alcun risultato se si scontra con il menefreghismo dell’altro.
Possiamo essere capaci di far presente il disagio che ci procura l’altra persona col suo comportamento irrispettoso ed egoista, ma se l’altro è assolutamente sordo e indifferente alle nostre richieste, non risolveremo nulla.

Questo non vuol dire aver sprecato tempo ed energie.
Chi è assertivo ha indubbiamente una marcia in più, perché “combatte” e non subisce in silenzio.
Non si comporta da vittima, ma agisce per ottenere ciò che desidera.

Esiste, tuttavia, un limite: l’altra persona (con le scelte che fa, i comportamenti che assume, ecc).

E allora cosa possiamo fare?
Certamente non passare il tempo a lamentarci, sebbene a ragione.

Meglio concentrarci sul trovare soluzioni che dipendano “solo” da noi, che portino al nostro benessere, qualunque esso sia.

Decisioni da prendere con lucidità e rispetto del nostro modo di essere: dal mettersi i tappi nelle orecchie per sopportare i rumori molesti, alla scelta di rivolgersi ad un avvocato, fino alla decisione drastica di cambiare casa.

Le scelte sono soggettive, ma ci permettono di non subire.
E questo, chi è assertivo, lo sa!

In questo periodo, meglio fare programmi o vivere alla giornata?

Ebbene lo ammetto: sono una di quelle che ama programmare. Ecco, l’ho detto!
E sono pure brava, perché so calcolare i tempi e difficilmente sbaglio.

Cosa c’è di meglio?, direte voi.
Fino a qualche tempo fa, nulla: saper elaborare programmi, conoscere il modo con cui portarli a termine e in quanto tempo, sono sempre stati un gran vantaggio. Garantisco!

Ma oggi… Oggi è dura!

Perché con l’arrivo del Covid-19, fare programmi a lungo termine non serve a niente, anzi, è pure controproducente, perché quando meno te l’aspetti… la tua regione cambia colore, il tuo lavoro cambia orari, modalità, strumenti… e la tua vita è in balia degli eventi, delle statistiche, di un virus fuori controllo.

Se anche voi siete come me, sapete di cosa parlo.

E allora, certamente, vi troverete nella condizione per cui avete speso del tempo a programmare (quando magari avreste avuto voglia di fare altro) e quel programma viene cancellato di colpo e non certo per colpa vostra.
Un senso di frustrazione, di precarietà e, siamo sinceri, anche una gran scocciatura.
E allora… qualche esclamazione colorita può anche scappare…

Perché è tutto da rifare… o no?  NO!

Nel senso che non ha più molto senso fare programmi a lungo e medio termine.

Quando saltano, infatti, ci si sente disorientati e non è proprio una bella sensazione, soprattutto se siamo di quelli che non stanno mai fermi, che hanno sempre qualcosa da fare, che odiano il divano e la passività.

Tuttavia questo tempo, così strano, ci insegna qualcosa, ovvero a imparare a “vivere alla giornata”.

Giuro, non avrei mai pensato di pronunciarlo né come Laura né come Coach!
Perché per il mio cervello, “vivere alla giornata” è sinonimo di “buttare via il tempo”, “oziare”.

In realtà questo periodo mi sta insegnando qualcosa di molto prezioso: accorciare i tempi e fare programmi a breve, brevissimo termine.

Significa avere ben chiaro che cosa è importante fare l’indomani, al massimo nei successivi cinque giorni, ma non di più (visto che i Dpcm sono quindicinali).
Perciò, se da un lato è importante continuare a dare un senso alle nostre giornate, dall’altro non ha senso fare programmi troppo in là nel tempo.

Imparare a pensare di giorno in giorno, arrivando a sera soddisfatti di ciò che abbiamo fatto e pensare a ciò che dobbiamo/vogliamo/possiamo fare l’indomani, a seconda delle reali priorità.

Questo è (forse) il segreto per essere sereni in un periodo così buio come questo.
Perciò, muniti di carta e penna,

registriamo gli impegni da portare a termine nel giro di cinque giorni: scriviamoli in una lista in ordine sparso e poi, ogni sera, proviamo a prendere alcune voci della lista per inserirle in ciò che faremo l’indomani.

Riuscire a spuntare di giorno in giorno le attività programmate ci servirà per sentirci motivati…
Ma… Attenzione a non esagerare!
Programmare “troppe” attività/impegni e non riuscire a portarli a termine può avere l’effetto contrario, ovvero farci sentire frustrati e insoddisfatti, facendoci perdere l’energia per affrontare una nuova giornata.

Se pretendi di “controllare tutto”, ti rovini la vita!

Quante volte ti hanno detto “Dai, rilassati!”, “Vivi con un po’ di leggerezza!”, “Smettila di voler controllare tutto!”.
E come ti sei sentito? Probabilmente frustrato, incompreso, infelice.
Magari ti sei chiesto se effettivamente stai esagerando o se sono “gli altri” a essere troppo superficiali, lasciando andare le cose così come vanno. Magari hai provato una sorta di invidia per chi vive senza la pretesa di controllare tutto e tutti.

E allora facciamo chiarezza.

Non c’è niente di male né di sbagliato in te, se sei solito fare un’adeguata verifica di come stanno andando le cose nella tua vita (lavoro, relazioni, ecc), anzi, ben venga! E’ utile.
Se invece è un bisogno irrinunciabile, che ti procura ansia, inquietudine, nervosismo, persino terrore, allora parliamo di “ipercontrollo”.

Forse ne hai sentito parlare in termini di “mania di controllo”, cioè quando pretendiamo di prevenire ciò che è imprevedibile, come il comportamento altrui e le situazioni. In poche parole, il nostro voler controllare tutto non è sano e dovremmo lavorarci sopra per vivere in modo più sereno.

Già mi immagino la reazione… “Chi? Io? Mica ho la mania del controllo!”.

Allora proviamo a descrivere chi ce l’ha:

  • Perde serenità di fronte alle situazioni incerte.
  • Ha sempre paura di commettere errori.
  • Ha difficoltà a gestire lo stress.
  • Sente un bisogno costante di essere rassicurato.
  • Non ha fiducia nelle capacità degli altri.
  • Sente su di sé un eccessivo carico di responsabilità.
  • Proprio non riesce a lasciare al caso neppure il dettaglio più insignificante.

Scommetto che ora dirai: “Oh, cavolo! Sono io!” oppure “Oddio!, assomiglia a mia moglie/marito!” o ancora “Sembra che parli di mia madre/padre… E se fosse davvero così?”.

Togliti alcuni dubbi!

Chi è maniaco del controllo spesso pone eccessiva attenzione al proprio corpo, in termini di alimentazione e cura di sé, oppure ha l’ossessione per l’ordine e la pulizia, nel senso che è terrorizzato da germi, sporco e disordine. Pretende di tenere sotto controllo i figli, il partner e, al lavoro, si dimostra perfezionista e intransigente… Insomma, vive proprio male!

Sì, perché – se sei così – non sopporti le novità, gli imprevisti, e non riesci a delegare, così fai tutto tu ed esaurisci le tue energie.

Dimmi la verità… anche il tuo fisico ne risente, vero?
Sì, perché per avere tutto sotto controllo il corpo è in continua tensione muscolare e si irrigidisce. La conseguenza è un costante senso di stanchezza e spossatezza.

Ti ci ritrovi?
Ti va di migliorare? Già, perché è possibile: non è che si nasce così.
Si può essere predisposti, ma non è genetico. Bella notizia, vero?

Allora inizia da qui:

  • Non censurare le tue emozioni, perché è frustrante. Semmai impara a gestire la rabbia, la tristezza, il senso di colpa.
  • Se la mania di controllo ti procura gravi crisi d’ansia o attacchi di panico, cerca un bravo psicologo/psicoterapeuta per farti curare.
  • Guarda in faccia il tuo sforzo di fare ordine, di prevedere l’imprevedibile, di non farti trovare impreparato: renditi conto che è un bisogno interiore e non c’entra con l’impegno e la responsabilità (perciò… non raccontartela!).
  • Diventa consapevole di esserti chiuso in una gabbia, dove tutto deve andare come vuoi, in modo perfetto; dove tu devi mostrarti impeccabile, indipendente, efficiente, senza che nessuno te l’abbia mai chiesto.
  • Prova ad essere più spontaneo, più “vero”: togli la maschera, almeno un pochino. Nessuno ti giudicherà!
  • Smettila di arrabbiarti per come va il mondo: la politica, l’economia, la società. Domandati: “Cosa posso fare concretamente per cambiare le cose?” e poi fallo. Ma se capisci di non poter intervenire… lascia perdere. Vai oltre!
  • Rompi la routine: ogni tanto cambia qualcosa. Magari scegli un nuovo percorso per andare al lavoro o pranza in un bar diverso dal solito.
  • Se qualcosa va storto, prova a dirti: “Ho commesso un errore” e non “Sono un disastro!”.

E ricorda:
“Tutto quello che non riesci a controllare ti sta insegnando a lasciar andare.”   (Jackson Kiddard)

Le emozioni negative non devono impedirci di proseguire dritto verso l’obiettivo.

Oggi vi parlo di un argomento a me caro, poiché legato a “obiettivi e risultati”.
Credo che a tutti nella vita sia capitato di stabilire un obiettivo, perseguirlo per un po’ di tempo e poi abbandonarlo sulla scia di emozioni negative.

Mi ricordo, ad esempio, di un’amica che aveva iniziato una dieta, ponendosi un obiettivo decisamente sfidante, che prevedeva almeno sei/nove mesi di impegno.
Si era rivolta ad una nutrizionista che conosco e che stimo per la grande professionalità e disponibilità.
Be’, era riuscita a superare i mesi più difficili e si diceva molto soddisfatta.

Poi, nel giro di una settimana, ha accumulato stress legato a liti, discussioni e battibecchi con l’ex marito e… ha perso lucidità (e controllo), facendo esattamente ciò che la nutrizionista le aveva detto di evitare.
A quel punto ha attribuito la “colpa” alla nutrizionista e ha abbandonato le prescrizioni per rivolgersi a un nuovo dietologo che le ha promesso miracoli… Sto ancora aspettando di vederli.

E diciamocelo, ce ne sono tantissimi di esempi come questo:

  • Andare dal medico per guarire da un disturbo e smettere la cura “perché non funziona nei tempi che vogliamo noi”;
  • Iscriversi ad un corso di ballo e cambiare più scuole e maestri perché manca il risultato (che arriverebbe se fossimo più costanti e determinati);
  • Cambiare scuola, perché i bei voti tardano ad arrivare (quando magari è lo studio che manca)…

Se avete notato, in questi esempi la “colpa” viene sempre attribuita a qualcuno “fuori da sé”, come a dire: “Io non c’entro, sono perfetto così! E’ l’altro che non è abbastanza bravo o capace!”.

Proviamo allora ad essere sinceri con noi stessi e a domandarci:

“Ho davvero fatto tutto quello che mi è stato indicato per arrivare al risultato che voglio? Oppure ho fatto qualcosa che proprio non dovevo, per cui mi sono demoralizzato e infine ho scelto di lasciar perdere?”.

Bisogna essere onesti con se stessi, tanto più se si tratta di obiettivi delicati, come quelli legati alla relazione con gli altri, magari coi figli o col partner.
Ecco il motivo per cui gli psicologi dicono che non si possa interrompere un percorso così all’improvviso.
Perché

una lite, una discussione o uno scontro possono sì far provare emozioni negative molto intense, ma non devono farci deviare dal nostro percorso, altrimenti tutta la strada percorsa fin lì viene dimenticata.

Bisogna restare lucidi, invece.
Capire che, sebbene terribile, quel diverbio ha avuto un inizio (che noi abbiamo permesso) e una fine. Stop!
Significa che potremo lavorare su quanto accaduto e andare oltre, continuando a seguire la strada che abbiamo tracciato insieme al professionista che abbiamo scelto per la sua serietà e al quale ci siamo affidati con grande fiducia.

Abbandonate i soliti propositi per l’Anno Nuovo e date vita a veri obiettivi.

L’anno nuovo porta sempre con sé dei buoni propositi che solitamente sono legati ad alcuni desideri che teniamo nel cassetto da tanto tempo.

Magari sono anni che vorremmo rientrare in quei bei blu-jeans o iscriverci a un corso di inglese o ancora andare in palestra o addirittura sistemare il nostro curriculum per cercare un nuovo posto di lavoro.

Che si tratti di sport, di studio, di qualsiasi altra cosa… l’importante è trasformare il nostro desiderio in un vero obiettivo.

Sembra una cosa semplice, ma non lo è. Quantomeno non è così immediata come crediamo, perché dobbiamo metterci a tavolino e pensare, oltre che scrivere.

E dobbiamo farlo da soli, perché la prima regola per raggiungere il nostro obiettivo è far sì che dipenda esclusivamente da noi.

Sì, vabbè, Laura ma non c’è niente che dipenda solo da me! Quindi che faccio?!

In realtà ci sono obiettivi che possiamo portare a termine da soli.

Pensate alla dieta, ad esempio. Tocca a noi informarci da quale dietologo/nutrizionista farci seguire. Dipende da noi seguire poi la dieta e resistere alle tentazioni.
Pensate allo sport: siamo noi a decidere, in base ai nostri impegni, quanto tempo dedicare all’allenamento, in quali giorni farlo e in quali fasce orarie.
Lo stesso per lo studio, dove siamo noi a stabilire “quante pagine” studiare al giorno, per quanti giorni, in quali giorni e per quante ore.

Perciò, come vedete, sono parecchi gli obiettivi sotto il nostro totale controllo.
Quindi scegliete il vostro!

E ora andiamo a definirlo meglio, perché soltanto così lo porteremo a termine con grande soddisfazione.

Siete pronti?

Ecco le domande a cui dovete rispondere (per iscritto):

  • Avete espresso il vostro obiettivo in modo preciso e dettagliato? (es. Voglio dimagrire 3 kg in tre mesi).
  • Vi sembra realistico?
  • Siete in grado di farlo?
  • E’ una sfida che vi motiva o che vi mette ansia?
  • E’ davvero un vostro obiettivo o “arriva” dall’esterno? (dal partner, dal genitore, ecc)
  • Riuscite a “immaginarvi” mentre spuntate il vostro obiettivo? E come vi sentite?
  • Avete stabilito in quanto tempo raggiungerlo?
  • E’ sotto il vostro totale controllo?

Ecco, se avete risposto per iscritto a queste domande, avete sotto agli occhi la verità, ovvero se l’obiettivo che avete scelto fa davvero per voi, se vi interessa veramente e se vi sentite motivati a spuntarlo.

Troppe volte, infatti, gli obiettivi che ci poniamo sono frutto di influenze esterne: dimagrire per piacere di più al partner, andare in palestra per perdere peso, studiare perché lo vogliono i genitori…

Perciò ricordate: se l’obiettivo non “viene da voi”… non lo raggiungerete mai. Garantito!

Per aiutare un familiare che soffre ci vogliono disponibilità, amore e positività.

Non è facile guardare in faccia un familiare che soffre senza provare il desiderio di farlo stare meglio all’istante.
Che si tratti di una malattia o di uno stato psicologico, vorremmo vederlo stare bene, perciò ci attiviamo a partire dalle cose pratiche per poi passare al sostegno morale.
Ma cosa succede se quel familiare non ne vuole sapere di seguire le nostre indicazioni, i nostri consigli?
Se si chiude in se stesso e smette di sorridere…
Se quando ci vede si lamenta per il suo stato e ogni giorno va peggio?

Ci sentiamo in colpa, vero?
Come se non avessimo fatto abbastanza.
La nostra vita si mette in stand by e la qualità va sotto zero.
Ci svegliamo la mattina e ci corichiamo la sera con un unico pensiero: trovare una soluzione e presto.
Ma stiamo buttando via energie che dovremmo invece risparmiare.

Il problema è che stiamo pretendendo l’impossibile: avere tutto sotto controllo e far funzionare le cose per forza.
Non è così che funziona!

Dobbiamo accettare di non avere i superpoteri.

Il nostro familiare non starà meglio solo perché noi lo vogliamo.
Ha bisogno di tempo. Un tempo che è necessario.

E allora cosa fare nel frattempo?
Attivarci per offrirgli le soluzioni possibili, senza la pretesa che funzionino o che lui le accetti.
Riprendere la nostra vita con la consapevolezza di “esserci” e di essere disponibili.
Sentire l’Amore dentro di noi e renderci conto che è davvero “grande”.
Smetterla di farci travolgere dai cupi pensieri e vivere… pensando che siamo più utili se restiamo positivi.

Non è facile, ma almeno… è possibile.