Quando essere assertivi non porta al risultato… Ecco cosa fare!

Spiego sempre ai miei coachee (clienti) quanto sia importante sviluppare una buona assertività, per saper dire di no e far valere i propri diritti e bisogni.
Essere capaci di farlo, cambia la vita e permette di avere maggiore autostima.
E non c’è un limite di età per diventare assertivi: i fortunati lo imparano da ragazzi, mentre gli over 40 ci arrivano con qualche sforzo in più.
Ma, per esperienza, posso dire che è un obiettivo raggiungibile, se ben guidati a farlo.

Quindi… se impariamo a essere assertivi abbiamo risolto tutti i nostri problemi… O no?

Antonella ne era convinta e ha faticato parecchio per diventarlo.
Poi, un giorno, nell’appartamento sopra il suo si è trasferita una giovane e chiassosa coppia con un bambino piccolo e un cane di taglia media. La sua tranquillità e serenità sono scomparse, perché la famigliola era indifferente alle più elementari norme di convivenza civile e quindi non c’era più pace.

Cosa fare, se non usare tutta l’assertività di cui era capace?

Mi spiegava di averle provate tutte: prima il dialogo diplomatico, poi una esplicita richiesta di “attenzione e comprensione” nei suoi confronti, per arrivare a una lettera attraverso l’amministratore, ecc.
Risultato? Nessuno!
Se non uno stato di esasperazione, con sentimenti che variavano dalla rabbia alla frustrazione.

Cosa ci insegna questo?

Che l’assertività non porta ad alcun risultato se si scontra con il menefreghismo dell’altro.
Possiamo essere capaci di far presente il disagio che ci procura l’altra persona col suo comportamento irrispettoso ed egoista, ma se l’altro è assolutamente sordo e indifferente alle nostre richieste, non risolveremo nulla.

Questo non vuol dire aver sprecato tempo ed energie.
Chi è assertivo ha indubbiamente una marcia in più, perché “combatte” e non subisce in silenzio.
Non si comporta da vittima, ma agisce per ottenere ciò che desidera.

Esiste, tuttavia, un limite: l’altra persona (con le scelte che fa, i comportamenti che assume, ecc).

E allora cosa possiamo fare?
Certamente non passare il tempo a lamentarci, sebbene a ragione.

Meglio concentrarci sul trovare soluzioni che dipendano “solo” da noi, che portino al nostro benessere, qualunque esso sia.

Decisioni da prendere con lucidità e rispetto del nostro modo di essere: dal mettersi i tappi nelle orecchie per sopportare i rumori molesti, alla scelta di rivolgersi ad un avvocato, fino alla decisione drastica di cambiare casa.

Le scelte sono soggettive, ma ci permettono di non subire.
E questo, chi è assertivo, lo sa!

Non permettere a nessuno di influenzare le tue scelte!

Oggi una giovane 23enne, che lavora come estetista da quando aveva 16 anni, mi ha confidato il suo desiderio di conseguire la maturità per guardare avanti e magari frequentare l’università, non tanto per fare un lavoro diverso, quanto per acculturarsi.
Mi sono brillati subito gli occhi, perché quando “sento” in una persona  il desiderio di conoscere e imparare… il cuore mi batte forte e provo una gioia che mi è impossibile descrivere a parole.
Essendo Coach e anche docente, l’ho subito tempestata di domande. Ha risposto in modo consapevole circa le difficoltà, ma quel “fuoco”, quel desiderio di farcela si avvertiva forte. Così le ho dato qualche dritta su come orientarsi per frequentare il quinto anno e poi la maturità.
Non era spaventata.
Mi ha detto con aria seria:
“Io lo so che posso farcela! Perché quando mi metto in testa una cosa… non mi ferma nessuno!”. Poi però ha aggiunto: “E’ solo che nessuno crede in me! Il mio fidanzato dice che non ha senso e mio padre mi scoraggia, forse perché ha paura che io fallisca”.

Il suo sguardo era cambiato: aveva perso luce.
Gli occhi bassi e un filo di voce: “Se almeno appoggiassero questa mia idea, che non è un capriccio! Invece…”.
Il suo era un dialogo intimo con se stessa… e chissà da quanto tempo lo era.

Credo che sia capitato a molti di trovarsi in una condizione simile.
Certamente  più a “femmine” che a maschi.
E allora parliamone!

Perché quel mancato appoggio, anche se solo psicologico e affettivo, fa male, ferisce, fa sentire poco adeguate e non c’è niente di peggio.

E’ la speranza, il desiderio, l’obiettivo da raggiungere – pure con gran fatica – che tengono alta la motivazione. Ma se si è circondati da familiari, partner e amici che non fanno altro che incutere paura e insinuare dubbi… Beh, la strada da percorrere è ancor più in salita e certamente contro vento.
Qui viene fuori di che stoffa siamo fatti!
Se cioè siamo pronti a camminare contro vento, contro tutti, oppure se siamo così deboli o così incerti da dubitare noi stessi della bellezza (e validità) del nostro progetto e quindi rinunciarci.

Per esperienza posso dire che , se quel “fuoco” ci brucia dentro e abbiamo valutato che non si tratta di un fuoco di paglia né di un salto nel vuoto, allora non dobbiamo ascoltare chi cerca di allontanarci dal nostro obiettivo.

Smettiamola di voler condividere ciò che desideriamo fare con chi – parente o meno – non solo non ci capisce, ma fa di tutto per farci rinunciare.

Parliamo di meno e agiamo di più!

Iniziamo a scrivere ciò che vogliamo  raggiungere e a pensare a tutti i passaggi necessari per ottenere più informazioni possibili.
Teniamo nota di tutto ciò che scopriamo.
Cerchiamo di approfondire più che possiamo, facendo domande alle persone competenti.

Non rinunciamo!

Quando la “luce” finalmente si accende nei nostri occhi… è il momento di essere felici!
E per esserlo, non serve l’approvazione degli altri.

Perciò… seguiamo  la nostra strada!

 

Le emozioni negative non devono impedirci di proseguire dritto verso l’obiettivo.

Oggi vi parlo di un argomento a me caro, poiché legato a “obiettivi e risultati”.
Credo che a tutti nella vita sia capitato di stabilire un obiettivo, perseguirlo per un po’ di tempo e poi abbandonarlo sulla scia di emozioni negative.

Mi ricordo, ad esempio, di un’amica che aveva iniziato una dieta, ponendosi un obiettivo decisamente sfidante, che prevedeva almeno sei/nove mesi di impegno.
Si era rivolta ad una nutrizionista che conosco e che stimo per la grande professionalità e disponibilità.
Be’, era riuscita a superare i mesi più difficili e si diceva molto soddisfatta.

Poi, nel giro di una settimana, ha accumulato stress legato a liti, discussioni e battibecchi con l’ex marito e… ha perso lucidità (e controllo), facendo esattamente ciò che la nutrizionista le aveva detto di evitare.
A quel punto ha attribuito la “colpa” alla nutrizionista e ha abbandonato le prescrizioni per rivolgersi a un nuovo dietologo che le ha promesso miracoli… Sto ancora aspettando di vederli.

E diciamocelo, ce ne sono tantissimi di esempi come questo:

  • Andare dal medico per guarire da un disturbo e smettere la cura “perché non funziona nei tempi che vogliamo noi”;
  • Iscriversi ad un corso di ballo e cambiare più scuole e maestri perché manca il risultato (che arriverebbe se fossimo più costanti e determinati);
  • Cambiare scuola, perché i bei voti tardano ad arrivare (quando magari è lo studio che manca)…

Se avete notato, in questi esempi la “colpa” viene sempre attribuita a qualcuno “fuori da sé”, come a dire: “Io non c’entro, sono perfetto così! E’ l’altro che non è abbastanza bravo o capace!”.

Proviamo allora ad essere sinceri con noi stessi e a domandarci:

“Ho davvero fatto tutto quello che mi è stato indicato per arrivare al risultato che voglio? Oppure ho fatto qualcosa che proprio non dovevo, per cui mi sono demoralizzato e infine ho scelto di lasciar perdere?”.

Bisogna essere onesti con se stessi, tanto più se si tratta di obiettivi delicati, come quelli legati alla relazione con gli altri, magari coi figli o col partner.
Ecco il motivo per cui gli psicologi dicono che non si possa interrompere un percorso così all’improvviso.
Perché

una lite, una discussione o uno scontro possono sì far provare emozioni negative molto intense, ma non devono farci deviare dal nostro percorso, altrimenti tutta la strada percorsa fin lì viene dimenticata.

Bisogna restare lucidi, invece.
Capire che, sebbene terribile, quel diverbio ha avuto un inizio (che noi abbiamo permesso) e una fine. Stop!
Significa che potremo lavorare su quanto accaduto e andare oltre, continuando a seguire la strada che abbiamo tracciato insieme al professionista che abbiamo scelto per la sua serietà e al quale ci siamo affidati con grande fiducia.

Donne, criticare il partner con le amiche non fa bene a voi e nemmeno alla coppia.

Quante di noi, tra donne, non hanno mai ridicolizzato il partner perché non sa mai dove si trovano le cose in casa? Perché non ricorda ciò che gli abbiamo detto due minuti prima? Perché sembra non essere autonomo…?

Ieri ero in un negozio di parrucchiera quando è entrata una donna che conosco di vista: nonna di due bambini a cui bada, età – immagino – 65 anni… magari qualcuno di più, ma molto attiva: spesso alla guida della sua auto o in bici. So chi è il marito, ma li ho visti di rado insieme. Lei arcigna e lui educato e sorridente.

Ad un certo punto, la donna attacca con delle critiche feroci sull’universo maschile.
La parrucchiera ed io inizialmente ridacchiamo più per un senso di solidarietà femminile che per i concetti espressi, ma poi la situazione si fa imbarazzante.

La signora – con tono duro e aria seccata – esclama: “Ah! Per carità! Noi sì siamo autonome, ma loro?! Non sanno neanche trovare i calzini nei loro cassetti! Diciamo la verità: a cosa servono? Sì, vabbè, a fare figli e un po’ di sesso, ma se una donna lavora e non vuole figli… che se ne fa di un marito?!”.

Ero basita.
Basita e a disagio. Niente più sorrisi né risatine. Altro che solidarietà femminile!
Spero che quello della signora sia stato uno sfogo… anche se non ne sono molto convinta.

Ripensando alla feroce osservazione mi domando: Qual è lo scopo?

Sminuire il marito? Calpestare tutti gli uomini? Gridare la sua frustrazione nei confronti del matrimonio? Ribadire in modo femminista la superiorità delle donne?

Qualunque sia il motivo, al suo matrimonio non farà certo bene, perché esprimere critiche così pesanti (senza dubbio riferite al marito) non aiuta la relazione: la uccide.

Ci sono donne, infatti, che si aspettano che la vita di coppia implichi automaticamente la complicità col partner. Credono sia una cosa naturale, ovvia, spontanea. Invece non è così.
La complicità va costruita giorno dopo giorno attraverso l’ascolto attento, la condivisione, l’incontro, il guardarsi e lo stare bene insieme. Non si tratta di idillio, ma di partecipazione, intimità, persino gioco.

La critica separa e allontana dalla complicità.

Criticare l’altro aspramente perché non fa, non dice, non soddisfa le nostre aspettative non lo farà migliorare, ma soltanto allontanare.
Far notare all’altro in malo modo che “non ci arriva”, non lo farà cambiare, ma gli comunicherà tutta la nostra disistima.

Perciò… se qualcosa non ci va bene, se desideriamo tanto che l’altro modifichi un suo comportamento, CHIEDIAMOGLIELO.
Consiglio frasi che comincino così: “Avrei bisogno / necessità…”, “Mi farebbe piacere che tu…”.

Nessun partner è perfetto, neanche il nostro, ma criticarlo con le amiche non solo rende vulnerabile la coppia, ma è anche una mancanza di rispetto.

Se abbiamo scelto di vivere in coppia, allora dobbiamo proteggerla e difenderla: solo così potremo rinnovare quell’energia necessaria a rigenerarla.

I “vampiri dell’anima” esistono!

Cosa succede quando una donna si innamora di un narcisista? Di un uomo che si mette con lei, la fa a pezzi, la lascia e infine torna a tormentarla? Sembra un film dell’orrore, vero?
Io però ne ho conosciute di ragazze e donne così: le ho viste soffrire, dubitare di sé, delle proprie capacità, fino a perdere se stesse, la propria autostima, i propri sogni e obiettivi.
Hanno amato un “mostro”, ma grazie a Dio ne sono uscite, anche se con grande fatica e tanto impegno. La mia lettera, quindi, è per loro e per tutte quelle che – senza accorgersene – stanno vivendo a fianco di un manipolatore.

Cara Amica,
quando l’hai incontrato non l’hai riconosciuto…
D’altra parte chi riconoscerebbe subito un narcisista? Un uomo che ti lusinga, che ti fa sentire speciale, unica. Un uomo che ti dice di non aver mai provato un amore simile prima. Dolce, affettuoso, pieno di attenzioni…
Tu non l’hai riconosciuto, ma lui sì: ti ha cercata, stanata come una preda.
Ha fiutato subito il tuo bisogno d’amore, le tue ferite del passato, le tue fragilità e il desiderio di non essere più sola.
Ti ha fatto credere che ti avrebbe amata nonostante la tua vulnerabilità, anzi, che ti avrebbe “salvata” da una vita triste e vuota. E tu hai scambiato tutto questo per amore e ti sei fidata e affidata.

Oh, se tu fossi stata meno affamata di amore e attenzioni, forse gli avresti tolto subito quella maschera da impostore!
Ma lui era l’uomo che avevi tanto atteso, così perfetto e innamorato.

Sei stata generosa con lui, sempre presente, disponibile: gli hai donato un amore incondizionato.
E lui era così affascinante: sicuro di sé, deciso, ma anche tenero. Cosa volere di più?

Solo che è bastato poco perché lui cominciasse a sottolineare i tuoi difetti, le tue mancanze, il tuo non essere mai abbastanza. Prima una stilettata con una frase pungente e poi una carezza con una frase affettuosa… fino a confonderti: dottor Jekyll e Mr. Hyde!
E così hai messo in dubbio te stessa
e la realtà che avevi sotto agli occhi.
E hai cominciato a vivere sull’altalena: un giorno su, se era carino con te, e uno giù, quando ti criticava severamente.

Un amore a intermittenza… O meglio, un NON amore, ma tu di questo non potevi renderti conto perché il narcisista ha mille maschere ed è un abile manipolatore: sa come tenerti in pugno, come fare perché tu dipenda da lui, sempre, anche se soffri.

E quando hai timidamente tentato di reagire, ti ha fatta sentire in colpa, come fossi quella che “vuole rovinare tutto”, perché quello che gli davi non era mai abbastanza: tu non eri mai abbastanza. Lui invece stava sul piedistallo, convinto di essere il migliore, quello che non sbaglia mai.

Ti ha fatto credere di poter fare a meno di te, ti ha instillato la paura di perderlo. E tu, che lo amavi, gli hai creduto e ti sei aggrappata a lui ancora di più.

Poi si è stancato e ti ha lasciata per davvero.
Verrebbe da dire che hai vinto un terno al lotto! Ma so che tu non l’hai presa così.
Prima di andarsene, ti ha rovesciato addosso tutto ciò che di più cattivo e immeritato si possa ascoltare. Tu, l’unica colpevole, l’unica causa di questo suo abbandono. Tu, così inadeguata, da non essere riuscita neanche a tenertelo stretto!

Voglio dirti che non è così, che tu non hai alcuna colpa e che questa rottura – per te – è una vera fortuna, perché – se lo vuoi – ti dà la possibilità di ricostruirti, di ritrovare quella che eri, con tutte le tue meravigliose qualità: quei punti di forza che non sapevi né sai di avere.

Lui se n’è andato, ma non ti ha comunque lasciata in pace. Ha cercato di tenerti agganciata, inviandoti messaggi con frasi ambigue, di (finto) affetto, di (falsa) comprensione e preoccupazione.
Ma quando hai scelto di non rispondere, lui ti ha ferita con le solite frasi cattive, perché nessun carnefice accetta di perdere la sua vittima!

La verità è che hai fatto la cosa migliore a evitare qualsiasi contatto con lui: non puoi correre il rischio di una ricaduta!
Anche perché il tuo narcisista non ti ama, non cambia e non cambierà mai. Se ritorna è solo per affermare il suo dominio, per dimostrare a se stesso che sei un suo possesso, come tu fossi un oggetto.

Perciò, in attesa che gli squarci del tuo cuore cicatrizzino, FOCALIZZATI SU DI TE e prenditi cura della persona che sei: ricordi che cosa ti piaceva fare prima di incontrarlo? Che sia un hobby, un nuovo interesse, una passione trascurata o abbandonata da anni… Basta che ti renda felice e ti faccia assaporare di nuovo il gusto della vita.
L’amore per te stessa, per un animale, per gli amici è un toccasana! Così come viaggiare, leggere un buon libro, goderti un buon film.

Non cercare un nuovo compagno: non fino a che non ti sarai ricostruita del tutto. Non finché avrai la certezza di “bastare a te stessa”.
Solo così non rischierai di cadere ancora vittima di un “vampiro dell’anima”.

Uscirne è dura, ma – vedrai – è possibile!

Come faccio a gestire l’aggressività di mio figlio?

Hai un figlio aggressivo? E’ adolescente?

Ti senti impotente di fronte a lui e provi paura, preoccupazione, persino rabbia?

Sai già che “essere arrabbiati” è tipico dell’adolescenza, ma forse non sai ancora che

è un modo inconscio che tuo figlio ha per separarsi e differenziarsi da te.

Significa che devi sopportare e giustificare tutti i suoi attacchi? No di certo.

Tuttavia è importante che tu ti chieda: “Ma che cosa mi sta comunicando la sua aggressività?”.

E soprattutto è necessario che tu abbia ben chiaro come comportarti.

Ecco alcune dritte che possono esserti utili:

1) Non litigare con tuo figlio, perché non aspetta altro che un’occasione per scontrarsi con te:

osservalo, ascoltalo per capire qual è la vera causa della sua rabbia (magari nasce dal fatto che tu continui ad elogiare il fratello perché è bravo a scuola o nello sport)

2) Dagli il buon esempio,
cioè dimostragli di saper discutere senza alzare la voce né ferirlo;

3) Non provocarlo, ovvero non innescare altra aggressività, ma contienilo:

se tuo figlio è arrabbiato, rimanda qualsiasi confronto o discussione a quando sarete entrambi più calmi.

4) Valuta bene quali “no” dirgli, perché se sono troppi e continui, sono dannosi e alimentano gli scontri. Meglio poche regole, definite bene e facilmente comprensibili per lui.

5) Dimostragli di apprezzare i suoi comportamenti positivi, anche se si tratta di piccole cose (come rimettere in ordine la sua stanza).

6) Non essere permaloso quando tuo figlio critica tutto ciò che fai:

lo sta facendo apposta per provocarti, ma inconsciamente sta cercando di separarsi da te, per non essere più il bimbo che ha bisogno del genitore.
Perciò… non fare il suo gioco, vai oltre: cerca di capire che cosa sta succedendo.

Affiancare nella crescita un figlio adolescente è difficile, ma adottare alcune buone pratiche può renderlo meno pesante.

Aspetto le tue riflessioni e… il tuo LIKE. J

Cari genitori, se vostro figlio è maleducato, la colpa è solo vostra!

Oggi parliamo di “parolacce” e dell’uso smisurato e non necessario che ne facciamo, salvo poi rimproverare i ragazzi che le dicono e bollarli come “maleducati”.
E’ stato scritto parecchio sull’uso “terapeutico” della parolaccia e non starò certo qui a ripeterlo. Che la parolaccia, se usata al momento opportuno, è liberatoria… l’abbiamo sperimentato un po’ tutti.

Tuttavia oggi siamo di fronte ad un abuso di queste parole volgari: il noto Sgarbi ci ha fatto i soldi, insultando gli altri a parolacce.

E che dire delle espressioni “colorite” utilizzate in casa da molti genitori, rivolte ai figli o usate come intercalare?
Un tale “allenamento” ad usarle, da diventare inconsapevoli del loro utilizzo e… farsele scappare anche durante colloqui scolastici con i professori… come fosse la normalità.
Sempre più spesso sento genitori esprimersi con parole o espressioni volgari.
Gli stessi genitori che poi vedo stupiti, scioccati, quando vengono convocati per tutte le parolacce che il figlio utilizza in ambiente scolastico.

La parolaccia non è il demonio, ma usarla quando non è necessaria, porta certamente ad un degrado.

Il bimbetto di cinque anni che dice “Pu**ana” alla mamma, col sorrisetto sulle labbra, NON è divertente e non fa ridere!
La ragazzetta undicenne che risponde a una compagna “Che c***o vuoi?!” non è in preda ad un attacco di ribellione adolescenziale!
Il ragazzo che, ridendo, risponde al padre: “Non mi rompere i co****ni” , non ha capito qual è la “gerarchia” (anche se è una parola che non mi piace).

Stiamo sottovalutando il problema. Lo stiamo addirittura banalizzando.
Ma immagino quanti leggeranno e muoveranno un sorrisetto di compatimento, pensando “che esagerazione!”.

Eppure basta ascoltare le lamentele dei genitori per rendersi conto che usare e permettere l’uso delle parolacce in casa porta pian piano ad una mancanza di rispetto.
Se tollero che mio figlio mi risponda (o commenti quanto gli dico) con parolacce, mi sono giocato il suo rispetto.
Certo che – se il primo ad usarle “simpaticamente” nei suoi confronti sono io – non posso pretendere che lui si rivolga a me senza usarle, perché i ragazzi fanno presto a dire: “Eh, ma lo fai tu! Perciò lo faccio anch’io!”. E come dar loro torto?!

Cari genitori, non possiamo pretendere un linguaggio rispettoso se non lo usiamo noi adulti per primi.

Sento spesso dire: “E’ colpa della società”.
Signori, ma la società siamo noi! Ciascuno di noi!
E se ciascuno facesse la sua parte, si sforzasse di essere più educato, più rispettoso… i ragazzi – automaticamente – farebbero lo stesso.

Non è mai troppo tardi, anche se i figli sono ormai grandicelli. Basta essere onesti con loro e ammettere di aver sbagliato per primi nell’aver usato le parolacce e chiedere a tutta la famiglia di impegnarsi a non dirle più. Non sarà una passeggiata, certo.

Ma si può sempre cambiare e migliorare.

Se invece preferite non fare questa fatica, se pensate che il rispetto sia slegato dall’utilizzo delle parolacce… fate pure.
Continuate così.
A me – non so perché – viene in mente solo il titolo di un articolo che ho letto e che recitava così: “Cari genitori, se i vostri figli sono maleducati, la colpa è solo vostra!”.

La lettera che tuo figlio adolescente non può scriverti!

Ho ritrovato questa bellissima lettera del 2015, scritta da Gretchen Schmelzer, psicologa e blogger statunitense, e ho pensato di condividerne la traduzione.

Caro Genitore,
questa è la lettera che vorrei poterti scrivere.

Di questa lotta in cui siamo, ora, ne ho bisogno. Io ho bisogno di questa lotta.
Non te lo posso dire perché non ho le parole per farlo e in ogni caso non avrebbe senso quello che direi. Ma, sappi, che ho bisogno di questa lotta. Ne ho bisogno disperatamente.

Ora ho bisogno di odiarti e ho bisogno che tu sopravviva a questo odio.
Ho bisogno che tu sopravviva al mio odiarti e al tuo odiare me.
Ho bisogno di questo conflitto anche se, nello stesso momento, pure io lo detesto.
Non importa nemmeno su cosa stiamo a litigare: sull’ora di rientro a casa, sui compiti, i panni sporchi, sulla mia stanza incasinata, sull’uscire, sul restare a casa, sull’andare via di casa, vivere in famiglia, fidanzato, fidanzata, sul non avere amici, o sull’avere cattivi amici. Non ha importanza.

Ho bisogno di litigare con te su queste cose e ho bisogno che tu lo faccia con me.

Ho disperatamente bisogno che tu mantenga l’altro capo della corda. Che lo mantenga forte mentre io strattono l’altro capo dalla mia parte, mentre cerco di trovare appigli e punti d’appoggio per vivere dentro a questo mondo nuovo in cui mi sento.
Prima sapevo chi ero io, chi eri tu, chi eravamo noi. Ma ora, non lo so più.
In questo momento sono alla ricerca dei miei confini e a volte riesco a trovarli solo quando tiro questa fune con te. Quando spingo tutto quello che conoscevo al suo limite.
In quel momento io sento di esistere e per un minuto riesco a respirare.
E lo so che ti manca quel dolcissimo bambino che ero.
Lo so, perché quel bambino manca anche a me e a volte questa nostalgia è quello che rende tutto così doloroso in questo momento.

Io ho bisogno di questa lotta e ho bisogno di vedere che i miei sentimenti, non importa quanto tremendi o esagerati siano, non distruggeranno né me e né te.
Ho bisogno che tu mi ami anche quando sono il peggiore, anche quando può sembrare che io non ti ami.
In questo momento ho bisogno che tu ami te stesso e me, che tu ci ami entrambi.
Lo so che fa schifo essere antipatici e avere l’etichetta di “cattivo ragazzo”.
Anche io provo la stessa cosa dentro, ma ho bisogno che tu la tolleri, e che ti faccia aiutare da altri adulti a farlo. Perché io non posso farlo in questo momento.
Se vuoi stare insieme ai tuoi amici adulti e fare un “gruppo di auto-mutuo-aiuto-per-sopravvivere-al-tuo-adolescente”, fa’ pure. O parlare di me alle mie spalle, non mi importa.
Solo ti chiedo di non rinunciare a me, di non rinunciare a questo conflitto. Io ne ho bisogno.

Questa battaglia con te mi insegnerà che la mia ombra non è più grande della mia luce.
Questo conflitto mi insegnerà che i sentimenti negativi non significano la fine di una relazione.
Questo è il conflitto che mi insegnerà come ascoltare me stesso, anche quando questo potrebbe deludere gli altri.

E questa battaglia particolare, finirà.
Come ogni tempesta, sarà spazzata via. E io dimenticherò, e tu dimenticherai.
E poi tornerà di nuovo. E allora io avrò bisogno che tu regga la corda ancora. Avrò bisogno di questo ancora per anni.

Lo so che non c’è nulla di intrinsecamente soddisfacente in questa situazione per te.
Lo so che probabilmente non ti ringrazierò mai per questo, o neanche te lo riconoscerò.
Anzi probabilmente ti criticherò per tutto questo duro lavoro. Sembrerà che tu non faccia niente, che non sia mai abbastanza per me.
Eppure, mi affido interamente alla tua capacità di restare in questa battaglia.
Non importa quanto io polemizzi, non importa quanto io mi lamenti. Non importa quanto io mi chiuda in silenzio.

Per favore, resta dall’altro capo della fune. Sappi che stai facendo il lavoro più importante che qualcuno possa mai fare per me in questo momento.

Con amore, il tuo teenager.

© 2015 Gretchen L Schmelzer PhD

Qui il testo originale: The letter your teenager can’t write you

Il fondamentale rapporto padre e figlia: cosa fare quando diventa difficile?

Se sei un papà, sai bene che quando tua figlia era piccola, ti adorava e non vedeva l’ora di trascorrere del tempo con te, per giocare insieme. Tu la guardavi ammirato e intenerito: amavi vederla crescere, anche se un po’ ti dispiaceva, perché volevi che restasse sempre “la tua piccolina”.

Poi gli anni sono volati e te la sei ritrovata cresciuta! Tu non sei più il suo eroe e a te lei preferisce le sue amiche. Non sei più neppure il suo “principe azzurro”, perché ormai ha messo gli occhi su qualche ragazzino imberbe.

Cosa fare, quindi, quando il tuo rapporto con lei diventa all’improvviso difficile?

Certamente ti risulta difficile amarla in modo incondizionato e cercare di starle vicino, visto che lei ti allontana e non ti ascolta più. Soffri e il rischio che vedi è quello di una frattura tra te e lei, soprattutto in seguito a scontri e incomprensioni.

Fortunatamente, il rapporto padre-figlia, seppur incrinato, può tornare sano e positivo.
Basta che tu, papà, faccia la prima mossa.

Ecco come:
1) Capirla, amarla e rispettarla.
Chiedile cosa puoi fare per lei e non aver timore di dirle: “Mi dispiace”, se serve.
Chiedi aiuto a tua moglie, affinché ti spieghi in privato che cosa non va, così che tu possa dimostrare a tua figlia l’amore incondizionato di cui ha bisogno.
Falle capire che sei lì per lei e lo sarai sempre.
Trattala sempre bene e mostrale che porti rispetto anche a sua madre (anche se magari siete separati o divorziati).
In questo modo imparerà quanto sia importante – da adulta – continuare ad essere trattata da un uomo con gentilezza, rispetto e attenzione.
2) Sii paziente!
Durante una discussione, più tu riuscirai a essere paziente, più lei si calmerà e capirà che si può discutere senza litigare.
3) Ascoltala senza dare consigli.
Quando lei ti espone un problema, non avere fretta di risolvere il suo problema. Magari lei ha bisogno solo di essere ascoltata per capire che cosa fare.
4) Lasciala essere se stessa.
Tua figlia è diversa da te? Fa scelte diverse da quelle che vorresti? Puoi cercare di riflettere insieme a lei, ma non puoi cambiare ciò che è. Parlate della sua vita in fondo, non della tua.
5) Falle vedere il positivo.
Quando da piccola dipinge e ti rendi conto che quello che fa non è un granché, ridici sopra insieme a lei. Non giudicarla. Trova qualcosa di positivo da farle notare. Questo tuo atteggiamento positivo la accompagnerà per tutta la vita.
6) Passa del tempo con lei.
Che sia un film o una pizza, ogni tanto portala fuori per condividere ciò che le piace fare. Sarà più disposta al dialogo e questo momento tutto vostro avvicinerà entrambi.
7) Mantieni le promesse.
E’ importante che lei abbia fiducia in te.
8) Rispetta la sua privacy.
Perciò non frugare fra le sue cose né analizzare tutti i contenuti delle sue chat. Dimostrale che rispetti i suoi limiti, soprattutto se è adolescente.
9) Cerca di conoscere il suo mondo.
Vuol dire che devi cercare di capire perché adora certi programmi TV o certi cantanti. Impara i nomi dei suoi amici, memorizza ciò che le piace. In questo modo la distanza tra te e lei si accorcerà.
10) Evita di criticarla apertamente.
Le adolescenti si “offendono” facilmente e mettono il muso a lungo. Perciò, se vedi che è ingrassata, al posto di dirglielo, proponile di venire a correre con te. Lei ha bisogno che tu sia protettivo e non negativo.
11) Dille che è bellissima.
Non è questione di dirle le bugie o trasformarla in una narcisista. Una figlia ha bisogno di sapere che il papà la considera bella, così che – se il mondo le dirà il contrario – lei non ci crederà (e quindi non ne soffrirà).
12) Insegnale cose “da maschio”.
Le cose da “femmina” già le imparerà dalla mamma, dalla nonna e dalle amiche. Perciò tu insegnale qualcosa da maschio, come montare una tenda in campeggio, cambiare l’olio alla macchina, arrampicare in montagna. La renderai più sicura di sé!
13) Rendila indipendente.
Non fare le cose al posto suo. Lascia che pian piano impari a fare di tutto.

Se hai la fortuna di avere una figlia, ricordati che il tuo ruolo e la tua figura sono fondamentali per la sua crescita. Molto di ciò che lei diventerà, sarà frutto del vostro rapporto: la sua autostima, la sua sicurezza, il modo in cui vedrà gli uomini, la sua immagine di sé…

E tutto questo inizia dalla nascita.

Sarà importante – per lei – sapere che ti prendi cura di lei in modo eccellente, come sa fare la mamma, ma anche che sei capace di giocare con lei sul tappeto.

E quando sarà adolescente e non avrà più tempo per stare con te, non dimenticare che apprezzerà sempre un momento da sola con te, in tranquillità, per raccontarti com’è andata la sua giornata.

Infine, non fare mai mancare a tua figlia i tuoi incoraggiamenti, affinché lei provi, sperimenti e colga le sfide della vita. Aiutala perciò a trovare gli strumenti per avere successo in ciò che sceglie di fare.

E… lascia che si senta libera di esprimere la sua personalità, anche se ciò significa – magari – vederla un po’ “maschiaccio”.