Scopri chi sei grazie agli amici che hai!

Noi adulti parliamo spesso ai ragazzi di quanto sia importante avere amici e ci preoccupiamo se non ne hanno tanti. Oppure ci lamentiamo con loro perché i ragazzi con cui escono, secondo noi, non “vanno bene”. E magari facciamo loro la predica affinché a scuola scelgano come compagno di banco “quello giusto”.

Ma cosa vuol dire?
Cosa intendiamo con “giusto”?
Proviamo a pensare a noi.
Sì, proprio a noi adulti.

Quando un amico è “giusto” per noi?

Ce lo siamo mai chiesti?
Io non credo…

Non esiste l’amico “standard”. Sì, insomma, quello con delle caratteristiche che verrebbero apprezzate da chiunque.

Magari abbiamo amici estremamente dinamici, che non stanno mai fermi e ci propongono sempre attività di movimento (bici, calcetto, corsa, trekking, nuoto) e a noi va bene così perché li consideriamo stimolanti. Magari abbiamo amici amanti del cinema, che vorrebbero facessimo abbonamenti e iscrizioni a circoli cinefili, oppure abbiamo amici appassionati di libri, che apprezziamo perché con loro possiamo riflettere e confrontarci su ciò che leggiamo.

Perciò, la prima cosa da fare è chiarirci:

“Chi è l’amico giusto per noi”?

Mettiamo quindi da parte il discorso dei figli, dei ragazzi, degli adolescenti e guardiamo a noi.

Di che cosa abbiamo bisogno per stare bene?

Prima o poi dobbiamo domandarcelo per capire se ci siamo circondati degli amici “giusti” per noi.

Faccio un esempio tratto dalla realtà:
una giovane donna che ho seguito con il Life Coaching, parlando delle sue relazioni amicali, mi ha detto: “Non so, non capisco che cosa mi stia succedendo: le amiche di sempre con cui ho condiviso vacanze, feste, divertimenti, non mi interessano più. E’ come se con loro mi annoiassi. Le trovo addirittura superficiali! E mi chiedo come sia possibile, visto che non è successo niente tra noi!”.

In realtà non è successo niente “tra loro”, ma “in lei” sì.
Il fatto stesso di aver iniziato un percorso di Life Coaching, di ricerca e scoperta delle sue potenzialità, l’ha messa su un binario diverso rispetto alle sue amiche focalizzate su aspetti della vita meno profondi.
Ed è così che succede per alcune persone: certi amici frequentati fino a quel momento perdono un po’ di smalto, sono meno interessanti e il desiderio di vederli si affievolisce.

Non significa che siano “sbagliati” e nemmeno che siamo “sbagliati” noi.
Semplicemente non rispondono più ai bisogni che sentiamo importanti da soddisfare per stare bene.

Torno all’esempio di prima:
se quella giovane donna ha perso l’interesse per le discoteche, gli aperitivi, lo shopping, perché si è resa conto che non le regalano una vera felicità e ha sentito il bisogno di mettersi in cammino per conoscersi davvero e migliorarsi come persona… è evidente che quelle amicizie non siano più adatte a lei, perché non sono più in sintonia con ciò che lei cerca.

Forse anche ad alcuni di noi – in questo periodo – sta accadendo lo stesso.
O magari è da tempo che siamo scontenti delle amicizie che abbiamo.
Magari non abbiamo più alcun dubbio dell’invidia di qualcuno nei nostri confronti.
Magari ci ha sfiorato il pensiero che l’amico tal dei tali sia un opportunista e i fatti sembrano confermarcelo.

Ed è dura accettare di aver voluto come amico/a qualcuno che non ha fatto né voluto il nostro bene; che ci ha manipolati senza che ce ne rendessimo conto.

Ma niente paura!
Se ora ci siamo svegliati, vuol dire due cose:

  • Che siamo consapevoli
  • Che probabilmente non erano “veri” amici.

Allora domandiamoci:

“Con chi voglio stare?”.

Prendere questa decisione è di sicuro una scelta importantissima, perché

le persone con cui trascorriamo il tempo tutti i giorni sono quelle che “ci plasmano”.

Se – ad esempio – vogliamo migliorarci, crescere come persone e professionisti, scegliamo di frequentare persone/amici che mirano a migliorare sempre se stessi e le proprie prestazioni.
Se vogliamo essere felici, cerchiamo di frequentare persone che lo sono o che tendono ad esserlo.
Se vogliamo essere determinati, cerchiamo amici che siano tenaci.

Aristotele, grande filosofo, diceva che l’amicizia si basa su tre elementi: l’utilità, il piacere, la virtù.

L’utilità è tipica sul lavoro, nella collaborazione tra colleghi, ma anche nello sport (come tra i compagni di squadra): ci si rispetta, ci si apprezza, ma è un tipo di amicizia che tende ad indebolirsi col tempo (come quando un collega va in pensione o cambia azienda).

L’amicizia basata sul “piacere” è molto diffusa: sono amici che amiamo frequentare perché con loro ci divertiamo tanto. Già! Ma dopo anni (come la giovane donna di cui vi parlavo) può capitare di non divertirsi più tanto ed ecco che il legame si spezza.

Se invece l’amicizia è fondata sulla “virtù”, allora stiamo certi che durerà a lungo, perché significa avere scelto amici che arricchiscono la nostra vita (e viceversa) e che ci sostengono, ci ispirano, persino ci sfidano.
Questi amici sono rari anche perché illuminano i nostri pensieri e – se perdiamo di vista il nostro traguardo – ci indicano dov’è.
Questi sono gli amici veri! Quelli con cui stare bene…

Capire di “quali amici” ci siamo circondati è anche un modo per capire meglio noi stessi e le nostre scelte.

E, perché no, essere in grado di distinguere la vera amicizia da quella falsa, interessata.

Riflettiamoci…

perché la vita è una e tutti noi abbiamo tempo ed energie limitate per viverla.

Ma quanto ci fanno bene le chat?

Che invenzione, Whatsapp!
Scrivi a chi vuoi, quando vuoi, nel Paese che vuoi e non paghi nulla!
Davvero fantastico!
Puoi creare gruppi e condividere parole, ma anche video, foto, articoli…
Insomma, quanto è meraviglioso il mondo delle chat!

Però mi viene qualche dubbio: magari se lo condivido con voi, scoprirò di non essere l’unica ad averlo.
Vediamo un po’…

Grazie a Whatsapp i messaggi ci arrivano a tutte le ore.
Fra l’altro, siamo sempre connessi, persino quando “per privacy” facciamo in modo che gli altri non vedano se abbiamo letto il loro messaggio oppure no.
Eh, già, perché loro non lo vedono, ma noi sappiamo bene che è arrivato e… come resistere alla tentazione di scoprire che cosa dice?
Così, che si tratti di lavoro o meno, il nostro cervello non stacca mai.

Avete fatto caso, ad esempio, che restare a lungo sul cellulare la sera, prima di andare a dormire, ci guasta la qualità del sonno?

Che dire poi degli sfoghi scaricati sui tasti del cellulare, senza nemmeno riflettere sul contenuto e sulle conseguenze?
Ho in mente il caso di una persona adulta che, in un momento di crisi totale, sentendosi sola, ha mandato un messaggio Whatsapp ad un amico, dipingendo una situazione drammatica in cui pareva voler porre fine alla propria vita. L’amico, che aveva letto tardi il messaggio, si era angosciato e affrettato a telefonarle… scoprendo che la persona in questione stava benissimo e che il messaggio “era stato solo uno sfogo del momento”.

Benedetto Whatsapp!

E che dire dei gruppi?
E’ così bello e comodo poter condividere con un clic i propri pensieri
Già, peccato che poi questi gruppi diventino il ricettacolo di pettegolezzi, cattiverie, prese in giro, alle spalle di chi non è membro del gruppo.
Oh, all’inizio può anche essere divertente leggere certe battute sul tizio che non sopportiamo: in fondo resta tutto nel gruppo!
Vero, ma se ci avete fatto caso, alimenta sentimenti negativi nei confronti di chi viene preso di mira (generalmente un collega, un superiore).

Sì, ok, ma è anche uno strumento utile Whatsapp!

Certamente, basti pensare a quando viene usato per la scuola
Avete presente le chat dei genitori della classe?
Quelle dove si comincia a parlare di compiti e si finisce per “sparlare” dell’insegnante, dei suoi metodi, del suo carattere (che nemmeno si conosce)?

Vabbè, ma mica sono tutte così le chat!

Mmmm… quelle dei genitori, mi risulta di sì.
Quantomeno sono zeppe di commenti poco costruttivi e quindi poco utili.

E cosa dire di chi usa Whatsapp per ritagliarsi una piccola evasione dalla quotidianità (dalla moglie o dal marito) e poi, però, la sera deve correre a cancellare la conversazione nel timore che il coniuge la legga?

Pensate ancora che sia fantastico Whatsapp?
Che porti valore e serenità nella vostra vita?

Be’, durante i viaggi è comodissimo: vogliamo mettere l’utilità di mandare messaggi da oltreoceano senza dover pagare uno sproposito?
E che dire delle foto che possiamo inviare, regalando gioia a chi è a casa e magari in pensiero per noi.

Whatsapp non è né fantastico né terribile.
E’ l’uso che ne facciamo a evidenziare la sua reale utilità o meno.

Siamo noi a dover scegliere “come” usarlo e quanto usarlo.
Tocca a noi capire che, usare una chat per demolire una persona, anche se “solo” all’interno del gruppo, non va bene: non ci fa bene!
Così come buttare il tempo a scrivere per un’ora, quando una telefonata sarebbe più appropriata e gradita.

Tocca a noi porre un limite alle comunicazioni professionali via chat quando siamo ormai a casa, perché il nostro cervello – per stare bene – ha bisogno di staccare, di pensare ad altro (e non alla chat dei colleghi).

Perciò, perché non ci prendiamo uno spicchio di tempo e riflettiamo sul motivo per cui “dipendiamo” così tanto da questa chat?

Magari scopriremo che – in fondo in fondo – soffriamo un po’ di solitudine, o che il rapporto con il nostro partner è un po’ vuoto, o ancora che siamo un po’ tirchi e non vogliamo telefonare, o ancora che siamo un po’ pettegoli… Scherzo!, ma non troppo.

Proviamo sul serio a chiederci: “In che modo – d’ora in poi – desidero usare Whatsapp?”.

Per cambiare in meglio la nostra vita, basta prendere una decisione e iniziare ad agire

Caro genitore, dipende da te come ti tratteranno i tuoi figli quando sarai anziano.

Non ho mai conosciuto i nonni, quelli che ti strapazzano di baci e ti abbracciano così forte da toglierti il fiato. Sono morti prima che nascessi, lasciando sole le nonne. Però ho avuto la fortuna di vivere i primi anni della mia vita insieme a una nonna speciale e a una bisnonna birichina.

E’ vero, la nonna era malata di quel male che non risparmia quasi nessuno, ed io avevo solo cinque anni “e mezzo” quando è mancata, ma i ricordi che mi ha lasciato sono ancora vivissimi e a volte mi sembra di sentire ancora la sua voce, con quella “erre” così diversa da tutti gli altri e il suo sguardo così dolce.

Ero (e continuo ad essere) innamorata di mia nonna, perché mi faceva sentire importante…

Bastava il suo sguardo, una sua occhiata complice e io sentivo tutto il suo amore.

Eh, i nonni! Quale dono prezioso del cielo!

In casa mia, lei e la bisnonna erano rispettate e coccolate: il valore della loro saggezza era inestimabile.

Oggi purtroppo non è più così. Almeno nella maggior parte dei casi.

Non vanno più di moda il rispetto, l’ammirazione e l’attenzione verso gli anziani.

Quante volte assisto a scene in cui i nipoti maltrattano a parole e a gesti i nonni!
Quante risposte maleducate, espresse con parolacce e tono di voce sprezzante!
Magari in presenza dei genitori, che nemmeno intervengono!

Eh, già! I nonni… Chi li rispetta più?!

Ho visto nipoti sbuffare in faccia ai nonni a cui erano affidati. E ho visto i nonni spiazzati, incapaci di reagire.
Un dono del cielo buttato via!
Che tristezza, se penso a quanto avrei voluto continuare a crescere con la mia nonna accanto…

Il fatto è che oggi ben pochi genitori insegnano “il rispetto per l’anziano” ai figli e così vanno perse tutte quelle buone azioni che invece – se compiute – fanno stare bene sia chi le riceve sia chi le fa.

E allora perché non rivederle insieme, qui, ora?

Caro genitore, sei al timone del tuo vascello! Sei il capitano della nave!

Dipende da te, da una tua scelta educativa, se domani – quando sarai anziano – tuo figlio ti tratterà con rispetto, stima e tuo nipote si rivolgerà a te ammirando la tua saggezza e il tuo valore.

Perciò non perdere tempo prezioso!

Che tuo figlio sia piccolo oppure già grande, “allenalo” al rispetto per chi è anziano.

Fagli comprendere il valore della vecchiaia e farai un regalo a te stesso, ma anche a tutta l’umanità.

Parti da qui e sii d’esempio:

1. Dare del “lei” agli anziani che non si conoscono.
Non è difficile per i bambini imparare a farlo. Certo, è faticoso per noi adulti dover insistere e correggerli, ma ti assicuro che a 8 anni ci riescono perfettamente. Io l’ho fatto e ha funzionato.

2. Offrire il proprio aiuto.
I nonni non chiedono nulla, ma non significa che non abbiano bisogno.
– Offrirsi di portare al posto loro dei pesi, come i sacchetti della spesa o le confezioni di acqua, può solo far piacere.
Prenderli sotto braccio, quando devono attraversare la strada o scendere le scale, è un gesto d’affetto, ma è anche un valido sostegno per loro che così si sentono più sicuri.

3. Cedere il posto a sedere.
Che sia in chiesa, in un ufficio, sul treno o sull’autobus, chiedere ad un anziano se vuole il nostro posto a sedere e alzarci per cederglielo, resta sempre un bel gesto che ci distingue dal resto della gente. In fondo, stare in piedi quando si è giovani, non è una gran fatica.

4. Rivolgersi ai nonni/anziani con educazione.
Significa:
– Capire che sono “grandi” e non bambini.
– Evitare toni aggressivi, arroganti, saccenti.
– Evitare le frasi e gli atteggiamenti di compatimento (se non capiscono qualcosa non vuol dire che sono “deficienti”).
– Non sbuffare loro in faccia né fare “spallucce”.
– Censurare frasi del tipo: “Ma sei sordo?!”, “Non hai capito niente!”, “Non sei capace!”, perché a nessuno di noi, tantomeno a dei bambini/nipoti, piacerebbe sentirsi giudicare a quel modo.

5. Rispettare il loro riposo.
Vuol dire non disturbarli se e quando hanno bisogno di fare un pisolino. Perciò non gridare, non svegliarli, evitare di fare giochi rumorosi vicino a loro.

6. Essere pazienti.
Lo so, a volte non è facile, ma dobbiamo far capire ai bambini che anche loro, quando saranno anziani, avranno bisogno di più tempo per ricordare le cose o comprenderne di nuove. Bastano un bel respiro e un sorriso. In fondo, quante volte dobbiamo ripetere le cose a loro, ai bambini?

7. Evitare di evidenziare i loro problemi legati all’età.
Far notare ad un nonno che cammina troppo lentamente, che non ci sente, che sta perdendo i capelli o dirgli che fa ridere con la dentiera o che va troppo spesso a fare pipì non lo aiuta a stare meglio. E’ già un disagio per lui… Perciò, perché infierire?

8. Far loro dei complimenti.
Basta davvero poco! Insegniamo ai figli a “valorizzare” i nonni, facendo loro notare le qualità che hanno: “Nonno, come sei bravo a bocce!”, “Nonna, sei bravissima a fare la torta di mele!”.
Ci sono anche dei complimenti mascherati da richieste d’aiuto, che fanno sentire i nonni utili e ancora in gamba: “Nonno, tu che sei bravo a costruire le cose, mi aiuti con il compito di tecnologia? Devo usare il traforo…”, “Nonna, tu che sei la migliore, mi insegneresti a cucinare la torta di mele?”.

9. Non fissare gli anziani con handicap.
Di solito è la prima cosa che si insegna, quella di non guardare fisso né additare chi ha un handicap. Con gli anziani, che diventano sensibili e permalosi, è bene ricordarselo. Perciò, se un anziano cammina col girello o zoppica o ha un equilibrio precario, insegniamo a non riderne, ma a comprenderne la difficoltà.

10. Salutare per primi.
E’ importante che i figli, grandi o piccoli, sappiano che è buona regola salutare per primi gli anziani. Un sorridente “Buongiorno”, quando si incontra un anziano, non ha mai fatto male a nessuno!

11. Far visita e telefonare.
I nonni che non vivono in casa con noi e nemmeno a così breve distanza da poterci andare a piedi, di solito soffrono un po’ di questa lontananza e spesso sono loro a muoversi o a telefonare.
Perché allora non sollecitare i bambini/adolescenti a chiamare i nonni? A informarsi se stanno bene o semplicemente a salutarli?
I nipoti adolescenti hanno cellulari costosissimi e messaggiano continuamente.
Perché allora non trovare un minuto per chiamare i nonni?

Ecco, sono certa che molti di voi potrebbero suggerirne altre di “buone pratiche” e quindi, perché non scriverle tra i commenti?

Il Mondo, la cosiddetta “società”, siamo noi.
E sta a “noi” renderla migliore.
Magari partendo proprio da qui.

Con i figli… “cogli l’attimo” e non te ne pentirai!

Due settimane fa ero sul lago: leggevo un bel libro, ammirando di tanto in tanto il paesaggio.
Proprio a pochi metri da me, ad un certo punto, vedo passare una vecchia barca di legno: un uomo anziano, con la pelle abbronzata e i capelli bianchi mossi dal vento, remava stando in piedi e facendo una certa fatica.

La barca a remi procedeva lentamente: a prua, un bambino di otto-nove anni stava seduto e rilassato, contemplando il lago.

“Vieni qui, ora! Ti insegno come fare” gli dice il vecchio.
“Ma nonno, sono troppo piccolo!” si affretta a rispondere il bambino.
“Non è vero, io ho imparato alla tua età” commenta tranquillo il nonno.
“Ma perché DEVO impararlo adesso?” chiede il nipote.
“Perché io non so quanto riuscirò ancora a remare e tu devi saperlo fare” spiega l’uomo.
“Sì, nonno, ma PROPRIO ADESSO?” si lamenta il ragazzino.
“Certo! Perché GIA’ mi sento un po’ stanco…” risponde il nonno con tono affettuoso.

Volete sapere com’è andata a finire?

Ho visto il bambino mettersi ai remi, guidato dalle mani e dalle indicazioni del nonno, e remare… Remare fino a far scivolare veloce sull’acqua la barchetta.

Volete sapere che espressione aveva sul viso il bambino?

Il suo sguardo, inizialmente concentrato e serio, ha poi mostrato tutta la soddisfazione e la gioia di esserci riuscito.

Non è una storiella inventata, questa.
E’ una storia vera, di quelle che chiunque può “vedere” se interessato e incuriosito dal comportamento umano.

Sapete perché ve l’ho raccontata?
Perché… CARPE DIEM, come direbbe il bravo professore del film “L’attimo fuggente”.

Dobbiamo saper cogliere le occasioni per insegnare qualcosa ai nostri figli, nipoti, perfino al partner.

Non si tratta di “mettersi in cattedra” e impartire una lezione. E chi la ascolterebbe?!

Nelle molteplici occasioni dobbiamo saper scegliere il momento migliore, quello che si presta meglio a darci una mano a trasmettere un valore, una tradizione, un ricordo, qualcosa di pratico (come remare).

Non facciamo l’errore di rimandare… “Tanto poi c’è tempo!”.
Il tempo non c’è!
Ecco perché “carpe diem”: cogli l’attimo!

Quel nonno è stato eccezionale a cogliere l’attimo.
Se avesse rimandato al giorno dopo, le condizioni non sarebbero state le stesse. E magari il nipote non l’avrebbe assecondato.
Ma le sue parole, il tono, il significato implicito del “non sarò qui vicino a te per sempre”… hanno colpito il nipote, che ha deciso di provare.

Quel nonno ha dato una lezione a tutti noi, perché in una frase ha racchiuso un valido insegnamento:

con i bambini e coi ragazzi bisogna spesso inventarsi una “buona scusa” per far sì di essere ascoltati.
Importante è anche dare un tempo, “ora” e non “la prossima volta”.

Dobbiamo cogliere tutta la bellezza di saper coinvolgere i figli, facendoli sentire utili, persino necessari in alcuni momenti.
E loro ci seguiranno, senza protestare, perché si sentiranno importanti, valorizzati.
Come ad esempio una bimba di 5 anni che ho visto accompagnare, tenendola per mano, la nonna che si reggeva col bastone…

Quanta tenerezza, quanta disponibilità e amore in quel gesto.

Ma i bambini, i ragazzi sono così: capaci di “dare” tantissimo e imparare tantissimo.

Sta a noi “cogliere l’attimo” e domandarci:

“Quanto è importante per me trasmettere a mio figlio ciò che so, ciò che amo, ciò in cui credo?”…

e il gioco è fatto!