Ma chi l’ha detto che dobbiamo essere per forza e sempre al top?

Oggi per essere considerati al top e godere del consenso generale dobbiamo avere una serie di caratteristiche: sempre in salute, sempre sorridenti, sempre in linea e prestanti, sempre pieni di amici, con stipendi da capogiro, con figli perfetti, con partner devoti…

Certo non possiamo cambiare quello che pensa la massa, ma possiamo domandarci:

“Essere così, mi rende felice?”

La realtà è che, se per inseguire questo “standard”, ci stressiamo così tanto da perdere il sorriso… Beh, forse stiamo rincorrendo qualcosa che non ci rappresenta e questo significa che stiamo perdendo noi stessi e i nostri veri bisogni.

Chi vorrebbe mai snaturarsi?
Eppure ci sforziamo ogni giorno per essere come gli altri ci vogliono.
O per lo meno, come “crediamo” di dover essere.

Certo, a chi piace essere malato, grasso, solo e con uno stipendio da fame?
A nessuno. Ovvio.
Ma ragionare per estremi non ci aiuta.

Chi l’ha detto che bisogna essere al top, altrimenti si è sotto zero?

Magari non siamo al top, ma se ci analizziamo possiamo renderci conto di quante qualità abbiamo, quanti obiettivi abbiamo già spuntato e quanti aspetti positivi caratterizzano la nostra vita.

Ma per fare questo dobbiamo imparare a rilassarci
Smetterla di rincorrere ciò che non siamo e che non saremo mai.

E guardate che io credo profondamente nella spinta e nella capacità umana di migliorare se stessi.
Perciò non fraintendetemi: il mio non è un invito a impigrirci, a trovare scuse per non impegnarci né agire.

Il fatto è che dobbiamo sentirci liberi di scegliere in che cosa migliorare.
Non devono imporcelo gli altri.

Anche perché la motivazione deve venire da “dentro” per spingerci davvero e per lungo tempo.
Altrimenti iniziamo qualcosa e poi la abbandoniamo…
Col risultato di sentire di aver fallito.

Pensate allora a dove va a finire la nostra autostima!

Diventa un circolo vizioso: più inseguo obiettivi che non “sento” (ma che mi impongono gli altri), meno motivazione ho e più rischio di fallire.
Se fallisco, mi convinco di non essere all’altezza e la mia autostima crollerà.
E con un’autostima così bassa non intraprenderò mai nulla di nuovo e quindi non sarò mai all’altezza di quegli standard che mi impone la società…

Quindi, se vogliamo essere felici, dobbiamo stabilire i “nostri” standard e definire gli obiettivi importanti per noi.

Magari non saremo al top agli occhi degli altri…
Ma il successo – oggi –  è vivere facendo scelte (magari impopolari) che ci regalino serenità e pace.

Perciò smettiamola di competere quotidianamente con modelli che non ci appartengono!
La nostra vita ci ringrazierà.

Se hai superato i 40 e vai verso i 50… sfodera un bel sorriso: è tempo di pensare a te.

Entrare negli “anta” è un momento che non si dimentica e che si può vivere in modi completamente opposti:
c’è chi è felice di poter dire finalmente “Oh, guarda che io non sono mica nata ieri!” e chi invece va in crisi perché “gli anta” la fanno sentire vecchia.

Comunque tu l’abbia vissuto, una cosa è certa: si fanno dei bilanci, si guarda a che cosa si è lasciato indietro e a come si è cambiate.

A volte il bilancio è positivo, perché si è raggiunta una tale sicurezza di sé da sentirsi pronte a cogliere nuove sfide.
Altre volte si entra in crisi, rendendosi conto di aver messo in stand by la propria vita, di aver rinunciato a una serie di esperienze che ora sembrano irrecuperabili.

Non è quindi importante il numero dei tuoi anni sulla carta d’identità, perché ci sono donne che, superati i 40, si sentono già vecchie e altre invece che si abbattono compiendo i 50.

Sophia Tucker ha detto “La vita comincia a quarant’anni”.
Ma quante direbbero con sincerità la stessa frase?

In effetti i cambiamenti ci sono entrando negli “anta” e procedendo verso i 50.

  • Cambia il fisico
  • Cala l’energia e si allungano i tempi per il recupero
  • Si ha meno pazienza
  • Ci si sente ancora giovani “dentro”, ma fuori non lo si è più
  • Si è “signore” e non più ragazze…

Però ci sono anche degli aspetti positivi e tra questi – fondamentale – una maggiore sicurezza di sé per l’esperienza di vita accumulata. Fantastico, no?

Sì, belle parole, ma se hai dei rimpianti o qualche desiderio rimasto indietro?

E’ certamente il momento di realizzarlo!
Buttati e segui il tuo istinto!

Eh, ma se ormai non è più il momento?

E chi l’ha detto?
Sai che Cristoforo Colombo aveva 41 anni quando ha scoperto l’America?
E Leonardo da Vinci ne aveva 51 quando ha dipinto la Gioconda?

Jim Carrey ha detto:
“… devi separare te stesso da quello che gli altri si aspettano da te e fare ciò che ami. Perché se hai 50 anni e non fai quello che ami, che senso ha?”.

E allora, tu a cosa vuoi dedicarti?
Qualunque cosa vuoi fare, falla.

Non sai da che parte iniziare?
Scrivi una lista di ciò che ti piacerebbe fare.

Poi metti in ordine di gradimento le voci in elenco.
Verifica che il risultato dipenda da te, esclusivamente da te.
Ora puoi partire dal numero uno, il primo della tua lista.
Su un foglio scrivi tutto ciò che – secondo te – devi fare per raggiungere il tuo obiettivo.

Prepara i vari step e…
Inizia a contare: 5 – 4 – 3 – 2 – 1 – 0!  E via con l’azione!

Comincia a inseguire il tuo desiderio, il tuo sogno, il tuo obiettivo!
Non fai male a nessuno, lo sai.
Alleggerisci la tua vita.
Smetti di sovraccaricarla!

Regala i libri che sai che non leggerai mai.
Elimina i vestiti che non vuoi più indossare.
Allontana da te anche i pensieri negativi, i ricordi che fanno male, le persone sgradevoli.

Ora è il momento di pensare a te!

Ti senti “vuota” dentro? Forse sei troppo piena.

Ci sono donne che, vedendo finire una relazione, vivono un senso di “vuoto” e stanno male perché non sanno come riempirlo.

E’ il caso di Sofia che, con aria sconsolata, mi racconta della sua storia con un uomo che in tre anni l’ha distrutta, facendole perdere autostima e fiducia in se stessa.
Un compagno che le ha tarpato le ali ogni volta che lei ha tentato di volare per raggiungere un obiettivo.
“Ma sei sicura di voler tentare? Perché guarda che se va male, come spesso accade, ci rimani malissimo” le ripeteva, oppure le minava quelle poche certezze che le erano rimaste con frasi del tipo: “Ma pensi davvero di farcela? Pensi di esserne capace?”.

E a furia di mettere in dubbio le sue capacità con la scusa del “Lo dico per te, perché tu non soffra se fallisci”, l’ha fatta sentire inadeguata in tutto.

A quel punto l’ha lasciata con il colpo di grazia: “Sei una fallita, senza spina dorsale! Ti fai mettere sotto i piedi senza affrontare la situazione! Non hai carattere!”.

E lei è crollata.
Si è chiusa in se stessa e non ha accettato nessun tipo di aiuto per un anno.

Poi… mi ha contattata.

Quando l’ho incontrata non aveva alcuna certezza. Nemmeno sull’obiettivo da voler raggiungere.
Continuava a ripetere che non si sentiva più la ragazza di un tempo. Quella sì era forte e determinata. Già!
Mica come lei, che ha messo in stand by la sua vita per amare un uomo che l’ha solo distrutta.
Aggiungiamo anche una buona dose di sensi di colpa per averglielo permesso e il quadro è completo.

Magari è capitato anche a te di trovarti nella situazione di Sofia: di abbandonare il ruolo di “protagonista” nella tua vita per diventare “una comparsa” nel film di un altro.

Esserti quindi svuotata dei tuoi sogni e desideri, senza nemmeno rendertene conto.

Esserti snaturata e aver perso te stessa in nome di un amore che era solo a senso unico.

Se però, come Sofia, sei diventata consapevole di vivere da spettatrice e desideri tornare protagonista, ma non sai come fare, perché senti un gran vuoto dentro che non vuoi colmare con un altro uomo…

Prova ad immaginare un grande sacco “vuoto”: che cosa vuoi metterci dentro? Con cosa desideri riempirlo?

Se la tua prima risposta è “non lo so”, insisti: pensa, guarda bene dentro.

Spesso accade che – come per Sofia – il “vuoto” in realtà è così pieno di paure da impedirti di vedere quello che c’è e che desideri raggiungere per stare bene.

Fai luce in quel “sacco” e scoprirai tanti nuovi obiettivi da raggiungere: amicizie da riallacciare, capacità da riscoprire, interessi da coltivare.

E se capisci che da sola ti riesce difficile… contattami.
Al traguardo ti accompagnerò io.

Smetti di rimandare e affronta il tuo problema in 5 secondi.

Sapete qual è il peggior nemico quando abbiamo un problema che ci tormenta?
La procrastinazione.

Oh, la conosco bene, perché è venuta a farmi visita molte volte.
Più il mio problema mi sembrava complicato da risolvere e più tendevo a rimandarlo.
Però poi non è che questo atteggiamento mi facesse sentire bene. Tutt’altro!
Il problema rimaneva lì e ogni giorno saltava fuori, soprattutto al momento di coricarmi, quando avevo terminato di occuparmi del lavoro, della casa, della famiglia.

Succede così a molte persone che mi parlano dei loro problemi relazionali col partner o coi figli.

Problemi che implicano affrontare un percorso di crescita personale, mettendosi in discussione e diventando consapevoli del proprio modo di agire e di pensare.

Be’, certamente non è una cosa per tutti: bisogna avere determinazione e un pizzico di coraggio per decidere di porre fine al proprio disagio e lasciarsi guidare dal desiderio di “svoltare”.

Chi dice “Basta” è già a buon punto, ma non è sufficiente e parlo per esperienza.

Talvolta mi capita di ricevere un messaggio in cui la persona in difficoltà mi chiede un primo appuntamento telefonico per espormi il suo problema, ma poi… rimanda, rimanda all’infinito.
E così il suo problema resta lì, dove è sorto e dove è destinato soltanto ad ingigantirsi, togliendole sempre più serenità e minando poco alla volta la sua autostima.

E come mai?

I motivi per cui certe persone continuano a rimandare la soluzione del loro problema sono molti e diversi:
paura di affrontarlo,
illusione che si risolva da solo,
timore di dover affrontare un percorso e scoprirsi magari diversi da ciò che si pensa…
ma anche il non voler pensare a come ritagliarsi uno spicchio di tempo da dedicare a sé e al percorso da fare.

E allora, pur dicendo “Me ne devo occupare, se voglio stare meglio”,
trovano mille giustificazioni:
“Adesso sono troppo presa”,
“Lo farò la prossima settimana”,
“Ci penserò domani!”,
“Oggi va un po’ meglio… Magari era solo un momento di negatività”.

Tutte scuse per non affrontare e risolvere una volta per tutte il problema.

Se anche a voi capita di rimandare, usando queste frasi…
ecco come agire subito, senza perdere tempo prezioso, per ricominciare a sorridere e a sentirvi nuovamente sereni e pieni di energia positiva.

Immaginate di avermi mandato un messaggio e di aver fissato un appuntamento telefonico con me.
La sera prima dell’appuntamento,
scrivete su un foglio il numero di telefono da comporre e mettetelo in bella vista.
L’indomani avrete 5 SECONDI per agire.

Perciò prendete il numero, il telefono e contate ad alta voce “5 – 4 – 3 – 2 – 1” e chiamate.

I “5 secondi” con il conto alla rovescia e poi l’azione sono efficaci sempre, qualsiasi cosa vogliate fare.
Servono a vincere la procrastinazione e a farvi agire subito.
Ricordatevi, però, di avere pronto tutto ciò che vi occorre per poter “agire” dopo soli 5 secondi!
Altrimenti… vincerà la procrastinazione.

La relazione che vivi ti rende infelice? Sposta il focus!

Oggi parliamo di relazioni sentimentali che NON ci rendono felici.

Ne parliamo al femminile, perché sono parecchie le donne – giovani e meno giovani – che si lamentano del partner e gli attribuiscono la colpa della loro infelicità.

Quando mi raccontano la loro storia, noto subito che parlano soltanto del partner:

“lui non fa questo, lui dice questo, se mi amasse direbbe o farebbe”…

E spesso vorrebbero che io dicessi loro che cosa prova o pensa il partner sulla base dei comportamenti che mi segnalano.

Vogliono entrare nella mente del partner e capire come ragiona.

Ma le cose non funzionano così.

Queste donne si sfiniscono di domande a cui non ci sono risposte e lo fanno nel tentativo (inconscio o meno) di avere il controllo su ciò che sta succedendo o che potrebbe accadere.

Praticamente, spostano tutta la loro attenzione da se stesse all’altro.
E fanno di tutto per far andar bene le cose, come se il risultato della relazione dipendesse solo da loro.

Si sforzano di essere accondiscendenti, in modo da non scontrarsi e soddisfare le esigenze del partner. Cercano di non deluderlo e di aderire sempre più all’idea che il partner ha di compagna ideale e di rapporto di coppia ideale.

Vi siete riconosciute in queste donne?

Se così fosse, proviamo ad approfondire il perché di questi comportamenti:

  • Magari siete convinte che per essere amate dovete essere “come il partner vi vuole” (le “brave” mogli fanno così!).
  • Magari sentite la necessità di avere il controllo su ciò che accade.
  • Magari a livello inconscio volete che il partner si comporti in un certo modo (cioè come voi desiderate) e, se ciò non succede, tentate di “cambiarlo” per trasformarlo nell’uomo giusto per voi.

Vi ritrovate in queste convinzioni?

E allora sappiate che portano a commettere gravi errori:

  • Focalizzarvi solo sul partner, vi allontana da voi stesse, dai vostri bisogni e desideri. Vi impedisce inoltre di ascoltare e comprendere le vostre emozioni, così utili per capire quale strada seguire. Nel tempo, il rischio che correte è quello di sentirvi sempre più inadeguate, con il conseguente calo della vostra autostima.

  • Vi convincete di poter far funzionare la coppia “da sole” e questo vi porta a essere schiacciate da questa responsabilità. E se doveste “fallire” nel vostro intento, vi carichereste anche della delusione, del dolore e della convinzione di “non essere state capaci” di far funzionare il rapporto.
  • Continuate a stare male, ma rimandate la chiusura del rapporto che non funziona, perché sperate che lui diventi come voi desiderate.

Come fare per uscirne?

Certo non è facile…

Prevede che voi cambiate il vostro modo di “vedere”.

Vediamo come:

1. D’ora in poi, quando vi rendete conto che i vostri pensieri pongono l’attenzione solo sul partner (es. perché dice questo?, perché si comporta così?), sforzatevi di concentrarvi su voi stesse e

domandatevi: “come mi sento io? Cosa desidero io? Questa situazione mi va bene oppure no? E come mai non mi piace?”…

2. Quando vi accorgete di fare i salti mortali per tenere in piedi il rapporto,

ripetetevi che “in una relazione si è sempre in due”, perciò la responsabilità è al 50%.

E se il partner non fa nulla per migliorare le cose, significa che è poco motivato a continuare la vostra relazione. Davvero volete investire su una relazione così sbilanciata? Pensate ancora che avrà un futuro?

3. Se da tempo pensate che è ora di chiudere la relazione, ma continuate a rimandare, perché sperate che lui cambi,

ripetetevi che le persone sono esattamente come le vediamo ora, nel presente.

Se aspettate che lui cambi… state solo perdendo del tempo prezioso.

In conclusione, lavorate su voi stesse e investite il tempo per ricostruire la vostra autonomia, che sta alla base della vostra serenità.

Grazie alla mia Coach ho spiccato il volo! (Testimonianza)

Ciao a tutti,
ho 17 anni, sono uno studente e uno sportivo.

Ho iniziato il percorso con la Coach Gazzola per un problema legato alla scuola.

L’anno scorso, infatti, verso la fine di aprile non riuscivo  a recuperare le materie insufficienti, nonostante passassi molto tempo sui libri.

Così, in un momento di sconforto e di frustrazione, chiesi a mia mamma un aiuto.
Lei mi parlò di Laura, che aveva conosciuto in passato e alla quale lei stessa si era rivolta, ottenendo ottimi risultati.
Accettai, anche se ero un po’ scettico all’inizio, inconsapevole di un percorso che poi sarebbe durato circa un anno.

Il nostro percorso è iniziato da una serie di problemi riguardanti la scuola, per poi con il tempo toccarne altri: lo sport che pratico, la mia persona, le relazioni con gli altri.

Per chi non lo sapesse, le sessioni si basano sul dialogo e sono molto piacevoli, perché tutto è molto rilassante: in alcuni momenti anche divertente, grazie all’umorismo e ai metodi molto originali che utilizza Laura per rendere leggeri i momenti difficili.

Grazie a lei sono riuscito a imparare nuovi metodi per la gestione del tempo sia durante le verifiche e sia durante lo studio a casa;
ho migliorato il rendimento scolastico e sportivo seguendo delle tecniche di concentrazione;
grazie ad altre tecniche di respirazione ho imparato a gestire meglio le ansie e le preoccupazioni e infine, lavorando molto su me stesso, sono riuscito a prendere coscienza dei miei punti di debolezza e di forza, facendo fruttare quest’ultimi.

Solo ora comprendo l’enorme responsabilità e lavoro che una Coach come Laura deve sostenere, ma capisco anche la sua gioia e le sue soddisfazioni nel vedermi migliorare.

Non so come abbia fatto, ma le sono bastate poche sessioni per capire che tipo di persona ero e capire come lavorare con me.

Secondo me, Laura è davvero portata per questo lavoro, avendo tantissima pazienza, professionalità, positività e grinta, che mi facevano tornare a casa carico come una molla!

Per concludere,

mi sento di consigliare ai ragazzi della mia età di intraprendere un percorso di Coaching, perché permette di analizzarci, cosa che noi adolescenti non siamo abituati a fare, e di imparare a metterci in gioco, osando sempre di più fino a raggiungere il nostro obiettivo.

Riccardo

Lui delude le tue aspettative? Cambia tu!

Quante volte ci è capitato di essere arrabbiate col nostro partner, perché – secondo noi – non fa il suo dovere di padre o di marito?

Condividere la vita con un altro essere umano non è facile e spesso capita di sentirci frustrate perché “lui non ci arriva” a capire che deve contribuire, facendo la sua parte nell’accudimento dei figli, nei lavori domestici, nel fare la spesa…

Per carità, ci sono uomini che lo fanno, ma sono così pochi che – in quanto Life Coach – mi è più frequente ascoltare le lamentele di donne che sono allo stremo delle forze, piuttosto che lodi di mogli felici.

Mi viene in mente una cliente che lavora ed è mamma di due bimbi piccoli che non frequentano ancora la scuola primaria. Il marito lavora più ore di lei e quando torna a casa è stanco. Tuttavia si ritaglia degli spazi per rilassarsi o distrarsi con gli amici, mentre lei non stacca mai, passando dal suo lavoro a quello di mamma, di domestica, di cuoca e tanto altro. Lui pare non rendersi conto dei suoi sforzi e lei – quando è molto stanca – si accorge che le sue aspettative vengono costantemente deluse.

“Possibile che lui non voglia capire che il mio badare ai figli è un lavoro molto stressante? Perché non si rende conto che deve darmi una mano?!” dice seccata.

E ha ragione, perché i figli sono di entrambi e non solo delle madri.

Il fatto è, però, che non possiamo vivere in attesa che “lui” cambi: che si accorga delle nostre fatiche e decida improvvisamente di contribuire al 50%, come dovrebbe essere.

Sì, possiamo metterci a tavolino e parlargli, in modo da stabilire chi fa cosa…
Ma se lui è convinto di fare già tanto, solo perché lavora qualche ora più di noi… allora siamo noi a dover cambiare.

“Eh, già! Ma perché devo cambiare io, se il problema è lui?!” mi dice questa giovane donna.

E’ semplice, non ci sono grandi alternative: “Vuoi tenerlo questo marito o vuoi liberartene?” le chiedo volutamente in modo provocatorio.

E voi?

Se la risposta è “Ma stiamo scherzando?! Certo che voglio restare con lui!”, allora non c’è altro da fare che “cambiare”.

Siamo noi a dover definire ciò di cui abbiamo bisogno e a capire che possiamo soddisfare i nostri bisogni senza più aspettarci nulla (o quasi) dall’altro.
Il nostro scopo non dev’essere il lamento, ma l’azione.

Cosa possiamo fare concretamente per portare “solo” il 50 % del peso?

Farci aiutare da una babysitter? Trovare una collaboratrice per i lavori domestici? Cercare una persona che stiri al posto nostro?

Muoviamoci! Non perdiamo tempo ad arrabbiarci perché “lui” non fa il suo dovere!

Cambiamo approccio!

Proviamo a domandarci: “Se io fossi sola a crescere mio figlio, come mi organizzerei?”.

Lo so che la risposta che avete in mente è: “Ma io non sono da sola!” e avete ragione.

Tuttavia, continuando con questa convinzione che sia lui a dover cambiare, non arriveremo da nessuna parte.
Le convinzioni sono radicate e intestardirci di “voler cambiare l’altro” porta solo a frustrazione e conflitti.

Guardiamo avanti, perciò!

Cambiamo il nostro approccio al problema e la soluzione arriverà!

Impegno e allenamento non contano solo nei tuffi!

Ieri stavo guardando in Tv le gare di tuffi ai Campionati mondiali di nuoto: adolescenti che si tuffavano in coppia da trampolini altissimi, con un controllo di sé che aveva dell’incredibile e una motivazione, una grinta degne di veri campioni.
Li guardavo ammirata…
Ce n’era uno di soli tredici anni…
Praticamente, uno studente della (ex) scuola media…

Pensate che alcuni sono stati penalizzati semplicemente per aver tenuto leggermente piegata la punta di un piede!

Pazzesco!

Al termine della prestazione, il loro allenatore li ha guardati con un’aria seria, severa e il volto corrucciato: nella prova successiva hanno dato l’anima!

Queste sono gare dove i ragazzi sanno che – per ottenere il massimo punteggio – devono essere “perfetti”!
E nessuno contesta questa rigidità nella valutazione da parte dei giudici: è normale!

Mi è venuto spontaneo tracciare un parallelo con la scuola
ed è una riflessione che voglio condividere con voi.

Provate a pensarci: quando a scuola un ragazzo fa un errore pari a “quella punta del piede leggermente piegata”, si aspetta di ricevere comunque un bel “10”!
E se quel voto non arriva, si lamenta – insieme ai genitori – per l’eccessiva severità e rigidità del docente nella valutazione.

E cosa accade?
Accade che al docente viene suggerito di valutare in base ad una percentuale
In questo modo lo studente arriva a meritare un “10” facendo ben più di un errore.

… ma nel mondo dello sport ad alto livello questo sarebbe ed è inconcepibile.

E come mai?

Forse che la “prestazione cognitiva” abbia meno valore rispetto a quella sportiva?

Perché – come atleta – posso accettare di dover raggiungere “la perfezione” e – come studente – “quella perfezione” mi appare assurda?

C’è qualcosa che non va, vi pare?

Cambiando poi canale e capitando durante la trasmissione del Telegiornale, ho sentito il giornalista che sottolineava con un certo sconcerto che

in Italia i giovani laureati sono solo il 28 %.

Vi starete domandando: “Ma che cosa c’entra con il discorso di prima sui tuffi e lo sport?”.
C’entra!

Perché nello sport i ragazzi danno per scontato di dover arrivare il più vicino possibile alla perfezione per avere ottimi risultati.
Nella scuola è l’esatto contrario, ovvero:

“Perché devo arrivare a dare il massimo?”.

Ecco quindi ciò su cui dobbiamo riflettere:

molti, moltissimi dei nostri ragazzi arrivano alla scuola superiore che “non sono allenati” a studiare, a stare fermi e concentrati sui libri un paio d’ore dopo le lezioni scolastiche.
E così, di fronte ai primi votacci, hanno delle crisi di autostima e perdono di motivazione: iniziano a mettere in dubbio sia la scelta della scuola sia le loro capacità.

In realtà è come se si presentassero sul trampolino senza essersi allenati!
E’ così semplice da capire.

Pertanto: se volete che i vostri figli siano tra quelli che si laureano, in quell’esclusivo 28 %, allora…

spronateli ad “allenarsi” ogni giorno, a tenere duro, a impegnarsi, a non mollare, ad accettare un brutto voto come stimolo a fare meglio.

Solo così diventeranno dei “campioni”!

Scarsa autostima: ecco i segnali e i rimedi.

Molti ragazzi e adulti mi confessano di avere poca autostima, di voler cambiare, ma di non sapere come fare.

Perciò partiamo da una domanda: l’AUTOSTIMA che cos’è?

E’ il valore che attribuiamo a noi stessi, come ci percepiamo, quanto ci amiamo.

Già, perché volersi bene è fondamentale e significa non criticarsi, non rimproverarsi severamente per qualsiasi cosa, non dire che siamo stupidi o incapaci o brutti.

Eppure quante volte mi capita di incontrare adolescenti che “si giudicano male” e sono severi con se stessi più di quanto non lo siano con loro i genitori, gli insegnanti o gli amici.

A volte la bassa autostima viene scambiata per timidezza, ma non è la stessa cosa.

Ci sono dei segnali ai quali stare attenti.

Se, ad esempio, camminiamo con la testa bassa, se non guardiamo mai dritto negli occhi le persone, se ci scusiamo più del necessario, se parliamo negativamente di noi (ma anche degli altri) vuol dire che ci stimiamo poco.

E quando cerchiamo di assomigliare agli altri, perché crediamo che siano meglio di noi, tradiamo noi stessi e così la nostra autostima si fa sentire.

Come?

Avete presente quella vocina che dentro di noi ci dice che dobbiamo avere il coraggio di essere noi stessi, di dire ciò che pensiamo senza timore?

Ecco, è lei.

D’altra parte, se vogliamo essere felici, dobbiamo vivere una vita autentica, tutta nostra e non ricalcare la vita degli altri.

Significa dare valore ai nostri pensieri e affrontare tutto e tutti a testa alta.

E come allenarsi a questo?

Innanzitutto non accettando di essere quello che gli altri dicono di noi.

Perciò, se ci diranno: “Non ce la farai mai ad essere bravo in questa cosa! Non sei portato!” e noi pensiamo il contrario, rispondiamo con forza: “Invece sì! E lo dimostrerò!”.

Da lì partirà la nostra sfida.

Certo, dovremo chiarire con noi stessi a quale risultato vorremo arrivare e poi metterci a inseguirlo con impegno, costanza e serietà.

Ma quando l’avremo raggiunto, la nostra autostima sarà cresciuta e saremo pronti per un’altra sfida.

Elimina le “etichette” e l’ansia scomparirà!

Voi quante “etichette” avete?

Già, perché tutti finiamo per essere le “etichette” che la gente ci ha appiccicato addosso o che noi stessi ci siamo appioppati da soli.

La verità, però, è che non lo siamo veramente.

Lasciarci catturare da queste etichette significa sentirne tutto il peso.

Dov’è la libertà?

Oh, certo, ci fa stare bene quando ci dicono che siamo “bravi” in qualcosa.
E’ gratificante, non c’è dubbio.
Solo che quando iniziano a dircelo e noi ci crediamo, facciamo in modo di essere sempre all’altezza di quella aspettativa (che magari non è neanche la nostra).

Il “come sei bravo” diventa un’etichetta che ci richiederà sempre più impegno, sempre più sforzo.
E l’ansia di “non essere all’altezza” inizierà a comparire.

Pensate a scuola, quando uno studente ottiene dei voti eccellenti e tutti i compagni lo etichettano come “genio”.

Pensate con quale ansia affronterà le verifiche e le interrogazioni.

Pensate a quante volte i compagni gli chiederanno: “Quanto hai preso?”.
E pensate a quale peso sul cuore avrà quando, sbagliando una verifica, dovrà rispondere ai compagni curiosi: “Insufficiente”.

Il ragionamento vale anche al contrario, ovvero quando ci dicono che siamo negati per qualcosa.

Eccola lì un’altra bella etichetta!

E se lasciamo che ce la mettano addosso, non combineremo mai nulla.

Cosa dobbiamo fare allora?

Mandare in frantumi l’etichetta, qualunque essa sia!
Significa che non dobbiamo più identificarci con quella.

Basta “sono bravo” e “sono negato”.

In un dato momento qualcuno ci ha visti “bravi” o “vere frane”, e va bene.

Ma noi siamo molto altro e cambiamo continuamente.
Questo è il bello!

Perciò cerchiamo di essere consapevoli di come siamo in ogni momento, tenendo conto che ogni momento è diverso e noi pure.

Viviamo istante per istante, senza la pretesa di rispondere sempre al ruolo o all’etichetta che ci hanno messo.

Solo così elimineremo le nostre ansie.

Solo così torneremo a sorridere.