Lui delude le tue aspettative? Cambia tu!

Quante volte ci è capitato di essere arrabbiate col nostro partner, perché – secondo noi – non fa il suo dovere di padre o di marito?

Condividere la vita con un altro essere umano non è facile e spesso capita di sentirci frustrate perché “lui non ci arriva” a capire che deve contribuire, facendo la sua parte nell’accudimento dei figli, nei lavori domestici, nel fare la spesa…

Per carità, ci sono uomini che lo fanno, ma sono così pochi che – in quanto Life Coach – mi è più frequente ascoltare le lamentele di donne che sono allo stremo delle forze, piuttosto che lodi di mogli felici.

Mi viene in mente una cliente che lavora ed è mamma di due bimbi piccoli che non frequentano ancora la scuola primaria. Il marito lavora più ore di lei e quando torna a casa è stanco. Tuttavia si ritaglia degli spazi per rilassarsi o distrarsi con gli amici, mentre lei non stacca mai, passando dal suo lavoro a quello di mamma, di domestica, di cuoca e tanto altro. Lui pare non rendersi conto dei suoi sforzi e lei – quando è molto stanca – si accorge che le sue aspettative vengono costantemente deluse.

“Possibile che lui non voglia capire che il mio badare ai figli è un lavoro molto stressante? Perché non si rende conto che deve darmi una mano?!” dice seccata.

E ha ragione, perché i figli sono di entrambi e non solo delle madri.

Il fatto è, però, che non possiamo vivere in attesa che “lui” cambi: che si accorga delle nostre fatiche e decida improvvisamente di contribuire al 50%, come dovrebbe essere.

Sì, possiamo metterci a tavolino e parlargli, in modo da stabilire chi fa cosa…
Ma se lui è convinto di fare già tanto, solo perché lavora qualche ora più di noi… allora siamo noi a dover cambiare.

“Eh, già! Ma perché devo cambiare io, se il problema è lui?!” mi dice questa giovane donna.

E’ semplice, non ci sono grandi alternative: “Vuoi tenerlo questo marito o vuoi liberartene?” le chiedo volutamente in modo provocatorio.

E voi?

Se la risposta è “Ma stiamo scherzando?! Certo che voglio restare con lui!”, allora non c’è altro da fare che “cambiare”.

Siamo noi a dover definire ciò di cui abbiamo bisogno e a capire che possiamo soddisfare i nostri bisogni senza più aspettarci nulla (o quasi) dall’altro.
Il nostro scopo non dev’essere il lamento, ma l’azione.

Cosa possiamo fare concretamente per portare “solo” il 50 % del peso?

Farci aiutare da una babysitter? Trovare una collaboratrice per i lavori domestici? Cercare una persona che stiri al posto nostro?

Muoviamoci! Non perdiamo tempo ad arrabbiarci perché “lui” non fa il suo dovere!

Cambiamo approccio!

Proviamo a domandarci: “Se io fossi sola a crescere mio figlio, come mi organizzerei?”.

Lo so che la risposta che avete in mente è: “Ma io non sono da sola!” e avete ragione.

Tuttavia, continuando con questa convinzione che sia lui a dover cambiare, non arriveremo da nessuna parte.
Le convinzioni sono radicate e intestardirci di “voler cambiare l’altro” porta solo a frustrazione e conflitti.

Guardiamo avanti, perciò!

Cambiamo il nostro approccio al problema e la soluzione arriverà!

“Le voglio bene, ma mi fa stare male!”… Come ne esco?

Durante una sessione di Life Coaching, una giovane donna – che mi sta raccontando di un’amica a lei cara – all’improvviso si ferma e con aria triste dice: “Le voglio bene, ma mi fa stare male!”.

Chissà a quanti di noi è capitato di pensare la stessa cosa nei confronti di un’amica, di un familiare, del partner.

Provare affetto per chi ci fa sentire scontate… come fossimo un accessorio, una seconda scelta.

Domandarci tutte le volte: “Chissà!, magari non ha fatto apposta a cancellare quel nostro impegno!” o “Ma perché non mi ha invitato?” o “Possibile che cambi sempre il programma che abbiamo fatto?”.

Non è questione di confidenza o legame di parentela. E’ che vogliamo bene a chi pensa sempre prima a sé e poi – molto poi – a noi.

Il fatto è che , quando ne diventiamo consapevoli, siamo di fronte a un dilemma: andare avanti così o prendere le distanze?

Rammento una persona a cui ero molto legata che faceva tutto a suo piacimento ed io dovevo sempre adattarmi. Volendole molto bene, la assecondavo, anzi, giustificavo il suo comportamento scorretto pensando che non facesse apposta! Era così! Era il suo carattere.

Però nel frattempo soffrivo…

Mi faceva stare male quando lei cancellava gli impegni che aveva preso con me; quando lei si organizzava a suo piacimento ed ero io a dovermi adeguare; quando lei mi rispondeva in modo sgarbato e io stavo zitta per evitare lo scontro.

La verità è che avevo paura di perderla, perché avevamo condiviso tanto in gioventù.

Com’è finita?

Dopo parecchi anni ho deciso di tagliare: uscire con lei e tornare a casa con qualche ferita era all’ordine del giorno e proprio non lo sopportavo più.

Non eravamo più due ragazzine e crescere significa ascoltarsi, guardarsi dentro e scegliere per il proprio bene.

Non è stato facile: pensavo che quel legame non si sarebbe mai spezzato…

Credevo che ci volessimo bene.

Ma l’affetto dev’essere reciproco e deve esprimersi sotto forma di rispetto, di comprensione, di disponibilità verso l’altra persona.

Quando una dà e l’altra prende e basta… è il momento di mettere in dubbio l’affetto dell’altra.

Se stiamo male, vuol dire che non siamo felici e che quella persona probabilmente non è poi così positiva per noi.

Perciò, se come la mia cliente vi ritrovate in una situazione simile, provate a rispondere a queste semplici domande:

  • Quanto ancora siete disposti a soffrire?
  • Mettendo sulla bilancia l’affetto che provate e quanto l’altra persona vi fa stare male, che cosa pesa di più?
  • Vi sta bene soffrire per colpa di un’altra persona?
  • Da zero a dieci, quanto vi fa soffrire? E quanto vi sentite ricambiati nell’affetto?

Se a tutte queste domande avete risposto in modo sincero, la verità può essere:

  • Che non avete altre persone con cui sostituire chi vi fa soffrire, per cui non siete disposti a prendere le distanze. Oppure,
  • che sia arrivato il momento di svoltare.

E quando dico “svoltare” non significa per forza “tagliare”.

Basterebbe che iniziaste a dire ciò che pensate, senza paura né dubbi.

Immaginate di trovarvi di fronte all’ennesimo cambiamento di programma da parte sua e di farglielo notare, con calma, ma in modo deciso e fermo: “Scusa, ma a me non sta bene, per questo e quest’altro motivo”.

Qualcuno penserà: “Eh, ma così per forza ci si scontra!”.

Non è detto! Anzi!

Se l’altra persona vi considera importanti e vi vuole bene quanto voi gliene volete, sarà disposta a venirvi incontro. Se invece si impunterà, farà muro contro muro… Be’ avrete la prova che cercate!

Se vuoi bene a tuo figlio, non giustificarlo sempre.

Un ragazzo di vent’anni mi confida di aver assunto cocaina per “allontanarsi dai suoi problemi”:
il padre lo giustifica perché “è solo, non ha fratelli e io e sua madre abbiamo appena divorziato”.
Un adolescente rischia di perdere l’anno scolastico a causa delle assenze accumulate: i genitori si lamentano, ma lo giustificano, dicendo che “non si sentiva mai pronto all’interrogazione o alle verifiche”.
Un undicenne al parco alza le mani su un ragazzino che l’ha pesantemente insultato. Entrambe le madri giustificano i figli, l’una dicendo che è stata una reazione naturale, visto che è stato provocato, e l’altra minimizza la pesante offesa lanciata dal proprio figlio, perché “stava scherzando”.
Ad un corso di formazione, una donna si lamenta perché i due figli adulti non se ne vogliono andare di casa e se ne stanno a bighellonare tutto il giorno, ma quando la trainer le indica cosa fare per tagliare il cordone ombelicale, lei risponde: “Be’, ma come posso fare così… Come fanno a mantenersi? Non possono mica lavorare otto ore al giorno per guadagnare una miseria!”.

Di esempi del genere potrei farvene a centinaia…

Ma il succo di tutto è che molti ragazzi vengono sempre giustificati dai genitori e magari pure dai nonni e da certi insegnanti o allenatori.

Viene quindi spontaneo domandarsi:
“Ma giustificare sempre e comunque i figli, va bene?”.

Certamente no!

Anzi, è pure pericoloso per la loro crescita, perché non capiranno mai che cos’è un limite né impareranno che esistono dei confini. E che dire della morale e delle regole?

I figli hanno bisogno di avere dei “paletti” entro i quali muoversi serenamente.

Devono conoscere le conseguenze delle loro azioni e spetta agli adulti metterli di fronte a ciò.

Chi giustifica sempre un figlio… non gli vuole bene!

Sceglie il quieto vivere, ovvero una posizione di comodo, che regala un’apparente serenità in famiglia, ma non fa crescere nessuno.

I genitori hanno il dovere di responsabilizzare i figli e questo è possibile se spiegano loro che cosa fare e che cosa no.

Non si tratta di colpevolizzare i figli per come “sono”, ma per ciò che hanno fatto di sbagliato.

Non bisogna quindi dire: “Tu sei un disastro”, ma “Tu ti sei comportato male, per questo e quest’altro motivo”.
Diventa quindi necessario spiegare ai figli in che cosa hanno sbagliato e dimostrare loro che è possibile rimediare, ma soltanto dopo aver compreso i propri errori.

Sono i genitori al timone e tocca a loro definire i limiti.

Non possono farlo i figli, perché non sono adulti e hanno bisogno di essere guidati con mano sicura, giusta e ferma.

I genitori devono sì sforzarsi di “comprendere” perché un figlio si è comportato male, ma questo non vuol dire giustificarlo. Per essere autorevoli devono imparare a dire “no” ai figli, senza paure o dubbi.

Devono aiutare i figli a riflettere sugli errori commessi e sulle conseguenze di certe azioni e farlo con calma, senza gridare, né accusare.
I figli, d’altro canto, devono capire di aver sbagliato (non di essere sbagliati) ed essere pronti a non ripetere l’errore.

Ragazzi, ecco cinque mosse per imparare a… perdonare!

La parola d’ordine di questa settimana è “perdonare” e sappiamo quanto sia difficile, soprattutto se ci siamo sentiti traditi o feriti.

Il fatto è che molte volte vorremmo perdonare, ma come fare per zittire quella vocina che abbiamo dentro e che ci suggerisce di vendicarci o di odiare chi ci ha fatto male?

Non siamo mica dei santi! Loro sì che sono capaci di perdonare e di vivere sereni!

Ma… se volete “imparare” a perdonare, esiste un metodo, che non funziona velocemente come uno schiocco di dita, ma che vi può portare a vivere meglio, con più ottimismo e felicità.

Non ci credete?

Provate a seguire questi 5 passi:

1) Ricordate ciò che vi è successo, senza pensare che il colpevole sia un “mostro”.

Non arrabbiatevi di nuovo: respirate lentamente e profondamente.
Poi provate a rivedere la scena nella vostra mente: fate una descrizione “oggettiva”, senza aggiungere altro.

2) Provate a mettervi nei panni di chi vi ha fatto soffrire: immaginate di avere di fronte quella persona, mentre vi spiega perché si è comportata così male.

Quale storia vi racconterebbe?
Inventatela!

3) Ora il passo più difficile: “regalate” il vostro perdono.

Per riuscirci, pensate a qualcosa che avete combinato tempo fa e al perdono che avete ricevuto.
Smettetela di provare odio e ostilità: mettetevi al di sopra del male e della vendetta. Solo così potrete perdonare davvero.

4) E’ il momento di scrivere una lettera di perdono a chi vi ha fatto soffrire.

Mettere su carta il perdono aiuta a renderlo vero.
Se proprio non ce la fate a mandare una lettera, scrivetela sul vostro diario e conservatela.
Sarà sufficiente.

5) Sarà impossibile “cancellare” dalla vostra mente ciò che è accaduto, ma “ricordarlo” non significa “non riuscire a perdonare”. Ricorderete ciò che è successo, ma non proverete più il desiderio di vendetta, la rabbia, il dolore.

Rileggete la lettera che avete scritto: vi aiuterà a tornare sereni.

E ricordate che “perdonare” non è un atto di debolezza, ma un modo per vivere sereni!

 

* Articolo scritto da Laura Gazzola e pubblicato sulla Pagina dei Ragazzi del quotidiano “La Provincia di Como” il 9 ottobre 2018.

Sii l’adulto che avresti voluto accanto quando eri piccolo.

Quante volte non ci riconosciamo o non sappiamo più chi vogliamo essere?

La Vita cambia le persone e capita di ritrovarsi adulti e di non piacersi o di non sapere che tipo di genitore essere.

La naturale tendenza dovrebbe essere quella di guardarsi dentro e “migliorarsi”, ma ci sono molte persone che in realtà, nel tempo, fanno emergere solo il peggio di sé o perché sono scontente e si sentono vittime del sistema o perché sono state deluse da qualcuno o da se stesse. Altre si sono incattivite per i torti subiti e altre ancora si sono indurite per non soffrire più.

Ecco, allora, che una frase come “Sii l’adulto che avresti voluto accanto quando eri piccolo” può fare da guida.

Si tratta di ripensare seriamente a “che cosa ci è davvero mancato” durante la nostra infanzia e adolescenza.

E credo che a nessuno verrebbero in mente per prima cosa gli abiti griffati e gli oggetti costosi…
Anche se, magari, “quel motorino” che desideravamo tanto e non abbiamo mai avuto… ci brucia un po’, perché era un modo per essere indipendenti e sentirci grandi.
E probabilmente non penseremmo neanche alla totale libertà, senza regole né controlli da parte di un adulto che ci concedesse di tutto.

Se ci riflettete bene, vi accorgerete che i pensieri si spostano altrove.

Di che adulto avremmo avuto bisogno?

Di uno che ci regalasse cose che si comprano coi soldi oppure di uno che ci regalasse il suo tempo, che giocasse insieme a noi, che ci incoraggiasse a fare il nostro meglio senza criticarci né giudicarci?

Magari ci sarebbe piaciuto avere a fianco un adulto solare, capace di farci ridere al momento giusto, di farci sentire amati e apprezzati per ciò che eravamo…

Un adulto capace di gentilezza, seppure fermo sull’educazione e le regole
Un adulto in grado di ascoltarci in silenzio, ma anche di dialogare con noi

Un adulto che, al momento giusto, ci abbracciasse e ci dicesse: “Sono fiero del ragazzo che sei”

Ecco, ciascuno di noi sa che tipo di adulto avrebbe voluto accanto e questa “immagine” può davvero aiutarci a disegnare il ritratto di chi vogliamo essere nei confronti degli altri e in particolare dei figli (indipendentemente da ciò che abbiamo passato nella vita).

Un modo semplice per toglierci tutti i dubbi e renderci più determinati e perseveranti nel diventare “l’adulto” di cui avremmo avuto bisogno.
Un adulto che venga ricordato per ciò che di buono è riuscito a trasmettere e a condividere, per la gioia che è riuscito a suscitare e per la serenità che è stato capace di regalare.

Coppie felici: meglio esprimere o tacere i propri sentimenti?

Paura, gioia, speranza, delusione, desiderio, solitudine…

I sentimenti che possiamo provare ogni giorno sono tanti: a volte arricchiscono la nostra vita, altre volte la rendono insopportabile.

Il fatto è che non possiamo “controllare” i sentimenti e quest’ultimi fanno ciò che vogliono: in un periodo sono estremamente intensi e in un altro vanno pian piano scomparendo.

Se noi parliamo di un certo sentimento (come la rabbia o la felicità), ne prendiamo la distanza;  se ci lasciamo travolgere, esso acquisterà forza.

E noi sappiamo bene che per far funzionare una RELAZIONE DI COPPIA, bisogna saper cogliere e ascoltare i sentimenti.

“ C’è differenza tra parlare di sentimenti ed esprimere i sentimenti ” dice un noto psicologo che se ne occupa da moltissimi anni (A. Vansteenwegen).

E ha proprio ragione, perché i sentimenti sono dei segnali molto forti in una relazione: ci dicono qual è il suo stato di salute e, se sono negativi, ci fanno capire che qualcosa va modificato.

Non dobbiamo avere “paura” di esprimere ciò che sentiamo, perché la paura non dà mai buoni consigli!

La questione , però, è: dobbiamo dirci “tutto” ciò che sentiamo oppure dobbiamo scegliere quali sentimenti esprimere e quali tacere?

In generale, è bene “non accumulare” troppi sentimenti negativi, perché poi arriva la goccia che fa traboccare il vaso e la nostra reazione sembra esagerata e fuori luogo.

Se sono irritata con il mio partner per colpa dei lavori domestici, è meglio dirglielo, ma senza arrivare alle liti. Di solito ci si accorda su “chi fa cosa” e quindi si può decidere di rivedere gli accordi.

In generale, poi, sappiamo bene che cosa rasserena il partner e che cosa lo fa imbestialire, perciò sarebbe meglio “prevenire che curare”.

Quindi, se conosco bene il mio partner e so che lo irrita tantissimo il ritardo perenne, eviterò di farlo aspettare.

Al contrario, se so che adora andare al cinema o a cena in un determinato ristorante, farò in modo di organizzare un’uscita che lo renderà felice.

Ma… è vero che bisogna dirsi tutto? Proprio tutto, per far funzionare la coppia?

Allora, reprimere i sentimenti fa male: porta persino a somatizzazioni!

Ma vivere con una persona che dà libero sfogo a tutti i suoi sentimenti… è un incubo!

Pensate a chi ha continui sbalzi d’umore, che spara a raffica frasi cattive oppure offensive solo perché “le sente in quel momento”… Viverci diventa davvero impossibile!

In questo caso, quindi, meglio non dirsi tutto ciò che proviamo, se non altro per il bene della nostra coppia.

Ma allora quando è meglio condividere i sentimenti che proviamo?

Vansteenwegen ci suggerisce di farlo quando abbiamo qualcosa che ci sta a cuore: se siamo dispiaciuti o delusi o temiamo per qualcosa.

In questi casi, non bisogna “fuggire”, ma esprimere “cosa c’è che non va”. In questo modo il sentimento che proviamo diventerà meno intenso e passerà prima.

Certo, se si tratta di un sentimento negativo di breve durata, possiamo anche non comunicarlo, perché passerà da sé. Ma se è costante, allora dobbiamo dirlo al nostro partner.

Molte persone invece nascondono i propri sentimenti negativi, li reprimono, li negano. Provano a far finta che non ci siano! Esprimerli, per loro, significherebbe mettere in pericolo la loro relazione.

Ma così facendo, si allontanano dal partner e si isolano.

Meglio trovare il momento adatto e dire al partner: “Quando ti comporti così… vado su tutte le furie!” oppure “Mi sento delusa…”, ecc.

In questo modo il partner dovrebbe rendersi conto che non si tratta di uno sfogo, ma di una cosa importante, anche se non possiamo pretendere che lui/lei “senta” ciò che sentiamo noi con la medesima intensità.

Eh, sì! Ci vuole una gran pazienza per far funzionare le cose! E anche una buona dose di autocontrollo!

E per aumentare i sentimenti positivi, bisogna creare dei… “ riti ”, come il pranzo della domenica, una passeggiata con tutta la famiglia (che unisce), un film guardato insieme, i lavori di manutenzione della casa condivisi o… un’uscita serale per stare un po’ soli.

Istruzioni per… essere un buon genitore!

Una delle domande più frequenti che si pongono i genitori in attesa è “sarò capace di essere un buon genitore?”.
L’istinto purtroppo non basta.
Perciò è meglio informarsi e magari seguire alcuni suggerimenti, in modo da placare ansie, dubbi e preoccupazioni. Purtroppo i figli non arrivano col manuale delle istruzioni!

Perciò… che tu sia prossimo a diventare genitore o che tu abbia già figli – piccoli o addirittura adolescenti – ecco alcuni buoni consigli!

1) Diventa un buon modello!
Non finirò mai di dirlo: i figli, di qualsiasi età, imparano da noi, imitandoci.
Perciò, insegnagli a distinguere ciò che è bene da ciò che è male; sii amorevole, empatico, positivo e porta loro il rispetto che vuoi per te.

2) Prenditi cura di te!
Significa che se sei troppo stanco, stressato, assonnato non puoi prenderti correttamente cura di un bambino.
Perciò, fai in modo di mangiare sano, bere liquidi e riposare.
E se riesci, per un’ora alla settimana cerca di dedicarti ad uno sport o ad una attività che ti piace: fai in modo di svolgerla fuori casa e senza tuo figlio, in modo da “staccare la spina”.

3) Sii organizzato!
Un genitore organizzato trasmette sicurezza e i bambini placano le loro ansie, se sanno com’è organizzata la giornata.
Perciò stabilisci degli orari fissi per cenare, andare a letto e definisci anche il tempo del gioco (che sia fuori casa o davanti ad un pc o sullo smartphone).
Tuo figlio deve conoscere questi orari e ciò che lo aspetta di giorno in giorno (come la visita dal dentista, lo sport, ecc.).
Assegna a tuo figlio un piccolo “dovere” (come rifarsi il letto o apparecchiare), perché tutti in famiglia ne hanno. In questo modo lo preparerai anche alla vita fuori casa.

4) Dai amore e abbracci!
Tuo figlio ha bisogno di sentire che lo ami tutti i giorni, perciò fagli sapere che è importante per te.
Mostragli il tuo amore, anche con un abbraccio: lo aiuterà ad accrescere la sua autostima e ad imparare ad amare gli altri.

5)Ascolta e comunica!
Sii un buon ascoltatore, in modo che tuo figlio sappia di poterti parlare sempre di qualsiasi cosa.
Se saprai ascoltare, è probabile che anche tuo figlio svilupperà questa qualità.
Se è già adolescente, affronta argomenti delicati come la droga, l’abuso di alcool, la guida spericolata, in modo che diventi consapevole delle conseguenze.
Parlagli dei veri amici e insegnagli a distinguerli dai falsi amici.
E quando comunichi con lui, usa un tono pacato, non urlare!
Altrimenti tuo figlio si chiuderà e non ascolterà più nulla di ciò che gli dirai.

5) Scegli le battaglie da combattere!
Non impuntarti su qualsiasi cosa: controlla che tuo figlio non faccia del male a sé o agli altri (in questo caso intervieni in modo fermo), ma se sbaglia qualcosa senza rendersene conto, non punirlo, ma dialoga con lui.

6) Sii positivo!
I figli amano essere lodati dai propri genitori, ma tu fallo senza esagerare, cioè quando ve n’è motivo.
Dimostragli di essere soddisfatto di lui, ma se desideri spronarlo a fare meglio, non dirgli: “Sono contento che tu abbia vinto la partita, MA potresti schiacciare meglio quella palla!”.
Prova invece così: “Sono contento per la vittoria! Ti va se il prossimo sabato lavoriamo sulle tue schiacciate?”.
Questo incoraggia tuo figlio ad avere una migliore immagine di sé, piuttosto che deprimerlo.

7) Metti dei limiti!
Stabilisci dei limiti per i tuoi figli e falli rispettare.
Loro proveranno a scavalcarli per avere più libertà.
Talvolta i bambini fanno fatica a capire che i limiti sono imposti per il loro bene, perciò parlagliene: cerca di farti capire, usa degli esempi concreti.

8) Lascia che prenda coscienza dei suoi errori!
Se tuo figlio commette un errore, aiutalo a pensare a come affrontarlo.
Così favorirai la sua capacità di problem solving e lo aiuterai a diventare più responsabile.

9) Lascia che sia indipendente!
Magari per te è difficile restare a guardare, mentre tuo figlio di tre anni insiste per vestirsi da solo con abbinamenti orribili o stravaganti.  Ma lasciaglielo fare (entro limiti ragionevoli)!
Se lui imparerà a fare da solo, tu sarai un po’ meno stressato!

10) Organizza delle uscite con la tua famiglia!
Ci sono tante cose da vedere e da vivere: musei, gite in mezzo alla natura per imparare a identificare le piante, gli alberi e i fiori, uscite al parco, in bicicletta, a cercare funghi o castagne, a giocare con la neve…
In questo modo trascorrerai del tempo con tuo figlio e contemporaneamente gli insegnerai qualcosa.

11) Leggi per lui!
Se hai un bimbo piccolo, finire la tua giornata leggendo qualcosa a tuo figlio, gli dimostra quanto tieni a lui e al tempo trascorso insieme. E’ un momento molto intimo, che ti connette a tuo figlio e gli trasmette inoltre il desiderio, un domani, di leggere.

Ora sai in quanti modi puoi diventare un genitore speciale…
Forza! Non ti resta che provare!

La lettera che tuo figlio adolescente non può scriverti!

Ho ritrovato questa bellissima lettera del 2015, scritta da Gretchen Schmelzer, psicologa e blogger statunitense, e ho pensato di condividerne la traduzione.

Caro Genitore,
questa è la lettera che vorrei poterti scrivere.

Di questa lotta in cui siamo, ora, ne ho bisogno. Io ho bisogno di questa lotta.
Non te lo posso dire perché non ho le parole per farlo e in ogni caso non avrebbe senso quello che direi. Ma, sappi, che ho bisogno di questa lotta. Ne ho bisogno disperatamente.

Ora ho bisogno di odiarti e ho bisogno che tu sopravviva a questo odio.
Ho bisogno che tu sopravviva al mio odiarti e al tuo odiare me.
Ho bisogno di questo conflitto anche se, nello stesso momento, pure io lo detesto.
Non importa nemmeno su cosa stiamo a litigare: sull’ora di rientro a casa, sui compiti, i panni sporchi, sulla mia stanza incasinata, sull’uscire, sul restare a casa, sull’andare via di casa, vivere in famiglia, fidanzato, fidanzata, sul non avere amici, o sull’avere cattivi amici. Non ha importanza.

Ho bisogno di litigare con te su queste cose e ho bisogno che tu lo faccia con me.

Ho disperatamente bisogno che tu mantenga l’altro capo della corda. Che lo mantenga forte mentre io strattono l’altro capo dalla mia parte, mentre cerco di trovare appigli e punti d’appoggio per vivere dentro a questo mondo nuovo in cui mi sento.
Prima sapevo chi ero io, chi eri tu, chi eravamo noi. Ma ora, non lo so più.
In questo momento sono alla ricerca dei miei confini e a volte riesco a trovarli solo quando tiro questa fune con te. Quando spingo tutto quello che conoscevo al suo limite.
In quel momento io sento di esistere e per un minuto riesco a respirare.
E lo so che ti manca quel dolcissimo bambino che ero.
Lo so, perché quel bambino manca anche a me e a volte questa nostalgia è quello che rende tutto così doloroso in questo momento.

Io ho bisogno di questa lotta e ho bisogno di vedere che i miei sentimenti, non importa quanto tremendi o esagerati siano, non distruggeranno né me e né te.
Ho bisogno che tu mi ami anche quando sono il peggiore, anche quando può sembrare che io non ti ami.
In questo momento ho bisogno che tu ami te stesso e me, che tu ci ami entrambi.
Lo so che fa schifo essere antipatici e avere l’etichetta di “cattivo ragazzo”.
Anche io provo la stessa cosa dentro, ma ho bisogno che tu la tolleri, e che ti faccia aiutare da altri adulti a farlo. Perché io non posso farlo in questo momento.
Se vuoi stare insieme ai tuoi amici adulti e fare un “gruppo di auto-mutuo-aiuto-per-sopravvivere-al-tuo-adolescente”, fa’ pure. O parlare di me alle mie spalle, non mi importa.
Solo ti chiedo di non rinunciare a me, di non rinunciare a questo conflitto. Io ne ho bisogno.

Questa battaglia con te mi insegnerà che la mia ombra non è più grande della mia luce.
Questo conflitto mi insegnerà che i sentimenti negativi non significano la fine di una relazione.
Questo è il conflitto che mi insegnerà come ascoltare me stesso, anche quando questo potrebbe deludere gli altri.

E questa battaglia particolare, finirà.
Come ogni tempesta, sarà spazzata via. E io dimenticherò, e tu dimenticherai.
E poi tornerà di nuovo. E allora io avrò bisogno che tu regga la corda ancora. Avrò bisogno di questo ancora per anni.

Lo so che non c’è nulla di intrinsecamente soddisfacente in questa situazione per te.
Lo so che probabilmente non ti ringrazierò mai per questo, o neanche te lo riconoscerò.
Anzi probabilmente ti criticherò per tutto questo duro lavoro. Sembrerà che tu non faccia niente, che non sia mai abbastanza per me.
Eppure, mi affido interamente alla tua capacità di restare in questa battaglia.
Non importa quanto io polemizzi, non importa quanto io mi lamenti. Non importa quanto io mi chiuda in silenzio.

Per favore, resta dall’altro capo della fune. Sappi che stai facendo il lavoro più importante che qualcuno possa mai fare per me in questo momento.

Con amore, il tuo teenager.

© 2015 Gretchen L Schmelzer PhD

Qui il testo originale: The letter your teenager can’t write you

I piccoli gesti delle coppie felici.

La psicologia positiva (quella su cui si basa il Coaching) e, in particolare, Gottman hanno scoperto che le coppie felici fanno determinate cose, per altro molto semplici.

Vediamo quali:
1) la mattina, prima di accomiatarsi, si informano su almeno una cosa che farà il partner durante il giorno (bastano 2 minuti);

2) alla fine della giornata di lavoro, appena si ritrovano a casa, parlano per 20 minuti di argomenti non stressanti (utili a “decomprimere”);

3) si manifestano affetto, stringendosi, abbracciandosi, baciandosi (il tutto con molta tenerezza);

4) durante la settimana, hanno l’abitudine di riservarsi almeno due ore per stare soli in un’atmosfera rilassata;

5) almeno una volta al giorno, manifestano al partner ammirazione e apprezzamento.

Inutile dire che tutte queste azioni sottintendono un reciproco coinvolgimento emotivo e affettivo.

Col passare degli anni, quando il rapporto rischia di diventare un po’ scontato, può essere utile ricordarsi di alcuni semplici gesti che fanno sentire all’altro che proviamo ancora un grande interesse per lui.

Sentirsi amati, considerati e apprezzati non è importante solo all’inizio del rapporto, ma sempre.