Sii l’adulto che avresti voluto accanto quando eri piccolo.

Quante volte non ci riconosciamo o non sappiamo più chi vogliamo essere?

La Vita cambia le persone e capita di ritrovarsi adulti e di non piacersi o di non sapere che tipo di genitore essere.

La naturale tendenza dovrebbe essere quella di guardarsi dentro e “migliorarsi”, ma ci sono molte persone che in realtà, nel tempo, fanno emergere solo il peggio di sé o perché sono scontente e si sentono vittime del sistema o perché sono state deluse da qualcuno o da se stesse. Altre si sono incattivite per i torti subiti e altre ancora si sono indurite per non soffrire più.

Ecco, allora, che una frase come “Sii l’adulto che avresti voluto accanto quando eri piccolo” può fare da guida.

Si tratta di ripensare seriamente a “che cosa ci è davvero mancato” durante la nostra infanzia e adolescenza.

E credo che a nessuno verrebbero in mente per prima cosa gli abiti griffati e gli oggetti costosi…
Anche se, magari, “quel motorino” che desideravamo tanto e non abbiamo mai avuto… ci brucia un po’, perché era un modo per essere indipendenti e sentirci grandi.
E probabilmente non penseremmo neanche alla totale libertà, senza regole né controlli da parte di un adulto che ci concedesse di tutto.

Se ci riflettete bene, vi accorgerete che i pensieri si spostano altrove.

Di che adulto avremmo avuto bisogno?

Di uno che ci regalasse cose che si comprano coi soldi oppure di uno che ci regalasse il suo tempo, che giocasse insieme a noi, che ci incoraggiasse a fare il nostro meglio senza criticarci né giudicarci?

Magari ci sarebbe piaciuto avere a fianco un adulto solare, capace di farci ridere al momento giusto, di farci sentire amati e apprezzati per ciò che eravamo…

Un adulto capace di gentilezza, seppure fermo sull’educazione e le regole
Un adulto in grado di ascoltarci in silenzio, ma anche di dialogare con noi

Un adulto che, al momento giusto, ci abbracciasse e ci dicesse: “Sono fiero del ragazzo che sei”

Ecco, ciascuno di noi sa che tipo di adulto avrebbe voluto accanto e questa “immagine” può davvero aiutarci a disegnare il ritratto di chi vogliamo essere nei confronti degli altri e in particolare dei figli (indipendentemente da ciò che abbiamo passato nella vita).

Un modo semplice per toglierci tutti i dubbi e renderci più determinati e perseveranti nel diventare “l’adulto” di cui avremmo avuto bisogno.
Un adulto che venga ricordato per ciò che di buono è riuscito a trasmettere e a condividere, per la gioia che è riuscito a suscitare e per la serenità che è stato capace di regalare.

Ragazzi, imparate a essere “determinati” e… arriverete alla meta!

Avete voglia di raggiungere un obiettivo che prevede di impegnarvi per molto tempo e avete paura di non farcela?
Siete caduti nel “vorrei, ma non so se ce la farò”?

Non preoccupatevi!

La soluzione c’è, ma prima rispondete a una domanda: “Da 0 a 10, quanto ci tenete a raggiungere il vostro obiettivo”?
Più vi avvicinate al 10 e più significa che quell’obiettivo per voi è importante.

Ma come fare per non mollare?

Dovete essere “determinati”!
Significa che dovrete aver chiaro, nei minimi dettagli, il vostro obiettivo e considerare sia i lati positivi sia gli ostacoli e le difficoltà del percorso che dovrete fare.

Prima di tutto dovrete far tacere la vocina che avete in testa e che vi ripete che “non ce la farete mai”.

Poi dovrete mettere in conto che arriveranno i momenti in cui vorrete arrendervi: non fatelo!
Se le difficoltà saranno molte, non cambiate obiettivo, ma trovate nuove strade per raggiungerlo.

Restate concentrati, anche se il risultato non si vede subito!
E se sbaglierete qualcosa, sarà normale, perciò continuate pure a sbagliare, finché non troverete la via giusta.

Fate così:
1) preparatevi ad affrontare gli ostacoli, riflettendoci in anticipo: pensare che tutto andrà bene, senza prepararsi per tempo, significa essere superficiali;

2) guardatevi dentro: “Sapete rialzarvi quando cadete?” o siete di quelli che mollano alla prima difficoltà?
E’ importante rispondervi in modo sincero, se volete porvi grandi obiettivi;

3) lavorate tutti i giorni sul vostro obiettivo e non rimandate a domani, perché il rischio è abbandonare l’obiettivo;

4) concentrate la vostra attenzione sui passi “veramente” necessari per giungere al vostro obiettivo: piccole cose, ma davvero utili;

5) smettetela di dire o pensare che “non siete dei talenti”!
La determinazione, intesa come enorme impegno, è fondamentale quando volete raggiungere un importante traguardo.
Fissarvi sul discorso del “talento” è solo una scusa per non impegnarvi!

 

* Articolo scritto da Laura Gazzola e pubblicato sulla pagina dei ragazzi de La Provincia di Como (16/10/2018)

Coppie felici: meglio esprimere o tacere i propri sentimenti?

Paura, gioia, speranza, delusione, desiderio, solitudine…

I sentimenti che possiamo provare ogni giorno sono tanti: a volte arricchiscono la nostra vita, altre volte la rendono insopportabile.

Il fatto è che non possiamo “controllare” i sentimenti e quest’ultimi fanno ciò che vogliono: in un periodo sono estremamente intensi e in un altro vanno pian piano scomparendo.

Se noi parliamo di un certo sentimento (come la rabbia o la felicità), ne prendiamo la distanza;  se ci lasciamo travolgere, esso acquisterà forza.

E noi sappiamo bene che per far funzionare una RELAZIONE DI COPPIA, bisogna saper cogliere e ascoltare i sentimenti.

“ C’è differenza tra parlare di sentimenti ed esprimere i sentimenti ” dice un noto psicologo che se ne occupa da moltissimi anni (A. Vansteenwegen).

E ha proprio ragione, perché i sentimenti sono dei segnali molto forti in una relazione: ci dicono qual è il suo stato di salute e, se sono negativi, ci fanno capire che qualcosa va modificato.

Non dobbiamo avere “paura” di esprimere ciò che sentiamo, perché la paura non dà mai buoni consigli!

La questione , però, è: dobbiamo dirci “tutto” ciò che sentiamo oppure dobbiamo scegliere quali sentimenti esprimere e quali tacere?

In generale, è bene “non accumulare” troppi sentimenti negativi, perché poi arriva la goccia che fa traboccare il vaso e la nostra reazione sembra esagerata e fuori luogo.

Se sono irritata con il mio partner per colpa dei lavori domestici, è meglio dirglielo, ma senza arrivare alle liti. Di solito ci si accorda su “chi fa cosa” e quindi si può decidere di rivedere gli accordi.

In generale, poi, sappiamo bene che cosa rasserena il partner e che cosa lo fa imbestialire, perciò sarebbe meglio “prevenire che curare”.

Quindi, se conosco bene il mio partner e so che lo irrita tantissimo il ritardo perenne, eviterò di farlo aspettare.

Al contrario, se so che adora andare al cinema o a cena in un determinato ristorante, farò in modo di organizzare un’uscita che lo renderà felice.

Ma… è vero che bisogna dirsi tutto? Proprio tutto, per far funzionare la coppia?

Allora, reprimere i sentimenti fa male: porta persino a somatizzazioni!

Ma vivere con una persona che dà libero sfogo a tutti i suoi sentimenti… è un incubo!

Pensate a chi ha continui sbalzi d’umore, che spara a raffica frasi cattive oppure offensive solo perché “le sente in quel momento”… Viverci diventa davvero impossibile!

In questo caso, quindi, meglio non dirsi tutto ciò che proviamo, se non altro per il bene della nostra coppia.

Ma allora quando è meglio condividere i sentimenti che proviamo?

Vansteenwegen ci suggerisce di farlo quando abbiamo qualcosa che ci sta a cuore: se siamo dispiaciuti o delusi o temiamo per qualcosa.

In questi casi, non bisogna “fuggire”, ma esprimere “cosa c’è che non va”. In questo modo il sentimento che proviamo diventerà meno intenso e passerà prima.

Certo, se si tratta di un sentimento negativo di breve durata, possiamo anche non comunicarlo, perché passerà da sé. Ma se è costante, allora dobbiamo dirlo al nostro partner.

Molte persone invece nascondono i propri sentimenti negativi, li reprimono, li negano. Provano a far finta che non ci siano! Esprimerli, per loro, significherebbe mettere in pericolo la loro relazione.

Ma così facendo, si allontanano dal partner e si isolano.

Meglio trovare il momento adatto e dire al partner: “Quando ti comporti così… vado su tutte le furie!” oppure “Mi sento delusa…”, ecc.

In questo modo il partner dovrebbe rendersi conto che non si tratta di uno sfogo, ma di una cosa importante, anche se non possiamo pretendere che lui/lei “senta” ciò che sentiamo noi con la medesima intensità.

Eh, sì! Ci vuole una gran pazienza per far funzionare le cose! E anche una buona dose di autocontrollo!

E per aumentare i sentimenti positivi, bisogna creare dei… “ riti ”, come il pranzo della domenica, una passeggiata con tutta la famiglia (che unisce), un film guardato insieme, i lavori di manutenzione della casa condivisi o… un’uscita serale per stare un po’ soli.

Arriva un bebé e la coppia “scoppia”. Ecco come evitarlo!

Da fidanzati, tutto meraviglioso, perciò decidete di rafforzare il legame con il matrimonio o la convivenza.
E anche lì procede tutto bene, perciò… perché non pensare ad un figlio che consolidi il profondo legame già esistente?
Un “cucciolo” da amare e crescere insieme, felici come nelle fiabe del “e vissero per sempre felici e contenti”.

Peccato però che, dopo la nascita di un figlio, molte coppie… scoppino!

E come mai?
Quali sono i problemi che sorgono nella coppia?
E come fare a superarli?

Conoscerli può aiutare a prevenirli (se un figlio non c’è ancora) oppure ad identificarli e a risolverli (sempre che nella coppia ci sia dialogo e disponibilità all’ascolto).

Vediamo come:

1) Il carico dei lavori domestici.

Magari prima di diventare mamma la casa non era il tuo primo pensiero e rimandare le pulizie non era una tragedia. Ma ora che c’è il tuo bebè, la casa deve essere pulita e in ordine: i lavori domestici non si possono rimandare.
Il problema è che ti ritrovi “sola”: lui va al lavoro e tu resti a casa, ma fai tutt’altro che riposare.
E quando arriva la sera e lui rientra, tu sei distrutta e a lui sembra impossibile: avresti bisogno che lui facesse la sua parte, ma se non glielo chiedi “lui non ci arriva”. In fondo, tu sei quella che resta a casa! E così iniziano i malumori, i battibecchi.

Meglio intervenire subito e accordarti con il tuo partner su “chi fa cosa”, ovvero chi pulirà i fornelli la sera, chi il bagno, chi farà la spesa ecc.
Meglio definire anche i tempi, cioè stabilire insieme “quando” andranno fatte queste cose, in modo da non ritrovarti a dover sempre chiedere o ricordare.

2) Differenze negli stili educativi.

Magari prima che nascesse vostro figlio sembravate d’accordo su come crescerlo ed educarlo, ma ora che è lì davanti a voi, ecco sorgere le incomprensioni su tutto: l’ora della nanna, gli alimenti da introdurre pian piano, i comportamenti da considerare giusti o meno.
Di solito i neogenitori tendono a riprodurre il modello con cui sono stati cresciuti e non è detto che sia lo stesso. Perciò nascono i primi contrasti e le prime discussioni.
Ricordiamoci sempre, però, che trovare uno stile educativo da condividere è fondamentale per la crescita di un figlio.

Meglio quindi confrontarsi e adottare una linea comune.
Potreste anche valutare di affidarvi ad un esperto (ostetrica, pedagogista, family coach, ecc.) che vi guidi nei primi mesi e vi permetta di sentirvi più tranquilli, eliminando tutti i vostri dubbi.

3) Mancanza di sonno e di sesso.

Quando si diventa genitori, il sonno è un lusso! E questo purtroppo porta stanchezza, nervosismo e tensione sia nella coppia sia nei confronti del bimbo.
In più, il tempo per il sesso scarseggia.
Accade anche che la donna possa sentirsi stanca e poco attraente o che tema che il sesso sia doloroso. Capita anche che la neomamma si concentri completamente sul figlio e questo faccia sentire escluso e solo il partner.

Perciò, perché non parlarne? Perché non confessare apertamente i propri timori o le proprie difficoltà? Insieme potete trovare tutte le soluzioni!

4) Meno tempo per la coppia.

Se prima vi piaceva andare al cinema e a cena fuori insieme, ora che siete genitori non potete più farlo, a meno che non lasciate il bebè a nonni o babysitter.
Questo significa che i vostri stili di vita cambiano radicalmente: aumentano le uscite a tre (con vostro figlio) e si riducono o scompaiono quelle a due, di coppia.Fate però in modo di non trascurare del tutto questo tempo, perché altrimenti create una distanza fra voi.

Ogni tanto concedetevi una serata fuori, facendo ciò che amavate fare insieme.
Questo vi farà sentire di nuovo “coppia”.
Programmatela in anticipo, in modo da organizzare il tutto per bene e fare in modo che niente impedisca o rovini la vostra uscita.

5) Problemi finanziari.

Anche se lavorate entrambi e avete due stipendi, avere un figlio comporta delle spese che prima non c’erano, come le visite dal pediatra, i pannolini, i vestiti, ecc.
Questo può procurare preoccupazione e quindi tensione nella coppia.

L’ideale è stendere un piano delle spese, che comprenda ciò che è necessario, ma anche quello che può regalarvi serenità (es. un corso di yoga o di arrampicata che vi permetta di scaricarvi e di sentirvi appagati).
Valutate quindi a tavolino le spese che potete “tagliare” (abbonamenti, cene fuori, cellulari ultimo modello, ecc.) e di tanto in tanto fatevi un regalo.

Il motore di tutto sei tu!

La fine dell’anno si avvicina.
Ti guardi allo specchio e la tua espressione non è proprio felice né soddisfatta.
Un altro anno è volato via!

“Vabbé” pensi “tra pochi giorni volterò pagina: inizierò un nuovo anno!”.
Come se allo scoccare della mezzanotte potesse avvenire una magia.

Perciò te ne stai lì, immobile, ad attendere che la tua vita cambi, che accada qualcosa di bello, di speciale, che ti motivi o ti rassereni.
Intanto, però, non hai nessun progetto da realizzare, nemmeno l’idea.

Avverti una enorme stanchezza e la sensazione, sempre più dolorosa, che nulla cambierà.

MA IL MOTORE DI TUTTO SEI TU!
E l’energia per muoverti è dentro di te!

Alza lo sguardo, va’ oltre l’oggi.
Togli il freno a mano alla tua vita.

Prova a ricordare che cosa ti è sempre piaciuto (e che magari hai abbandonato).
Apri quel vecchio cassetto nel quale hai rinchiuso un sogno, un desiderio, un progetto.

NON AVERE PAURA DI RIMETTERTI IN VIAGGIO!

Guarda al futuro!

Metti ordine fuori e “dentro” di te!

Durante una sessione di Life coaching, una donna si lamenta di sé: “C’è disordine in casa e non lo sopporto! E’ che al disordine  fuori corrisponde il disordine che ho in testa! Cos’ho che non va?”.

Se anche voi vi siete posti la stessa domanda, sappiate che più siamo tesi, nervosi e più aumenta il nostro disordine in casa, come quasi a voler trasferire fuori la confusione che abbiamo dentro di noi.
E parliamo di “casa” perché quella è il nostro spazio privato, intimo: come direbbe Giovanni Pascoli, il nostro nido.
Molti psicologi spiegano che la casa rappresenta il nostro mondo interiore e può quindi essere la “foto” di come ci sentiamo in quel momento.
Attenzione: non significa che chi è disordinato, per forza abbia problemi che gli tolgono serenità. Magari il suo disordine è rappresentativo di una mente piena di idee, creativa.
Basta non giustificarsi, però, dicendo: “Anche mia madre lo era”, perché essere disordinato non è ereditario e non c’entra nemmeno con la mancanza di tempo.

Perciò… cosa succede se ci accorgiamo che la confusione in casa aumenta e noi non siamo dei disordinati cronici?

Certamente, dicono gli esperti, è sintomo di un disagio.

Potrebbe trattarsi di una decisione importante che non riusciamo a prendere, della lite con una persona a cui vogliamo bene, di un momento in cui abbiamo il morale un po’ a terra…
Potrebbe essere anche un modo per non guardarci dentro o per non riconoscere i nostri limiti.
Ecco quindi che lasciamo in sospeso questioni che ci tolgono serenità: le mettiamo lì e le lasciamo senza soluzione oppure le rimandiamo, esattamente come rimandiamo di mettere in ordine.

Lasciamo che i problemi vaghino per la nostra mente proprio come gli oggetti sparsi per casa.

Al lavoro ci sforziamo di essere in ordine, ma a casa ci lasciamo andare e siamo sciatti, trascurati, perché non ci prendiamo più cura di noi: i pensieri sono tutti rivolti a ciò che ci procura disagio.
E se un familiare ci fa notare come ci siamo ridotti, è peggio, perché al disagio si aggiunge il senso di vergogna.
Ci rendiamo conto di dover mettere in ordine la casa, ma proviamo un senso di fatica e ciò è legato al fatto di non avere le energie neppure per intervenire sui problemi della nostra vita.

E allora cosa fare? Come uscire da questo circolo vizioso?

Talvolta è sufficiente un evento positivo per darci nuovamente la spinta a ripartire.
Dobbiamo lasciare che il “nuovo” sostituisca il vecchio: le vecchie abitudini, i vecchi brutti pensieri, i vecchi oggetti, le vecchie storie d’amore o di amicizia ormai finite…
Partiamo da ciò che ci sta a cuore oggi e tagliamo “i rami secchi”: teniamo l’essenziale e liberiamoci da tutto ciò che non serve alla nostra vita (condizionamenti, giudizi e critiche distruttive…).

E visto che i cassetti, le scatole e gli armadi rappresentano il nostro mondo interiore, come rimettere ordine?

La prima cosa da fare è prenderci almeno mezz’ora di tempo per rispondere a semplici domande e “riflettere”:

  • Quali sono i miei bisogni oggi? (perché certamente saranno cambiati rispetto a quelli di tanti anni fa).
  • Quali sono le cose più importanti per me? (scriviamole in ordine: dalla più importante a quella meno).
  • Quali sono le cose assolutamente superflue nella mia vita? (scriviamole)
  • Di che cosa voglio circondarmi d’ora in poi nella mia vita quotidiana? (mettiamolo nero su bianco).

Dobbiamo muoverci nella direzione di cambiare la nostra esistenza, il nostro modo di vivere. E la nostra casa può aiutarci in questo: guardiamo a lei, ma pensando a noi.
Non è facile, ma occuparci di ciò che è utile e distinguerlo da ciò che è superfluo in casa, può stimolarci a farlo anche nella nostra Vita.

Bene, dunque! Avete scritto le risposte? Allora proseguiamo!

Prendiamo una decisione importante e scegliamo un momento “speciale”, nel quale non metteremo in ordine le cose come facciamo quotidianamente, ma faremo sul serio.
Organizziamoci in modo da avere la casa libera da figli, partner, animali domestici, così da non dover dare retta a nessuno e poterci concentrare solo sul riordino speciale, che deve essere solo quella volta e andare in profondità.
Poi…

  • Scegliamo da quale categoria partire (libri? Vestiti? Scarpe?) e non da quale stanza.
  • Lasciamo per ultima la categoria dei “ricordi” (foto, lettere, ecc).
  • Esaminiamo bene tutta la categoria (es. vestiti).
  • Scegliamo che cosa conservare, in base alle emozioni positive che ci trasmette (es. Apriamo il nostro armadio e chiediamoci: “Quel vestito mi fa battere il cuore?” . Se la risposta è “no”, eliminiamolo).
  • Non iniziamo a organizzare gli spazi se prima non abbiamo finito di buttare.
  • Buttiamo via tutto ciò che abbiamo scartato (senza rifilarlo a mamme, sorelle, ecc).

Per finire, ricordiamoci altre indicazioni utili di Marie Kondo, una vera professionista del riordino:

  • Evitiamo di riordinare se siamo tesi, di umore nero.
  • Teniamo la tv spenta, in modo da non distrarci.
  • Per rilassarci, ascoltiamo musica (ma senza parti cantate), così resteremo concentrati.
  • Iniziamo di buon mattino, quando siamo pieni di energie.

Chi semina e coltiva amore… non muore mai!

Siamo così fragili noi esseri umani.
Nei periodi della Vita in cui le cose vanno bene ci sentiamo forti, invincibili, quasi immortali.

Spendiamo tutte le nostre energie per il lavoro.

Cavalchiamo le onde e non resta tempo per coltivare gli affetti.
Quelli ci sono oggi e ci saranno anche domani, pensiamo.

Poi, però, arriva il momento in cui la Vita ci afferra, ci stritola, ci sbatte di fronte a malattie incurabili, a morti premature.
E allora tutta quella sensazione di “immortalità e forza” svanisce e ci sentiamo fragili, vulnerabili, provvisori.

La Vita improvvisamente sembra fuori da ogni nostro controllo.

Ma è in quel momento che recuperiamo ciò che conta di più: l’Amore.
L’Amore che ha mille sfumature e che è racchiuso in un abbraccio silenzioso, in una carezza delicata, nell’ascolto attento dell’altro, nella condivisione di pensieri ed esperienze, nel dialogo aperto e sincero, in uno sguardo pieno di comprensione.

E’ l’Amore a renderci “immortali”, perché chi semina e coltiva Amore non muore mai.

Vuoi vivere meglio? Smetti di “generalizzare” gli eventi negativi!

Tutte le esperienze che facciamo, tutti gli eventi che viviamo lasciano un segno dentro di noi.
Può essere profondo o meno e molto dipende da noi.
Le persone superficiali “trattengono” poco dentro di sé e quindi sembrano vivere meglio degli altri: non si trascinano pesi e non si caricano di responsabilità.

Ma chi non è così?
Chi è attento persino ai “dettagli” della sua vita?

Ci sono persone che, quando vivono un evento negativo, si soffermano talmente tanto su di esso da rivederlo a lungo nella loro mente. Così tanto a lungo da creare una sorta di segno indelebile.
Un incidente d’auto, la grave malattia di un amico, la fine di un amore, una bocciatura a scuola, una mancata promozione sul lavoro sono tutti “segni” che possono cambiare il modo in cui guardiamo le cose.

Il rischio è perdere la lucidità necessaria a circoscrivere quegli eventi.
E quando ciò accade, la tendenza è quella di “generalizzare” in negativo.
E allora, ad esempio, basta aver provocato un incidente d’auto per convincersi di non essere dei bravi guidatori, oppure aver finito l’anno scolastico con un debito per persuadersi di essere “limitati”, oppure veder finire una storia d’amore per credere di restare da soli…

E’ facile quindi generalizzare così tanto da estendere questa “negatività” anche al futuro.
E’ un po’ come sviluppare una sorta di pessimismo e sfiducia.
Le conseguenze sono ovvie: se per una volta che qualcosa va male, mi convinco che sarà sempre così o semplicemente che io sono così (cioè non sono bravo, non sono competente, non sono amabile…), allora mi limiterò da solo ed eviterò di mettermi alla prova o di cogliere nuove sfide; imparerò a giocare in difesa, senza arrivare mai a conoscere i miei veri limiti, visto che me li porrò da solo.

Ecco, se vi siete riconosciuti in questo atteggiamento mentale, non arrendetevi. La soluzione c’è!

– Prendetevi mezz’ora di tempo e fate in modo che nessuno vi disturbi né vi interrompa.
– Ora provate a rispondere a questa semplice domanda: “Quante volte vi è accaduta quella cosa negativa che vi blocca?”.
Sforzatevi di contare: una? Due volte? Quante esattamente?
– Ora fate un altro calcolo, rispondendo a quest’ultima domanda: “Quante volte avete fatto quella cosa nell’arco della vostra vita?”.

Bene!, adesso mettete in relazione le due risposte che avete dato e vi renderete conto che la vostra è una generalizzazione.

E se la vostra naturale tendenza è quella di generalizzare, per stare meglio dovete imparare a guardare ciò che vi succede con calma e lucidità, trovando le cause temporanee e specifiche che hanno prodotto quell’evento negativo.

Vedrete che, ragionando in questo modo, aprirete un varco che vi permetterà di guardare alla vostra realtà in modo più giusto e vero.
Così… sarete pronti a ripartire!

Impara a perdonare, se vuoi vivere meglio!

Perdonare NON è cosa facile, soprattutto se ciò che abbiamo subito ci ha feriti molto.
Però possiamo provarci… ben sapendo che non sarà un risultato che otterremo rapidamente.

Sembra il solito “invito” a comportarci bene, come solo i santi sanno fare, ma…

Se vi dicessi che esiste un METODO del quale parecchi studi scientifici dimostrano la validità?
Se vi dicessi che questo metodo – se ben applicato – porta le persone a vivere con meno collera, meno stress, migliore salute e maggiore ottimismo, lo vorreste conoscere?

Bene, si tratta di un METODO elaborato da un famoso studioso del perdono, Everett Worthington, e consta di 5 FASI che dobbiamo seguire in ordine.

Perché dunque non provarci?
Potremmo decidere di sperimentarle per poi trasmetterle ai nostri figli, perché essere capaci di “perdonare” ci può rendere davvero felici.

Vediamo dunque in dettaglio che cosa dobbiamo fare:

1) Per prima cosa ricordiamo il torto che abbiamo subito, senza pensare che chi l’ha commesso sia “il Male” in persona. Per riuscirci, facciamo dei respiri profondi e lenti. Poi visualizziamo ciò che è avvenuto in modo “oggettivo”, senza aggiungere nient’altro.

2) Proviamo ora a metterci nei panni di chi ci ha fatto (o ci fa ancora) soffrire.
Sebbene sia difficile, immaginiamo di avere quella persona davanti agli occhi, mentre ci spiega perché si è comportata in quel modo.
Quale storia plausibile ci racconterebbe? Proviamo a inventarla noi.

3) Siamo giunti ad un passo difficilissimo: concedere il “dono” del perdono.
Per farlo, ripensiamo a qualcosa che abbiamo commesso noi e al perdono che ( si spera!) abbiamo ricevuto: in fondo è un “dono” che ci hanno fatto.
Ora concediamo noi al “colpevole” questo dono.
Riusciremo a farlo solo se ci metteremo al di sopra del male e della vendetta, perché se continueremo a provare rancore e odio, allora non sarà possibile perdonare per davvero.
Facciamolo sul serio e ci sentiremo meglio.

4) Eccoci arrivati al momento di scrivere una lettera di perdono a chi ci ha fatto soffrire.
Se non ce la sentiamo, scriviamola e conserviamola sul nostro diario privato.
Sarà come confermare pubblicamente il nostro perdono.

5) Non aspettiamoci di “cancellare” dalla nostra mente il ricordo del male subito, perché è impossibile che non riaffiori nel tempo.
Tuttavia RICORDARE non significa NON PERDONARE.
Perciò non soffermiamoci su certi ricordi dolorosi, non crogioliamoci in essi e non alimentiamo pensieri di vendetta.
Aiutiamoci, semmai, rileggendo la lettera di perdono (o il testo nel diario).

Infine, siamo sinceri: quando siamo “a caldo” e la ferita è ancora aperta, il gesto di “perdonare” può apparirci irrealizzabile.

Ma quando è trascorso un po’ di tempo?
Almeno ci possiamo provare!

In fondo lo scopo è vivere meglio!