Mamme, prendetevi cura di voi!

Mi capita spesso di incontrare MAMME molto stanche e stressate.
Mi parlano dei salti mortali che fanno per gestire figli, casa e lavoro.

Se sono separate o divorziate (e non hanno aiuti) è ancora peggio.
Se hanno un partner “inesistente”, che non collabora, che non fa la sua parte… peggio che peggio.

E quando chiedo loro: “COME TI PRENDI CURA DI TE?”,
mi rispondono: “In che senso?”.

E allora chiarisco che non intendo l’igiene personale, ma ciò che fanno per se stesse e per puro piacere, come leggere una rivista, guardare in pace il programma tv preferito, bere una tisana in santa pace, fare una passeggiata…
Qualcuna, allora, mi dice: “Vado dal parrucchiere” oppure “Vado dall’estetista”.

Chiedo: “QUANTE VOLTE alla settimana/al mese” e la risposta spesso è: “Una volta al mese”.
Siete d’accordo che è davvero poco? Non possiamo prenderci cura di noi solo un paio d’ore al mese.

Prendersi cura di sé significa volersi bene.
Un po’ come dire: “Esisto anch’io”.

I figli sono una scelta, è vero, e i loro bisogni vengono sempre prima, tuttavia è importante tenere per sé alcuni momenti in cui mettersi al centro, anche solo per mezz’ora.
Il fatto è che questi momenti vanno programmati, altrimenti ci sarà sempre qualcosa più importante, più urgente da fare.

E la prima cosa da chiarire con se stesse è: “Che cosa mi fa stare davvero bene e mi regala un vero momento di relax e/o di serenità?”.

Vi sembra una domanda sciocca, scontata?
Magari starete pensando: “Figurati se non so che cosa mi fa stare bene! Un bel viaggio alle Maldive, no?!”.
Non è di “sogni e desideri” che stiamo parlando, ma di quotidianità: di cose che possiamo fare, che dipendono da noi… da noi e basta!

Perciò, definire che cosa possiamo fare per sentirci bene è il primo passo.
Scriverlo ci permette di non dimenticarlo nel tempo.

E il secondo passo?
Come accennavo prima, il passo successivo sta nel programmare (e rispettare) piccoli momenti dedicati a noi.

Non serve fare mille programmi, ma scegliere due/tre cose della nostra lista (intitolata “La cura di me”) e  spuntarle nell’arco di una settimana.

Anche fare una lunga doccia, ascoltando la musica che amiamo e lasciando che l’acqua calda ci rilassi i muscoli, è “cura di sé”.
Perciò non ditemi che non c’è tempo: non boicottatevi da sole!

Raccontatemi, piuttosto, in quanti modi avete deciso di prendervi cura di voi, così da essere di ispirazione a tutte le altre.
Vi aspetto!

Colloqui scolastici e… madri “fuse” coi figli.

Avete presente i colloqui scolastici?
Sono quei momenti durante i quali un genitore si trova faccia a faccia con chi si occupa di suo figlio e al contempo ha il dovere di “valutarlo” per comportamento e rendimento.
Niente di peggio, vero?

Le madri sono quelle a cui tocca quasi sempre questa incombenza: chi ci va in preda all’ansia, chi preoccupata, chi arresa… Poche sono quelle veramente serene.

Come docente e Coach, immagino sempre quali possano essere gli stati d’animo di una madre e cerco di cogliere il suo legame profondo col figlio, attraverso il linguaggio e le espressioni verbali e non verbali che usa.

Ci sono le mamme ansiose, con le mani sudate, che parlano poco oppure molto velocemente: chiedono rassicurazioni e consigli.
Poi ci sono quelle preoccupate, che arrivano con la fronte già corrucciata e tengono spesso le mani chiuse a pugno l’una dentro l’altra: si rilassano solo dopo aver sentito che va tutto bene.

Ce n’è un “tipo”, però, molto particolare: quella che appare sicura di sé, che tende il braccio per salutare e ha una stretta di mano forte. Quella che sembra avere tutte le risposte e quindi non accetta alcuna osservazione sul figlio.
Se il giudizio sul comportamento non è come si aspetta lei,… apriti cielo!

Tutte le volte che mi capita di incontrare donne del genere, penso a quale grosso problema abbiano con il loro essere madri e a quanta inconsapevolezza si trascineranno per tutta la vita, danneggiando pure il figlio.

Sono mamme che continuano a vivere in uno stato di “fusione” col figlio.
E la cosa è grave, perché la fusione esiste, ma per brevissimo tempo dopo la nascita. Non oltre.

Se, come madre, non riesco a vedere e a vivere mio figlio come un essere separato da me

allora, tutto ciò che gli altri diranno di lui, sarà una critica che mi colpirà sul piano personale, come fosse mossa a me direttamente.

Questo non ha nulla a che vedere col sentirsi dispiaciute per il proprio figlio.

Queste madri, sentendosi un tutt’uno col figlio, si sentono giudicate in prima persona e quindi in dovere di difendersi:

“Guardi che io sono una brava madre, eh! Non una di quelle che abbandona a se stesso il proprio figlio!”. Frase tipica, pronunciata spesso all’inizio del colloquio, senza che il docente abbia detto nulla a riguardo.

Ma questo figlio è un essere a sé, con emozioni, sentimenti e comportamenti diversi dalla madre, ed è sano che sia così.

Una madre, quindi, dovrebbe fare il grande passo di accettare questa inevitabile separazione e di accoglierla come un momento di crescita per sé e per il figlio.

Significa fare “il proprio dovere di mamma”, senza pretendere che tutto vada come si vuole o in modo perfetto.

Significa mettersi in discussione, con lo scopo di migliorarsi e non di “fustigarsi”.

Vuol dire accettare se stesse, ma senza cadere nel “come sono brava, non potrei fare di meglio”, perché

lo scopo è porsi delle domande e diventare consapevoli di sé, in modo da vivere più serenamente la propria genitorialità.