Covid-19 e l’importanza di mettere al centro le persone.

Quante persone ho “incontrato” virtualmente, a seguito del mio video su come superare la paura del Covid-19! Donne e uomini di diverse età, che mi hanno fatta partecipe delle loro emozioni, che mi hanno esposto i loro problemi, chiedendomi un consiglio.
Donne e uomini “veri”, con cuore e volontà di vivere meglio in questo periodo così difficile.

Non sono mancati i patiti della polemica: quelli aggressivi, che pretendono che tutti siano d’accordo con loro. Fortunatamente, davvero pochi, sebbene molto insistenti.
Ecco, mi sono resa conto che proprio costoro non hanno capito il senso del mio video, perché

adesso non è importante alzare la voce per ottenere ragione, ma fare in modo che le persone si sentano meglio, anche se sono chiuse in casa o al lavoro.

Qui non c’entra più se esiste o meno il virus, se ci credo oppure no.
L’unica cosa che mi importa sono le persone. Sì, pure quelle che non conosco, ma che mi parlano del loro disagio.

Sono le persone, quelle su cui tutti dovremmo concentrarci.

Una volta, quando ci si guardava in viso senza mascherina, bastava fare un sorriso per rasserenare l’altra persona. Oggi siamo coperti, ma possiamo sempre esprimerci con le parole.

Quanta bellezza c’è, infatti, nelle parole ricevute al momento giusto!
E non serve essere degli oratori per toccare il cuore dell’altro.
Basta ascoltare quello che ci dice e come lo dice.
Saper ascoltare con orecchie e cuore è un dono, ma anche un’abilità che si può imparare ed allenare.

Tutto parte dal considerare importante ciò che l’altro dice, perché nulla è scontato.

Proviamo, ad esempio, a cominciare a chiedere “Come stai” con un tono davvero interessato, guardando fisso negli occhi l’altra persona. Diamole il tempo di rispondere con calma. Non mostriamoci seccati o annoiati o distratti. Le persone “sentono” se siamo interessati a loro.
E piuttosto del frettoloso “Tutto bene?!”, meglio un semplice saluto.

Mai come ora c’è bisogno di vicinanza, di comprensione.

Non ci servono gli agitatori di folle, quelli che gridano, insultano, ci giudicano “fragili” per le nostre paure o per il rispetto che portiamo alle regole.
Abbiamo bisogno di un briciolo di serenità, di normalità, di amore.

E allora allontaniamo da noi chi ci fa sentire sbagliati, deboli. Non lo siamo!

Stiamo combattendo una battaglia con le nostre emozioni, tutti i giorni.
Possiamo sentirci a terra e chiedere aiuto per questo, ma è la dimostrazione che siamo forti, perché desideriamo stare meglio.

E se chi ci sta intorno non lo capisce, non perdiamo tempo a spiegarglielo.
Abbiamo bisogno di momenti sereni e non dobbiamo sprecare le nostre energie per chi davvero non se lo merita.

Genitori tossici: ecco come riconoscerli.

Sentiamo spesso parlare di relazioni tossiche, ma raramente leggiamo di “genitori tossici”, che con i loro comportamenti procurano ai figli sofferenza e scarsa autostima.

Credo importante parlarne, per saperli identificare, perché ci potrebbe capitare di incappare in uno di loro (magari fra i nostri amici, parenti o peggio, se si trattasse del nostro partner) e sarebbe bene provare a convincerli a farsi aiutare da uno specialista, come lo psicologo, per non danneggiare ulteriormente i figli.

Vediamo quindi le caratteristiche.

Il genitore tossico è iper-critico: non gli va mai bene niente.
Se il figlio a scuola riceve un bel 9, lui si mostra scontento perché non ha preso 10.
Perciò commenta in modo secco, duro, senza preoccuparsi di ferire il figlio.

Di solito è focalizzato sui suoi desideri e non tiene conto dei bisogni dei figli.
Vuole controllare tutti e spesso usa le urla per ottenere ciò che vuole oppure insinua in loro dei sensi di colpa.

Ama essere al centro dell’attenzione dei propri figli e lo fa mostrandosi preoccupato o arrabbiato, così i figli se ne fanno carico, soffrendo nel vederlo infelice.
Praticamente, al posto di alleggerire i figli, li carica di pesi che a quell’età non dovrebbero portare.

I genitori tossici sono negativi e si lamentano di continuo coi figli.
Nulla va bene!

Le conseguenze sono davvero pesanti per i figli, perché crescere con genitori tossici significa essere delle vittime e accumulare rabbia che spesso non si riesce a sfogare.
Significa anche dover vivere in un ambiente che fa star male, che fa soffrire e che spinge a mettere in dubbio i propri bisogni, per assecondare e appagare quelli del genitore.

D’altra parte, il genitore tossico fa sentire i figli inadeguati.
Per lui non sono mai “abbastanza” bravi, così loro crescono sentendosi sempre in difetto, sbagliati e imperfetti.

Lui non si mette mai in discussione, è perfetto così, mentre i figli sono sempre più insicuri e la loro autostima si sgretola pian piano ogni giorno di più.

Ecco, se pensiamo di aver riconosciuto un genitore tossico tra i nostri parenti o amici, proviamo a parlargli per vedere se è disposto a mettersi in discussione e a cambiare.
Facciamolo con delicatezza, però, perché i genitori tossici difficilmente riconoscono i propri errori.

Tuttavia… tentar non nuoce!

Ritorno alla didattica a distanza: ecco come motivare i vostri figli.

Ieri, durante una sessione di Coaching a distanza, un adolescente mi ha esposto il suo problema: “Mi sembra di perdere tempo! Prima odiavo la mia routine, ma ora mi manca tantissimo!”.

Nonostante le video-lezioni, lo studio e una casa spaziosa con un bel giardino, si esprimeva come se vivesse in gabbia e senza più una meta: “Sai, all’inizio ho pensato a quanto tempo potevo avere senza spostamenti ed ero così contento di poter guardare film o di poter giocare on-line fino a tardi… Ma ora non ho più voglia di fare niente e mi sento sempre più stanco! Anche l’umore sta andando a terra!”.

Era ovviamente una richiesta d’aiuto.

Magari sta capitando anche ai vostri figli di “sentirsi persi” a causa delle nuove restrizioni e del ritorno alla didattica a distanza.

Il fatto è che spesso, quando i ragazzi hanno  molto più tempo a disposizione, finiscono per sprecarlo.

Sì, magari godono di alcuni “lussi” come restare alzati fino a tardi, ma quella routine che hanno abbandonato, sta lasciando spazio solo al caos.

E quando in testa hanno il caos, è facile che si sentano disorientati, senza più una meta.

In realtà non è che non facciano niente.
Riempiono  il tempo libero con attività (videogiochi, YouTube, ecc.) che con l’inizio della scuola avevano dovuto limitare.
Praticamente hanno sostituito una routine che aveva uno scopo con un’altra che di scopo non ne ha, se non quello di combattere la noia che provano facendo “scuola” da casa.

Il fatto è che avere orari fissi solo per le video-lezioni non basta.
Bisogna tornare a scandire il tempo con attività ben definite, nonostante le restrizioni.

Come fare? Da dove partire? Ecco dei suggerimenti.

Coinvolgete i vostri figli e stabilite a quale ora è salutare andare a dormire per essere attivi l’indomani  (il “non ci riesco” dei ragazzi è una scusa).
Proponete di lasciare la visione di film o serie preferite alla sera, appena DOPO cena, e di chattare con gli amici PRIMA di cena.

Poi accordatevi su una fascia oraria per fare compiti e studiare (magari nel primo pomeriggio).

Se i ragazzi sono poco motivati a studiare, spingeteli a fare i compiti a distanza con un compagno: basta utilizzare skype o semplicemente Whatsapp.
E’ utile ai ragazzi per non annoiarsi e per sostenersi a vicenda. Vale anche per lo studio o per verificare la loro preparazione in vista di una interrogazione.

Se praticavano sport e ora non è più possibile, fate in modo che continuino a muoversi:
scegliete con loro attività all’aperto come la bici, la corsa, cercando di variare le attività (altrimenti sai che noia!). Se i vostri figli si allenavano in palestra, potete trovare un’app che proponga ogni giorno nuovi esercizi da fare a casa.

Dalle video-lezioni, si sa, non possono disertare… Ma almeno hanno degli obiettivi, visto che i docenti seguono un programma.

Ciò che dovete assolutamente combattere è ciò che li rende insoddisfatti e questo di solito accade quando non hanno obiettivi.

Perciò la prima regola è far sì che abbiano nuovi traguardi e che si dedichino ad attività che li “riempiano” di soddisfazione (es. disegnare, dipingere, leggere, suonare uno strumento, esercitarsi nel canto o in una lingua straniera…). Di sicuro limitare i videogiochi o i giochi online.

Questo è un buon modo per creare una nuova e sana routine, senza trascurare di “mettere un lucchetto” al frigorifero, dato che parecchi adolescenti (e adulti) si sono abbuffati durante lo scorso lockdown per vincere la noia.

Nutrite quindi i vostri ragazzi di attività che regalino loro un senso di pienezza a fine giornata. Saranno stanchi magari, ma felici.

Se pretendi di “controllare tutto”, ti rovini la vita!

Quante volte ti hanno detto “Dai, rilassati!”, “Vivi con un po’ di leggerezza!”, “Smettila di voler controllare tutto!”.
E come ti sei sentito? Probabilmente frustrato, incompreso, infelice.
Magari ti sei chiesto se effettivamente stai esagerando o se sono “gli altri” a essere troppo superficiali, lasciando andare le cose così come vanno. Magari hai provato una sorta di invidia per chi vive senza la pretesa di controllare tutto e tutti.

E allora facciamo chiarezza.

Non c’è niente di male né di sbagliato in te, se sei solito fare un’adeguata verifica di come stanno andando le cose nella tua vita (lavoro, relazioni, ecc), anzi, ben venga! E’ utile.
Se invece è un bisogno irrinunciabile, che ti procura ansia, inquietudine, nervosismo, persino terrore, allora parliamo di “ipercontrollo”.

Forse ne hai sentito parlare in termini di “mania di controllo”, cioè quando pretendiamo di prevenire ciò che è imprevedibile, come il comportamento altrui e le situazioni. In poche parole, il nostro voler controllare tutto non è sano e dovremmo lavorarci sopra per vivere in modo più sereno.

Già mi immagino la reazione… “Chi? Io? Mica ho la mania del controllo!”.

Allora proviamo a descrivere chi ce l’ha:

  • Perde serenità di fronte alle situazioni incerte.
  • Ha sempre paura di commettere errori.
  • Ha difficoltà a gestire lo stress.
  • Sente un bisogno costante di essere rassicurato.
  • Non ha fiducia nelle capacità degli altri.
  • Sente su di sé un eccessivo carico di responsabilità.
  • Proprio non riesce a lasciare al caso neppure il dettaglio più insignificante.

Scommetto che ora dirai: “Oh, cavolo! Sono io!” oppure “Oddio!, assomiglia a mia moglie/marito!” o ancora “Sembra che parli di mia madre/padre… E se fosse davvero così?”.

Togliti alcuni dubbi!

Chi è maniaco del controllo spesso pone eccessiva attenzione al proprio corpo, in termini di alimentazione e cura di sé, oppure ha l’ossessione per l’ordine e la pulizia, nel senso che è terrorizzato da germi, sporco e disordine. Pretende di tenere sotto controllo i figli, il partner e, al lavoro, si dimostra perfezionista e intransigente… Insomma, vive proprio male!

Sì, perché – se sei così – non sopporti le novità, gli imprevisti, e non riesci a delegare, così fai tutto tu ed esaurisci le tue energie.

Dimmi la verità… anche il tuo fisico ne risente, vero?
Sì, perché per avere tutto sotto controllo il corpo è in continua tensione muscolare e si irrigidisce. La conseguenza è un costante senso di stanchezza e spossatezza.

Ti ci ritrovi?
Ti va di migliorare? Già, perché è possibile: non è che si nasce così.
Si può essere predisposti, ma non è genetico. Bella notizia, vero?

Allora inizia da qui:

  • Non censurare le tue emozioni, perché è frustrante. Semmai impara a gestire la rabbia, la tristezza, il senso di colpa.
  • Se la mania di controllo ti procura gravi crisi d’ansia o attacchi di panico, cerca un bravo psicologo/psicoterapeuta per farti curare.
  • Guarda in faccia il tuo sforzo di fare ordine, di prevedere l’imprevedibile, di non farti trovare impreparato: renditi conto che è un bisogno interiore e non c’entra con l’impegno e la responsabilità (perciò… non raccontartela!).
  • Diventa consapevole di esserti chiuso in una gabbia, dove tutto deve andare come vuoi, in modo perfetto; dove tu devi mostrarti impeccabile, indipendente, efficiente, senza che nessuno te l’abbia mai chiesto.
  • Prova ad essere più spontaneo, più “vero”: togli la maschera, almeno un pochino. Nessuno ti giudicherà!
  • Smettila di arrabbiarti per come va il mondo: la politica, l’economia, la società. Domandati: “Cosa posso fare concretamente per cambiare le cose?” e poi fallo. Ma se capisci di non poter intervenire… lascia perdere. Vai oltre!
  • Rompi la routine: ogni tanto cambia qualcosa. Magari scegli un nuovo percorso per andare al lavoro o pranza in un bar diverso dal solito.
  • Se qualcosa va storto, prova a dirti: “Ho commesso un errore” e non “Sono un disastro!”.

E ricorda:
“Tutto quello che non riesci a controllare ti sta insegnando a lasciar andare.”   (Jackson Kiddard)

Non permettere a nessuno di influenzare le tue scelte!

Oggi una giovane 23enne, che lavora come estetista da quando aveva 16 anni, mi ha confidato il suo desiderio di conseguire la maturità per guardare avanti e magari frequentare l’università, non tanto per fare un lavoro diverso, quanto per acculturarsi.
Mi sono brillati subito gli occhi, perché quando “sento” in una persona  il desiderio di conoscere e imparare… il cuore mi batte forte e provo una gioia che mi è impossibile descrivere a parole.
Essendo Coach e anche docente, l’ho subito tempestata di domande. Ha risposto in modo consapevole circa le difficoltà, ma quel “fuoco”, quel desiderio di farcela si avvertiva forte. Così le ho dato qualche dritta su come orientarsi per frequentare il quinto anno e poi la maturità.
Non era spaventata.
Mi ha detto con aria seria:
“Io lo so che posso farcela! Perché quando mi metto in testa una cosa… non mi ferma nessuno!”. Poi però ha aggiunto: “E’ solo che nessuno crede in me! Il mio fidanzato dice che non ha senso e mio padre mi scoraggia, forse perché ha paura che io fallisca”.

Il suo sguardo era cambiato: aveva perso luce.
Gli occhi bassi e un filo di voce: “Se almeno appoggiassero questa mia idea, che non è un capriccio! Invece…”.
Il suo era un dialogo intimo con se stessa… e chissà da quanto tempo lo era.

Credo che sia capitato a molti di trovarsi in una condizione simile.
Certamente  più a “femmine” che a maschi.
E allora parliamone!

Perché quel mancato appoggio, anche se solo psicologico e affettivo, fa male, ferisce, fa sentire poco adeguate e non c’è niente di peggio.

E’ la speranza, il desiderio, l’obiettivo da raggiungere – pure con gran fatica – che tengono alta la motivazione. Ma se si è circondati da familiari, partner e amici che non fanno altro che incutere paura e insinuare dubbi… Beh, la strada da percorrere è ancor più in salita e certamente contro vento.
Qui viene fuori di che stoffa siamo fatti!
Se cioè siamo pronti a camminare contro vento, contro tutti, oppure se siamo così deboli o così incerti da dubitare noi stessi della bellezza (e validità) del nostro progetto e quindi rinunciarci.

Per esperienza posso dire che , se quel “fuoco” ci brucia dentro e abbiamo valutato che non si tratta di un fuoco di paglia né di un salto nel vuoto, allora non dobbiamo ascoltare chi cerca di allontanarci dal nostro obiettivo.

Smettiamola di voler condividere ciò che desideriamo fare con chi – parente o meno – non solo non ci capisce, ma fa di tutto per farci rinunciare.

Parliamo di meno e agiamo di più!

Iniziamo a scrivere ciò che vogliamo  raggiungere e a pensare a tutti i passaggi necessari per ottenere più informazioni possibili.
Teniamo nota di tutto ciò che scopriamo.
Cerchiamo di approfondire più che possiamo, facendo domande alle persone competenti.

Non rinunciamo!

Quando la “luce” finalmente si accende nei nostri occhi… è il momento di essere felici!
E per esserlo, non serve l’approvazione degli altri.

Perciò… seguiamo  la nostra strada!

 

Le emozioni negative non devono impedirci di proseguire dritto verso l’obiettivo.

Oggi vi parlo di un argomento a me caro, poiché legato a “obiettivi e risultati”.
Credo che a tutti nella vita sia capitato di stabilire un obiettivo, perseguirlo per un po’ di tempo e poi abbandonarlo sulla scia di emozioni negative.

Mi ricordo, ad esempio, di un’amica che aveva iniziato una dieta, ponendosi un obiettivo decisamente sfidante, che prevedeva almeno sei/nove mesi di impegno.
Si era rivolta ad una nutrizionista che conosco e che stimo per la grande professionalità e disponibilità.
Be’, era riuscita a superare i mesi più difficili e si diceva molto soddisfatta.

Poi, nel giro di una settimana, ha accumulato stress legato a liti, discussioni e battibecchi con l’ex marito e… ha perso lucidità (e controllo), facendo esattamente ciò che la nutrizionista le aveva detto di evitare.
A quel punto ha attribuito la “colpa” alla nutrizionista e ha abbandonato le prescrizioni per rivolgersi a un nuovo dietologo che le ha promesso miracoli… Sto ancora aspettando di vederli.

E diciamocelo, ce ne sono tantissimi di esempi come questo:

  • Andare dal medico per guarire da un disturbo e smettere la cura “perché non funziona nei tempi che vogliamo noi”;
  • Iscriversi ad un corso di ballo e cambiare più scuole e maestri perché manca il risultato (che arriverebbe se fossimo più costanti e determinati);
  • Cambiare scuola, perché i bei voti tardano ad arrivare (quando magari è lo studio che manca)…

Se avete notato, in questi esempi la “colpa” viene sempre attribuita a qualcuno “fuori da sé”, come a dire: “Io non c’entro, sono perfetto così! E’ l’altro che non è abbastanza bravo o capace!”.

Proviamo allora ad essere sinceri con noi stessi e a domandarci:

“Ho davvero fatto tutto quello che mi è stato indicato per arrivare al risultato che voglio? Oppure ho fatto qualcosa che proprio non dovevo, per cui mi sono demoralizzato e infine ho scelto di lasciar perdere?”.

Bisogna essere onesti con se stessi, tanto più se si tratta di obiettivi delicati, come quelli legati alla relazione con gli altri, magari coi figli o col partner.
Ecco il motivo per cui gli psicologi dicono che non si possa interrompere un percorso così all’improvviso.
Perché

una lite, una discussione o uno scontro possono sì far provare emozioni negative molto intense, ma non devono farci deviare dal nostro percorso, altrimenti tutta la strada percorsa fin lì viene dimenticata.

Bisogna restare lucidi, invece.
Capire che, sebbene terribile, quel diverbio ha avuto un inizio (che noi abbiamo permesso) e una fine. Stop!
Significa che potremo lavorare su quanto accaduto e andare oltre, continuando a seguire la strada che abbiamo tracciato insieme al professionista che abbiamo scelto per la sua serietà e al quale ci siamo affidati con grande fiducia.

Se vuoi trasmettere a tuo figlio di non tenere a lui, lascia che rientri sempre più tardi.

Siamo in piena estate e – Covid o meno – i ragazzi in vacanza o a casa pressano per uscire la sera e soprattutto per rientrare sempre più tardi.

A mezzanotte ormai rientra solo cenerentola… perché gli adolescenti, anche se minorenni, tendono a rientrare tra l’una e le quattro del mattino…

Alcune madri disperate, ma rassegnate, mi hanno detto: “Cerco di stare sveglia ad aspettarlo, ma poi crollo!” oppure “Io e mio marito ci diamo il cambio: un po’ sto sveglia io e un po’ sta sveglio lui, finché nostra figlia non rientra”…

Ma c’è stata una madre che mi ha detto seccata: “Mia figlia non ne vuole sapere di tornare a casa entro mezzanotte, ma perché io non posso godermi il riposo che aspetto tutto l’anno?”.

E l’obiettivo è proprio questo: essere felici voi e i vostri figli. Non solo loro.
Non dimenticate che i ragazzi hanno i loro bisogni, ma voi avete i vostri.

Meglio quindi raggiungere un compromesso.
Ad esempio: proponete il coprifuoco a mezzanotte, così vostro figlio chiederà l’una e arriverete a mezzanotte e mezza.

Anche se dovete avere ben chiaro qual è il limite per voi.
Le 3 di notte, onestamente, sono ingiustificate, visto che non vanno a scuola e quindi gli amici possono vederli durante il giorno.

Il concetto è porre un limite che sia utile a salvaguardare la loro sicurezza e incolumità. Quindi una regola educativa, non punitiva.

E se si lamentano che “tutti stanno fuori fino alle 3”, senza polemica né tono seccato, ribadite che – secondo voi – non vi è motivo di stare in giro fino a quell’ora. E non raccogliete le provocazioni, non state a discutere. Il limite è questo. Punto.

Dite: “Non ce l’ho con te, anzi! Ti voglio bene e proprio per questo non trovo sicuro che tu stia in giro fino a tarda notte”.

Non dico che sarà una passeggiata… ma provateci! E fatemi sapere!

Donne, criticare il partner con le amiche non fa bene a voi e nemmeno alla coppia.

Quante di noi, tra donne, non hanno mai ridicolizzato il partner perché non sa mai dove si trovano le cose in casa? Perché non ricorda ciò che gli abbiamo detto due minuti prima? Perché sembra non essere autonomo…?

Ieri ero in un negozio di parrucchiera quando è entrata una donna che conosco di vista: nonna di due bambini a cui bada, età – immagino – 65 anni… magari qualcuno di più, ma molto attiva: spesso alla guida della sua auto o in bici. So chi è il marito, ma li ho visti di rado insieme. Lei arcigna e lui educato e sorridente.

Ad un certo punto, la donna attacca con delle critiche feroci sull’universo maschile.
La parrucchiera ed io inizialmente ridacchiamo più per un senso di solidarietà femminile che per i concetti espressi, ma poi la situazione si fa imbarazzante.

La signora – con tono duro e aria seccata – esclama: “Ah! Per carità! Noi sì siamo autonome, ma loro?! Non sanno neanche trovare i calzini nei loro cassetti! Diciamo la verità: a cosa servono? Sì, vabbè, a fare figli e un po’ di sesso, ma se una donna lavora e non vuole figli… che se ne fa di un marito?!”.

Ero basita.
Basita e a disagio. Niente più sorrisi né risatine. Altro che solidarietà femminile!
Spero che quello della signora sia stato uno sfogo… anche se non ne sono molto convinta.

Ripensando alla feroce osservazione mi domando: Qual è lo scopo?

Sminuire il marito? Calpestare tutti gli uomini? Gridare la sua frustrazione nei confronti del matrimonio? Ribadire in modo femminista la superiorità delle donne?

Qualunque sia il motivo, al suo matrimonio non farà certo bene, perché esprimere critiche così pesanti (senza dubbio riferite al marito) non aiuta la relazione: la uccide.

Ci sono donne, infatti, che si aspettano che la vita di coppia implichi automaticamente la complicità col partner. Credono sia una cosa naturale, ovvia, spontanea. Invece non è così.
La complicità va costruita giorno dopo giorno attraverso l’ascolto attento, la condivisione, l’incontro, il guardarsi e lo stare bene insieme. Non si tratta di idillio, ma di partecipazione, intimità, persino gioco.

La critica separa e allontana dalla complicità.

Criticare l’altro aspramente perché non fa, non dice, non soddisfa le nostre aspettative non lo farà migliorare, ma soltanto allontanare.
Far notare all’altro in malo modo che “non ci arriva”, non lo farà cambiare, ma gli comunicherà tutta la nostra disistima.

Perciò… se qualcosa non ci va bene, se desideriamo tanto che l’altro modifichi un suo comportamento, CHIEDIAMOGLIELO.
Consiglio frasi che comincino così: “Avrei bisogno / necessità…”, “Mi farebbe piacere che tu…”.

Nessun partner è perfetto, neanche il nostro, ma criticarlo con le amiche non solo rende vulnerabile la coppia, ma è anche una mancanza di rispetto.

Se abbiamo scelto di vivere in coppia, allora dobbiamo proteggerla e difenderla: solo così potremo rinnovare quell’energia necessaria a rigenerarla.

Grazie alla mia Coach, la mia vita è ripartita meglio di prima!

Ciao a tutti! Mi chiamo Sara, ho 17 anni e … è la prima volta che parlo di me pubblicamente, perciò spero di non annoiare nessuno.

Molti mesi fa, all’inizio del mio penultimo anno di liceo, erano cambiate molte cose: alcuni prof. a cui mi ero affezionata non c’erano più; in classe era arrivata una nuova compagna molto aggressiva; le mie prime verifiche erano andate male e io ero andata proprio in crisi.

Non so… ero tesa, nervosa, anche demoralizzata, perché non funzionava più niente nella mia vita e le mie amiche mi avevano tagliata fuori, seguendo la nuova compagna, una vera leader, che non mi poteva vedere!

Non è che io sia una tipa super festaiola: ci tengo ad avere buoni voti e per questo esco solo il sabato e/o la domenica… Ma era sempre andata bene alle mie amiche, che erano un po’ come me.

Poi di colpo è cambiato tutto! E io mi sono sentita sempre peggio…
Le mie amiche volevano uscire solo con questa compagna e la sua compagnia di ragazzi un po’ più grandi e io non andavo più bene.

Adesso posso dirlo: soffrivo e mi arrabbiavo per questo. Ma dopo i primi due mesi così… ho cominciato a sentirmi sempre più triste e sola.
I miei genitori mi dicevano: “Esci! Divertiti!”. Ma con chi?
Le mie amiche erano diventate così diverse da me! Sembravano più grandi e io mi sentivo proprio uno schifo vicino a loro.
Ogni volta che le vedevo a scuola ero a disagio; ogni volta che avevo una verifica avevo una paura terribile di sbagliare e quando ero interrogata mi veniva la nausea.
Che brutto periodo!

Poi, grazie ad un’amica dei miei genitori, ho incontrato Laura!

I Miei mi avevano spiegato che non sarebbe stato l’inizio di un percorso, ma solo una sessione di coaching per capire il mio problema e conoscermi. Beh, il fatto di sapere di poter scegliere se proseguire o no mi aveva tolto un po’ di ansia, ma… il miracolo – come dico io – l’ha fatto lei, Laura, col suo sorriso e la sua tranquillità. Mi ha ascoltata davvero… Capivo che lo faceva con grande attenzione e interesse, senza mettermi a disagio, senza giudicarmi.

Alla fine del primo incontro lei era riuscita a fare centro e mi aveva spiegato come avremmo potuto procedere per farmi tornare serena e sicura di me.
Ero così contenta che ho chiesto io di fare il percorso e da lì è cominciata la mia risalita.

Ogni volta non vedevo l’ora di incontrarla, perché capivo qualcosa in più di me, e lei mi trasmetteva una gran forza.
Poi è arrivato il Covid-19 e ho avuto paura di interrompere il mio percorso e di crollare di nuovo.

Invece no! Abbiamo continuato vedendoci a distanza via Skype ed è andata benissimo, perché ho continuato a “crescere” e ad allenare le mie potenzialità.
Grazie alla mia Coach, ho usato così bene il tempo che ho guadagnato davvero voti eccellenti e poi ho ripreso i contatti con le mie amiche.

Per me l’isolamento è stato un momento positivo, perché la mia vita è ripartita.
Laura mi ha sempre tampinata, anche quando non eravamo in sessione.
Non mi sono mai sentita sola e questo mi ha dato forza. Lei è una vera forza! E io spero di diventare tosta come lei… Anche se lei dice che forte lo sono sempre stata, senza nemmeno accorgermene.

Ho imparato tanto e ho “spuntato” parecchi obiettivi.
Ora che sono in vacanza mi guardo indietro e mi sento nuova.

Sento di essere io, quella vera. So che non sarà facile affrontare nuovi problemi… perché ce ne saranno!, ma sento di poterci riuscire.
Ho capito come fare e Laura mi ha regalato tanti strumenti per fare da sola.

Cara Laura, sarai sempre la mia Coach!

Con affetto,
Sara R.

Genitori e nonni, riappropriatevi del vostro fondamentale ruolo educativo.

Stiamo tornando pian piano alla normalità e si nota anche nella gestione delle relazioni familiari. Basta trascorrere una giornata all’aperto in mezzo agli altri per rendersi conto che nulla, proprio nulla è cambiato. Il Covid-19, ad esempio, non ha fatto riscoprire a certi giovani il valore e la gioia di avere ancora in vita i nonni né la fortuna di avere al fianco i genitori… Tutto è rimasto scontato.
Mi riferisco all’atteggiamento di molti figli nei confronti dei genitori e di parecchi nipoti nei confronti dei nonni.
Ora, d’accordo che non siamo più nell’Ottocento e nemmeno nel Novecento, ma vi pare corretto che un bambino si rivolga al genitore o alla nonna con tono arrogante, aggressivo e gesti che farebbero irritare anche un santo?
Smettiamola di giustificare questi comportamenti con la solita frase: “Sono bambini!”, perché poi diventa la giustificazione usata quando diventano adolescenti e poi giovani.

Perché abbiamo così tanta paura di “fare gli adulti”? Di assumerci il ruolo di educatori? Perché dobbiamo mostrarci e comportarci per forza come “compagni di merenda”, complici della scorrettezza dei più piccoli?

Il problema che si pone, infatti, non è “il bambino maleducato”, ma l’adulto che proprio non vuole assumersi la responsabilità (e lo stress) di intervenire, di spiegare, di fermare certi atteggiamenti che, in altre nazioni (ve lo garantisco), non sarebbero tollerati.

Vi faccio degli esempi.

Un padre che, vedendo in casa la figlia dodicenne truccarsi come un’adulta appariscente, commenta con tono scherzoso: “Cos’è questo trucco così pesante? Non ti sembrerebbe il caso di evitare, considerata la tua età?!” e poi la lascia uscire comunque, non ha capito nulla del suo ruolo, che non è solo quello di educare, ma anche di proteggere, perché una ragazzina totalmente inesperta della Vita, che appare come una maggiorenne navigata… be’, va certamente incontro a dei seri rischi.

Gli adulti devono avere ben chiaro quali sono “i paletti” da mettere per segnare i confini entro i quali far muovere i figli. Se non lo fanno… la colpa delle azioni e reazioni dei figli è solo loro.

Non è questione di rigidità, ma di ragionare, riflettere coi figli: comunicare loro il senso delle proprie scelte, ma senza lasciare ai piccoli il potere di cambiarle o rifiutarle.

Non è nemmeno questione di severità, perché per vivere in mezzo agli altri dobbiamo essere capaci di condividere e rispettare regole che non vengono da noi (e che magari nemmeno ci piacciono).

Allora, la nonna che permette alla nipotina di otto anni di trattarla come uno zerbino, non sta dimostrando “pazienza e amore”, ma disinteresse e totale mancanza di dignità.
Non solo, ma crea alla bimba l’illusione di essere onnipotente, di poter maltrattare gli altri (come fa con lei). Cosa farà quando si troverà davanti le regole da rispettare a scuola e nel mondo?

Sapete, credo profondamente nell’educazione ai valori e ai principi che regolano le relazioni con gli altri, nel rispetto della libertà (propria e altrui) e davvero non mi capacito di come un adulto con esperienza possa liberamente scegliere di eludere il suo fondamentale compito.
Nessun cucciolo d’uomo dovrebbe permettersi di trattare un adulto come un coetaneo: significherebbe non aver compreso la differenza di ruoli né la gerarchia. Principi fondamentali che regolano la vita nella società.

Ma questi cuccioli non possono educarsi da soli: hanno bisogno di noi, di adulti responsabili, con le idee chiare su cosa è giusto e cosa no, su quali sono i confini da non oltrepassare.

Un ruolo fondamentale , quello dell’adulto, che deve essere disposto a difendere con convinzione, energia e costanza. Quando tutti gli adulti (genitori, nonni, insegnanti, allenatori, ecc.) interiorizzeranno questa grande verità e si riapproprieranno del loro importante ruolo educativo… allora sì le cose potranno cambiare. Ma fino ad allora…