I figli non nascono razzisti: lo diventano. Ecco come evitarlo!

Sapete quanti ragazzini dicono “Io non sono razzista”, ma poi preferiscono non stare in banco con un compagno di colore? Quanti evitano di trascorrere l’intervallo con il compagno indiano e quanti non lo inviterebbero mai a casa loro per fare i compiti o giocare insieme?
Tantissimi! Direi la maggior parte.

Secondo voi qual è la motivazione?

Gli esseri umani non nascono razzisti, perciò dobbiamo davvero riflettere.

Se si tengono alla larga da chi non è “uguale” a loro… dobbiamo davvero farci delle domande.

Ascolto spesso da parte di genitori la frase: “Ah, ma io e mio marito non siamo mica razzisti! Non capisco come mai mio figlio non voglia stare in banco con il tal dei tali!” (che guarda caso è straniero).
Poi, durante momenti di dibattito in classe,

il ragazzino esce con frasi del tipo: “Ci rubano il lavoro”, “Sì, ce ne sono anche di buoni, ma la maggior parte sono delinquenti”, “Vengono qui e pretendono tutto”.

Lo so, sono le solite frasi fatte, ma… da qualche parte le avranno pur ascoltate.

Credo che oggi più che mai si debbano educare i figli a saper distinguere il bene dal male, il vero dal falso, l’onesto dal disonesto, il giusto dall’ingiusto, l’apparenza dalla verità.

Quando parlo ai ragazzi, amo sottolineare che

“veniamo tutti dallo stesso stampo: quello umano”

e li guido a immaginare che è come se qualcuno prendesse uno stampo (tipo la “formina per giocare con la sabbia”) e riproducesse tante figure per poi abbellirle, dipingendole di colori diversi, curando i dettagli in modo da avere “stampi originalissimi” (con colori di occhi e capelli diversi).

La diversità può davvero essere una ricchezza, perché accogliere senza paura chi è diverso da te è un modo per allenarsi ad avere una mente aperta, libera da pregiudizi e catene.

In un documentario legato all’Intercultura mi ha colpita una frase molto bella:

“Siamo tutti ospiti su questa Terra”

ed è profondamente vero.
Non possediamo la Terra: oggi viviamo in un posto e domani potrebbe capitare di vivere in un altro. E ai ragazzi d’oggi è possibile che succeda.
Dunque, cresciamoli “aperti” al mondo, facendo loro capire cosa c’è di buono.

E come possiamo fare?

  • Prendiamoci un lungo momento di riflessione con noi stessi, per analizzare ciò che finora abbiamo detto davanti ai figli: commenti, giudizi che sono “scappati fuori” di fronte a certe notizie dei TG.
  • Scegliamo (coinvolgendo anche il partner) che cosa dire davanti ai figli e che cosa censurare, perché frutto di uno sfogo, di una reazione a caldo, di una arrabbiatura.
  • Avviciniamo i figli a nuove culture, magari partendo con l’assaggiare sapori diversi (non solo quelli “di moda” come il sushi).
  • Cerchiamo letture che raccontino le storie vere di bambini che hanno rischiato la vita per salvarsela (ce ne sono tantissime). Leggiamo queste storie ad alta voce, insieme a loro e al resto della famiglia, commentando e riflettendo.
  • Guardiamo film che parlino di paesi lontani e di culture diverse. Film di storie vere a lieto fine, dove i giovani protagonisti superano ostacoli inimmaginabili per noi pur di poter studiare, di ricongiungersi alla loro famiglia, di vivere in un paese senza la guerra.

Iniziamo così: in modo semplice e a costo zero.
E in futuro, se le nostre finanze lo permetteranno, potremo anche fare un viaggio all’estero autogestito o mandare nostro figlio a fare un’esperienza formativa all’estero, anche se solo per una o due settimane. Qualcosa che lo avvicini a chi è diverso da lui.
Perciò… niente resort di lusso o college esclusivi…
Ma questo… chi vuole conoscere veramente il mondo, lo sa già.

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