Rivalutiamo il “senso del dovere” e trasmettiamolo ai figli.

Oggi parliamo di qualcosa che “scarseggia”: il senso del dovere.

Se ci pensate bene, tutti parlano di “diritti”, ma dei “doveri”?

Sono tanti gli esempi quotidiani di chi cerca scappatoie di fronte a ciò che non gli piace e che gli pesa: dal collega che non vuole occuparsi di una pratica e fa in modo che ricada su qualcun altro, al genitore che non vuole stressarsi a ripetere sempre le buone norme di comportamento ai figli e poi dà la colpa alla società o alla scuola per la maleducazione dei giovani.
E le giustificazioni al disimpegno si sprecano: “Non ho avuto tempo”, “Mio figlio non mi ascolta”, “I miei figli sono più contenti se a teatro ci vanno con la scuola, piuttosto che con me e mia moglie”.

Il fatto è che questa mancanza del “senso del dovere” in tanti adulti, poi si rispecchia nei ragazzi ed ecco lo scopo di questo articolo: rivalutare il “senso del dovere” e trasmetterlo ai figli.

Andare a scuola, studiare, impegnarsi per essere promossi fanno tutti parte del “senso del dovere”.
Non c’è altra spiegazione: “Figlio mio, lo devi fare, anche se ti pesa e al momento non ne capisci il motivo”.

Già le immagino le osservazioni di alcuni genitori: “Ma così è un’imposizione! E allora… tutti i discorsi sul dialogo, la comprensione?”.

Il fatto è che non si può trovare sempre una spiegazione a tutto.

Voi genitori andate a lavorare perché “lo dovete fare”, per senso di responsabilità nei confronti dei vostri figli, per mantenere la vostra famiglia. Perciò, se i vostri figli non capiscono ancora il motivo per cui “devono” studiare… pazienza! Non servono tanti discorsi (visto che non li comprenderebbero).

Il concetto è che “hanno l’obbligo di studiare” perché così ha stabilito la legge (non voi).

Oggi, purtroppo, impera il “piacere”, la fuga da tutto ciò che pesa sulle spalle come un macigno (come le responsabilità).
Al contrario, essere diligenti, ubbidienti non va più di moda, anzi!
I ragazzi che studiano e s’impegnano vengono derisi, presi in giro dai coetanei.
Non avete idea di quanti ragazzini, ottenendo un eccellente voto, si giustificano con i compagni dicendo una bugia: “Ah! Pensa che non ho studiato niente!”. Appunto perché studiare, cioè fare il proprio dovere, oggi è motivo di esclusione: non va di moda, non ti rende “figo”!

Ma chi ha diffuso questa pseudo-filosofia?

Forse è colpa dell’aver associato – tanto tempo fa – il senso del dovere all’ansia e allo stress che derivano dal mirare sempre all’eccellenza.

In realtà, il “dovere” riguarda sia il rispetto delle regole per vivere bene insieme agli altri, sia lo sviluppo di noi stessi in termini di abilità, crescita personale, ecc.
Quindi in senso positivo e non negativo, come vogliono farci credere.

E come faccio a trasmettere il senso del dovere ai miei figli?

Sicuramente con l’esempio!

E se non bastasse?

Comportarsi come dittatori, in modo autoritario, non porta ad alcun buon risultato. Stessa cosa se si adotta il permissivismo sfrenato (della serie “comandano i figli”).

L’ideale è “essere autorevoli”, cioè guidare i propri figli tenendo conto che AFFETTO e RIMPROVERI hanno uguale importanza.

I figli hanno bisogno di regole chiare, precise da rispettare e tocca a noi dare il buon esempio.
Perciò, non chiedete ai vostri figli di rispettare regole/doveri che voi per primi non rispettate, perché apparireste subito incoerenti e quindi poco credibili.
… Se come adulti siamo soliti buttare per terra il mozzicone di sigaretta, non possiamo pretendere che i nostri figli non ci buttino la carta delle caramelle… E non ditemi che “sono due cose diverse”, perché il gesto è lo stesso.

OK, ma se mio figlio è ancora piccolo, come faccio a trasmettergli il senso del dovere?

Bisogna scegliere quali “doveri” trasmettergli a seconda dell’età, perché lo scopo è che possa assimilarli, farli propri.

Faccio degli esempi, partendo da “piccoli” doveri:
– Apparecchiare e sparecchiare
– Mettere in ordine la propria stanza (o i giochi, dopo averli usati)
– Preparare la cartella per l’indomani
– Fare i compiti e studiare ogni giorno
– Lavarsi i denti dopo ogni pasto e sicuramente prima di andare a dormire…

Sì, fantastico! Ma se mio figlio non vuole farlo?

Urlare non serve a nulla. Meglio stare calmi, ma imporsi di essere fermi sulla regola/dovere.
L’arma vincente è la comprensione… a parole… Ma la fermezza sulla regola.
Faccio un esempio: di fronte a un figlio che non vuole andare a dormire perché preferisce giocare fino a tardi (ben sapendo che la regola è un’altra), rispondo: “Capisco che tu sia arrabbiato, ma è ora di andare a dormire. Potrai continuare domani a giocare. Non adesso” e lo mando a letto, anche se protesta. In fondo è anche una questione di salute dormire le giuste ore!

Quindi, cari genitori, trasmettete il senso del dovere e non cedete sulle regole importanti: quando saranno adulti, i vostri figli ve ne saranno grati!

Cari genitori, se vostro figlio è maleducato, la colpa è solo vostra!

Oggi parliamo di “parolacce” e dell’uso smisurato e non necessario che ne facciamo, salvo poi rimproverare i ragazzi che le dicono e bollarli come “maleducati”.
E’ stato scritto parecchio sull’uso “terapeutico” della parolaccia e non starò certo qui a ripeterlo. Che la parolaccia, se usata al momento opportuno, è liberatoria… l’abbiamo sperimentato un po’ tutti.

Tuttavia oggi siamo di fronte ad un abuso di queste parole volgari: il noto Sgarbi ci ha fatto i soldi, insultando gli altri a parolacce.

E che dire delle espressioni “colorite” utilizzate in casa da molti genitori, rivolte ai figli o usate come intercalare?
Un tale “allenamento” ad usarle, da diventare inconsapevoli del loro utilizzo e… farsele scappare anche durante colloqui scolastici con i professori… come fosse la normalità.
Sempre più spesso sento genitori esprimersi con parole o espressioni volgari.
Gli stessi genitori che poi vedo stupiti, scioccati, quando vengono convocati per tutte le parolacce che il figlio utilizza in ambiente scolastico.

La parolaccia non è il demonio, ma usarla quando non è necessaria, porta certamente ad un degrado.

Il bimbetto di cinque anni che dice “Pu**ana” alla mamma, col sorrisetto sulle labbra, NON è divertente e non fa ridere!
La ragazzetta undicenne che risponde a una compagna “Che c***o vuoi?!” non è in preda ad un attacco di ribellione adolescenziale!
Il ragazzo che, ridendo, risponde al padre: “Non mi rompere i co****ni” , non ha capito qual è la “gerarchia” (anche se è una parola che non mi piace).

Stiamo sottovalutando il problema. Lo stiamo addirittura banalizzando.
Ma immagino quanti leggeranno e muoveranno un sorrisetto di compatimento, pensando “che esagerazione!”.

Eppure basta ascoltare le lamentele dei genitori per rendersi conto che usare e permettere l’uso delle parolacce in casa porta pian piano ad una mancanza di rispetto.
Se tollero che mio figlio mi risponda (o commenti quanto gli dico) con parolacce, mi sono giocato il suo rispetto.
Certo che – se il primo ad usarle “simpaticamente” nei suoi confronti sono io – non posso pretendere che lui si rivolga a me senza usarle, perché i ragazzi fanno presto a dire: “Eh, ma lo fai tu! Perciò lo faccio anch’io!”. E come dar loro torto?!

Cari genitori, non possiamo pretendere un linguaggio rispettoso se non lo usiamo noi adulti per primi.

Sento spesso dire: “E’ colpa della società”.
Signori, ma la società siamo noi! Ciascuno di noi!
E se ciascuno facesse la sua parte, si sforzasse di essere più educato, più rispettoso… i ragazzi – automaticamente – farebbero lo stesso.

Non è mai troppo tardi, anche se i figli sono ormai grandicelli. Basta essere onesti con loro e ammettere di aver sbagliato per primi nell’aver usato le parolacce e chiedere a tutta la famiglia di impegnarsi a non dirle più. Non sarà una passeggiata, certo.

Ma si può sempre cambiare e migliorare.

Se invece preferite non fare questa fatica, se pensate che il rispetto sia slegato dall’utilizzo delle parolacce… fate pure.
Continuate così.
A me – non so perché – viene in mente solo il titolo di un articolo che ho letto e che recitava così: “Cari genitori, se i vostri figli sono maleducati, la colpa è solo vostra!”.

Istruzioni per… essere un buon genitore!

Una delle domande più frequenti che si pongono i genitori in attesa è “sarò capace di essere un buon genitore?”.
L’istinto purtroppo non basta.
Perciò è meglio informarsi e magari seguire alcuni suggerimenti, in modo da placare ansie, dubbi e preoccupazioni. Purtroppo i figli non arrivano col manuale delle istruzioni!

Perciò… che tu sia prossimo a diventare genitore o che tu abbia già figli – piccoli o addirittura adolescenti – ecco alcuni buoni consigli!

1) Diventa un buon modello!
Non finirò mai di dirlo: i figli, di qualsiasi età, imparano da noi, imitandoci.
Perciò, insegnagli a distinguere ciò che è bene da ciò che è male; sii amorevole, empatico, positivo e porta loro il rispetto che vuoi per te.

2) Prenditi cura di te!
Significa che se sei troppo stanco, stressato, assonnato non puoi prenderti correttamente cura di un bambino.
Perciò, fai in modo di mangiare sano, bere liquidi e riposare.
E se riesci, per un’ora alla settimana cerca di dedicarti ad uno sport o ad una attività che ti piace: fai in modo di svolgerla fuori casa e senza tuo figlio, in modo da “staccare la spina”.

3) Sii organizzato!
Un genitore organizzato trasmette sicurezza e i bambini placano le loro ansie, se sanno com’è organizzata la giornata.
Perciò stabilisci degli orari fissi per cenare, andare a letto e definisci anche il tempo del gioco (che sia fuori casa o davanti ad un pc o sullo smartphone).
Tuo figlio deve conoscere questi orari e ciò che lo aspetta di giorno in giorno (come la visita dal dentista, lo sport, ecc.).
Assegna a tuo figlio un piccolo “dovere” (come rifarsi il letto o apparecchiare), perché tutti in famiglia ne hanno. In questo modo lo preparerai anche alla vita fuori casa.

4) Dai amore e abbracci!
Tuo figlio ha bisogno di sentire che lo ami tutti i giorni, perciò fagli sapere che è importante per te.
Mostragli il tuo amore, anche con un abbraccio: lo aiuterà ad accrescere la sua autostima e ad imparare ad amare gli altri.

5)Ascolta e comunica!
Sii un buon ascoltatore, in modo che tuo figlio sappia di poterti parlare sempre di qualsiasi cosa.
Se saprai ascoltare, è probabile che anche tuo figlio svilupperà questa qualità.
Se è già adolescente, affronta argomenti delicati come la droga, l’abuso di alcool, la guida spericolata, in modo che diventi consapevole delle conseguenze.
Parlagli dei veri amici e insegnagli a distinguerli dai falsi amici.
E quando comunichi con lui, usa un tono pacato, non urlare!
Altrimenti tuo figlio si chiuderà e non ascolterà più nulla di ciò che gli dirai.

5) Scegli le battaglie da combattere!
Non impuntarti su qualsiasi cosa: controlla che tuo figlio non faccia del male a sé o agli altri (in questo caso intervieni in modo fermo), ma se sbaglia qualcosa senza rendersene conto, non punirlo, ma dialoga con lui.

6) Sii positivo!
I figli amano essere lodati dai propri genitori, ma tu fallo senza esagerare, cioè quando ve n’è motivo.
Dimostragli di essere soddisfatto di lui, ma se desideri spronarlo a fare meglio, non dirgli: “Sono contento che tu abbia vinto la partita, MA potresti schiacciare meglio quella palla!”.
Prova invece così: “Sono contento per la vittoria! Ti va se il prossimo sabato lavoriamo sulle tue schiacciate?”.
Questo incoraggia tuo figlio ad avere una migliore immagine di sé, piuttosto che deprimerlo.

7) Metti dei limiti!
Stabilisci dei limiti per i tuoi figli e falli rispettare.
Loro proveranno a scavalcarli per avere più libertà.
Talvolta i bambini fanno fatica a capire che i limiti sono imposti per il loro bene, perciò parlagliene: cerca di farti capire, usa degli esempi concreti.

8) Lascia che prenda coscienza dei suoi errori!
Se tuo figlio commette un errore, aiutalo a pensare a come affrontarlo.
Così favorirai la sua capacità di problem solving e lo aiuterai a diventare più responsabile.

9) Lascia che sia indipendente!
Magari per te è difficile restare a guardare, mentre tuo figlio di tre anni insiste per vestirsi da solo con abbinamenti orribili o stravaganti.  Ma lasciaglielo fare (entro limiti ragionevoli)!
Se lui imparerà a fare da solo, tu sarai un po’ meno stressato!

10) Organizza delle uscite con la tua famiglia!
Ci sono tante cose da vedere e da vivere: musei, gite in mezzo alla natura per imparare a identificare le piante, gli alberi e i fiori, uscite al parco, in bicicletta, a cercare funghi o castagne, a giocare con la neve…
In questo modo trascorrerai del tempo con tuo figlio e contemporaneamente gli insegnerai qualcosa.

11) Leggi per lui!
Se hai un bimbo piccolo, finire la tua giornata leggendo qualcosa a tuo figlio, gli dimostra quanto tieni a lui e al tempo trascorso insieme. E’ un momento molto intimo, che ti connette a tuo figlio e gli trasmette inoltre il desiderio, un domani, di leggere.

Ora sai in quanti modi puoi diventare un genitore speciale…
Forza! Non ti resta che provare!

Cari Genitori, urlare non serve: ci vuole un piano educativo.

Chi è nato negli anni ’60 quasi certamente avrà avuto genitori piuttosto autoritari che non lo iperproteggevano né accontentavano in tutto. Le regole erano ben chiare e venivano fatte rispettare in modo rigido e intransigente.
I genitori raramente chiedevano scusa per i loro sbagli e i figli, finché vivevano in casa dei genitori, dovevano adeguarsi. Regole, educazione e ordini stavano alla base della crescita dei figli.
Oggi pensare a questo tipo di educazione fa un po’ rabbrividire (sebbene tutti i figli di allora siano sopravvissuti).
Tuttavia, come ben notiamo, il modello educativo che ha sostituito quello degli attuali nonni non è certo migliore né ha prodotto risultati migliori.

Siamo passati dall’autoritarismo al totale permissivismo e mi trovo d’accordo con Daniele Novara, pedagogista, nel sottolineare che la causa è la mancanza di un progetto educativo chiaro e condiviso.

La maggior parte dei genitori di oggi NON ha idea di quali regole dare né di come fare a farle rispettare.
Manca una vera e propria organizzazione e si guidano i figli sull’onda delle emozioni.
Mi viene in mente una conoscente che è solita urlare alla figlia adolescente frasi umilianti  per poi – un’ora dopo – cercarla e abbracciarla come se nulla fosse accaduto.
Niente di più deleterio!

Per crescere sani, passatemi il termine, ci vogliono regole chiare e soprattutto condivise da entrambi i genitori.

Se la madre dice al figlio di rimettere a posto i giochi e il papà commenta: “Ma non fa niente! Che importa!” vanifica tutti gli sforzi della moglie e ottiene che la moglie si infurierà e il figlio si farà l’idea che “papà è buono e mamma cattiva”, senza capire che mettere in ordine i giochi crea una positiva routine.

Oggi abbiamo genitori che “fanno gli amici”, si mettono sullo stesso piano dei figli, li coinvolgono in argomenti riservati agli adulti e li trattano come dei piccoli principi, permettendo loro di “comandare”.

Questo genera nei figli una grande confusione di ruoli. Chi è il genitore? Chi deve stabilire le regole?

Una 28enne, che ho seguito con il Coaching, mi ha confessato che da adolescente invidiava le amiche a cui i genitori imponevano orari di rientro a casa la sera, perché “si capiva che ci tenevano”. A lei non erano mai stati dati “perché a loro non importava nulla di me” diceva.

Quindi SERVONO REGOLE.
La spontaneità e l’improvvisazione in campo educativo vanno bandite, perché bisogna riflettere sulle regole da dare e farle rispettare in modo coerente.

LA REGOLA NON E’ SINONIMO DI COMANDO.

Come precisa Novara, il comando è: “Stai seduto!”, mentre la regola educativa è: “A tavola si mangia seduti” .
La regola deve essere qualcosa di impersonale e oggettivo. Occorre evitare i comandi e stabilire regole oggettive:  come si mangia a tavola; l’orario in cui si va a dormire; il tempo per fare i compiti; l’ora di rientro alla sera”.

Ovviamente, nel DECIDERE QUALI REGOLE DARE AI PROPRI FIGLI è importante essere d’accordo col partner e chiedersi – come suggerisce Novara – se e in che modo una regola è UTILE ALLA CRESCITA dei propri figli.
Dietro a tutto ci deve sempre essere un intento pedagogico.

E COSA C’ENTRANO LE URLA?
C’entrano, perché di fronte a un figlio disubbidiente, i genitori permissivi vanno in crisi e non sanno più cosa fare, perciò… URLANO!
E il figlio non capisce.
Non serve fare lunghi discorsi, ma è utile essere chiari nella spiegazione e trovare soluzioni semplici, come fargli preparare la cartella la sera prima se ci si è accorti che il proprio figlio dimentica spesso a casa astuccio o quaderni.

In tutto questo, IL RUOLO DEI PAPA’ è FONDAMENTALE.

Siamo onesti: oggi i papà si defilano spesso, demandano alle mamme o diventano “mamme tenere” a loro volta.
Così i bambini hanno due madri –  figure protettive – e nessun papà.
Ma il ruolo del padre è diverso. Deve esserlo.
E’ lui a dover trasmettere quella giusta spinta a “fare esperienza”, a misurarsi con ciò che non si conosce, a trovare il coraggio di affrontare le difficoltà.
Novara infatti spiega: “Il padre che consente al figlio di fare da solo mette le basi perché il figlio, una volta cresciuto, se la sappia cavare nella vita”.
E’ il papà quindi a dover affiancare il figlio per fargli “sentire” che ce la farà.
E questo, insieme all’accudimento della madre, farà crescere il “cucciolo” sicuro di sé e delle proprie capacità… senza il ricorso a urla e strilli.

Vuoi smettere di urlare contro tuo figlio? Lavora su di te!

Sono molti i genitori che utilizzano gli strilli per comunicare coi figli.
Se siete tra questi, vorrei farvi una domanda: “PERCHÉ URLATE”?

Vi siete mai chiesti perché utilizzate questa modalità?
Forse la usavano con voi i vostri genitori? Forse state scaricando il vostro stress o la vostra frustrazione o la vostra stanchezza?

“Urlare” non è la soluzione e spesso non porta al risultato che speravate.
Dunque il primo passo è capire il motivo per cui gridate. Provate a pensarci e annotatevi le risposte.
Considerate, ad esempio, che quando urlate a vostro figlio che “è disordinato e la sua camera è un porcile”, NON GLI STATE INSEGNANDO NULLA: lo state semplicemente giudicando e criticando.

Molti genitori strillano perché, mentre stanno facendo più cose insieme (come guidare e parlare al telefono in vivavoce) i figli li interrompono con l’ennesima richiesta, ma di esempi ce ne sarebbero davvero molti e di questo e molto altro parla Rona Renner nel suo libro “Smettere di urlare è facile”.

Urlare contro i figli CREA PROBLEMI NELLA RELAZIONE e non fa bene nemmeno ai genitori, visto che il battito cardiaco accelera e la muscolatura si contrae.
Se lo scopo è insegnare ai figli qualcosa di importante, gridare non è necessario: molto più utile è RISPONDERE IN MODO FERMO, CALMO e piantare dei paletti.
Se vostra figlia sta giocando felice sul pavimento e voi le dite: “E’ ora di vestirsi e andare a scuola. So che ti piace giocare, ma il tempo è finito” e lei non fa una piega, proseguite con tono fermo (ma non rabbioso né minaccioso): “Se oggi arrivi tardi a scuola, non giocherai nel pomeriggio. Ti vesti da sola o vuoi che ti aiuti?”.
In questo modo – spiega la Renner – le state insegnando l’importanza della routine mattutina. E, visto il vostro tono calmo e fermo, lei sarà più propensa ad ascoltarvi.

URLARE SPAVENTA I BAMBINI, MA NON LI EDUCA.

Allora non bisogna urlare mai?
Al contrario, in certe situazioni è necessario.
Lanciare un urlo, ad esempio, è fondamentale quando vogliamo evitare una tragedia (pensate ad un figlio che sta per attraversare la strada senza notare l’auto in arrivo).

Per il resto, urlare può avere CONSEGUENZE SULLA CRESCITA dei propri figli ed è il caso di tenerne conto.
E’ infatti probabile che i figli – crescendo con le urla e i comandi – manifestino COMPORTAMENTI AGGRESSIVI (verbali e fisici) o che fatichino ad essere empatici nei confronti degli altri bambini.
In loro potrebbe aumentare la RABBIA. Una rabbia che poi esploderà durante l’adolescenza, come attestano alcune ricerche.

Alcune mamme sensibili che conosco ora esclameranno: “Oddio! Allora HO ROVINATO MIO FIGLIO!”.

State tranquille e LAVORATE SU DI VOI:
– come siete cresciute
– quali sono le vere cause che vi spingono a urlare
– quali reazioni hanno i vostri figli alle urla
– come vi sentite voi dopo aver urlato…

Annotatevi tutte le riflessioni SU UN QUADERNO, perché saranno quelle a RENDERVI CONSAPEVOLI di chi siete e del perché reagite in quel modo.
Chiedetevi poi se SIETE ARRABBIATE DAVVERO CON I VOSTRI FIGLI oppure con altri… magari con voi stesse o con il partner.

Vi faccio un classico esempio:
se una mamma è stanca, non vede l’ora di andare a dormire e il marito se ne sta tranquillo sul divano a guardare la tv o a giocare alla Play mentre lei impazzisce per mettere a letto i figli, le urla che lei scarica sui bimbi in realtà sono rivolte al partner ed esprimono tutta la sua rabbia nel non sentirsi sostenuta né aiutata.

Un ESERCIZIO UTILE dopo una urlata, quindi, è annotarsi che cosa l’ha realmente scatenata.

E fondamentale è capire CHE TIPO DI FIGLIO AVETE e di che cosa aveva BISOGNO nell’attirare la vostra attenzione: voleva essere abbracciato, coccolato, ascoltato, limitato o contenuto?
Non dimenticate anche l’età di vostro figlio, perché a 4 anni magari vuole essere coccolato, ma se è adolescente è probabile che voglia misurare (con il suo modo di esasperarvi) quanto lo amate.
Non dimenticate infine che smettere di urlare non significa bandire le regole, anzi!

LE REGOLE spettano a voi, che DOVETE STABILIRLE e farle rispettare.

Avere un rapporto sereno coi figli, nonostante lo stress del lavoro, è importante e a questo scopo la Renner consiglia di:
– Comunicare in modo chiaro e semplice quali sono le regole da seguire.
– Stabilire delle conseguenze nel caso non si rispettino le regole (se in casa non si deve giocare a palla e vostro figlio lo fa e non vuole smettere, portategli via la palla. Meglio agire che stare a discutere).
Essere in sintonia col proprio figlio, facendogli sentire il vostro amore, dedicandogli del tempo, ascoltandolo, giocando con lui.

Prossimamente approfondiremo altri aspetti su questo argomento delle “urla”.

Non mancate di leggerli e di farmi avere le vostre riflessioni.

Dormire non è un optional

Le vacanze stanno terminando anche per i ragazzi e la domanda che dovremmo farci è: “Come faranno a riprendere il ritmo, fatto spesso di levatacce alle 6.30 o alle 7 del mattino, se durante l’estate abbiamo concesso loro di stare fuori fino a mezzanotte e mezza oppure all’una?”.
Sarà certamente durissima sia per loro sia per voi. Senza contare che gli insegnanti si troveranno a fare il loro lavoro con degli zombie, che al posto di apprendere, sbadiglieranno almeno per le prime due ore.

Il discorso del SONNO non è certo una banalità e dobbiamo stare attenti alle giustificazioni del tipo: “Vabbé, sono ragazzi! Recuperano in fretta!”, perché medici e ricercatori esperti dell’American Academy of Sleep Medicine hanno sottolineato che per una crescita sana i ragazzi tra gli 11 e i 18 anni dovrebbero dormire circa 8-10 ore.

E’ ovvio che gli adolescenti che riposano le giuste ore siano più attivi, più concentrati, più lucidi e quindi positivi. Ma ciò riguarda anche i bambini al di sotto degli 11 anni, perché – quando sono più riposati – sono pronti ad apprendere e ad assimilare meglio tutto ciò che viene spiegato loro a scuola.
Non solo: pensate alla fatica che facciamo quando dobbiamo riflettere per prendere una decisione.
Ecco, dormire 8 ore serve ai ragazzi anche a questo: a risolvere i piccoli problemi quotidiani senza delegarli a voi genitori e a prendere la decisione giusta, dopo aver valutato tra le varie opportunità.

Prendo spunto da Sleepeducation.org , per darvi qualche dritta su cosa fare per crescere in modo sano i vostri figli adolescenti (e vivere più in forma anche voi):

  • calcolate  che abbiano 8 ore di sonno consecutive e non fateli sgarrare (perciò stabilite l’ora in cui dovranno andare a dormire e quella in cui far suonare la sveglia);
  • è molto utile che inizino a prepararsi al sonno con mezz’ora di anticipo rispetto a quando si infileranno sotto le coperte (potete puntare un timer di 30 minuti entro i quali dovranno lavarsi i denti, indossare il pigiama, preparare la cartella e gli abiti per la mattina seguente, spegnere cellulare, pc…);
  • è fondamentale che si preparino al sonno spegnendo TV, tablet, cellulari, pc;
  • controllate quindi più volte che i vostri figli non chattino quando sono a letto, perché utilizzare pc, tablet e cellulare può togliere loro il sonno.

E se i ragazzi dovessero rifiutarsi di seguire queste buone pratiche, non abbiate timore di imporvi. Ricordatevi che gli adulti siete voi e che, se imponete certe regole, è per il loro bene e la loro salute.
Siete dunque autorizzati a togliere loro il cellulare e il tablet  fino al mattino, se volete essere certi che non li useranno appena sarete usciti dalla stanza. Ne faranno una tragedia all’inizio, ma poi si abitueranno e il loro sonno avrà una qualità migliore.
Se pensate di trovare le parole e il tono giusti, potete provare anche a condividere con loro il vostro pensiero sull’argomento, portando prove che supportino le vostre decisioni, ma se i vostri figli non ne vogliono sapere, PONETE DEI LIMITI e non sentitevi in colpa. Vi ringrazieranno quando saranno più grandi.

E se avete figli al di sotto degli 11 anni?

Il Journal of Clinical Sleep Medicine, già nel 2016, sottolineava che “bambini e adolescenti dormono poco” e i rischi per la salute non vanno sottovalutati, visto che si parla di obesità, diabete, depressione e autolesionismo.
Ma allora, quante ore dovrebbero dormire i nostri figli per godere di una salute ottimale?

Ecco le raccomandazioni dell’American Academy of Sleep Medicine che differenzia le ore di sonno in base all’età:

  • Età 4-12 mesi: da 12 a 16 ore su 24 ore (compresi i sonnellini)
  • Età 1 – 2 anni: da 11 a 14 ore di sonno al giorno
  • Età 3 – 5 anni: da 10 a 13 ore di sonno
  • Età 6 – 12 anni: da 9 a 12 ore di sonno
  • Età 13 – 18 anni: da 8 a 10 ore per notte

Per concludere dobbiamo aggiungere altre precisazioni:

  • Prima dei 4 mesi non ci sono raccomandazioni da fare, perché in quel periodo il sonno dei neonati è influenzato da molti fattori.
  • Sulle altre fasce d’età è bene che teniate monitorato il sonno dei vostri figli e se notate che dormono troppo poco o in modo eccessivo, rivolgetevi al vostro medico per una eventuale diagnosi di disturbo del sonno.
  • Non dimenticate che un sonno sano richiede una durata adeguata, tempi appropriati, buona qualità, regolarità e assenza di disturbi del sonno o disturbi di altro genere.
  • E’ evidente che il sonno di ciascuno sia influenzato da fattori genetici, comportamentali, medici e ambientali di cui bisogna tener conto.