La convivenza con figli adolescenti ai tempi del Covid19.

La scuola è chiusa dal 23 febbraio… Un mese ormai.

La felicità che questo virus aveva regalato inizialmente ai nostri ragazzi, che potevano godere di giornate soleggiate senza compiti né lezioni per stare tutto il giorno al parco con gli amici, ha lasciato spazio all’irritazione, al nervosismo, alla frustrazione… Persino all’ansia e allo stress.

Gli adolescenti, abituati a vivere una sorta di vita parallela a quella della loro famiglia, si ritrovano chiusi in casa, a dover seguire ore di video-lezioni in aule virtuali che, chiamate così hanno un non so che di avveniristico, ma in pratica sono piccoli o grandi spazi della loro casa in cui non si sentono davvero liberi di essere se stessi come in classe, perché i compagni non ci sono e manca l’occhiata complice, il messaggio scritto di fretta sul diario aperto, le risate in diretta e le imitazioni dei prof.

Non solo.

Manca quella vicinanza fisica che per gli adolescenti è fondamentale.

Penso alle amiche che si confidano e poi si abbracciano; agli innamorati che si tengono per mano e si baciano teneramente; ai compagni di scuola a cui si tirano i “coppini” durante l’intervallo…

E’ solo un mese, ma a molti ragazzi sembra un’eternità.
E la cosa peggiore è che non c’è una “scadenza”… Sì, insomma, come quella sulle confezioni, che non può essere posticipata. Quella sì è una certezza.
Ma di certezze non ne hanno gli adulti, figuriamoci i ragazzi che vivono tutto amplificato.
Basta un messaggio su Whatsapp mal compreso che scoppia la tragedia!
E il rischio è alto in questo senso, perché è raro trovare chi padroneggia così bene la lingua italiana da scrivere in modo inequivocabile ciò che gli passa per la testa…

E ai ragazzi ne passano davvero tanti di pensieri!

C’è chi, avendo avuto insufficienze nel primo quadrimestre, teme di non poter più rimediare;
chi aveva già fissata la data della discussione di laurea e ora non sa più quando sarà;
chi aveva un elenco di esami programmati, che ora sono stati sospesi.
Una ragazza universitaria, in un momento di sfogo, mi dice: “Sì, ho molto più tempo, ma vivo nell’incertezza e non so più cosa fare!”.

Ecco il nocciolo: l’incertezza.

I ragazzi si fanno mille domande: la scuola riprenderà? Potrò rivedere i miei amici? Potrò riabbracciare il mio ragazzo/a? Potrò riprendere ad allenarmi? Potrò andare in vacanza?…

Le risposte però mancano e non serve chiedere agli adulti, perché l’incertezza è condivisa.
Forse è la prima volta che figli e genitori sono d’accordo su qualcosa: provano le stesse emozioni di paura, di speranza, e si sforzano di trovare un senso alle loro giornate sempre più ripetitive.

Tutti in famiglia sperimentano la convivenza “h.24” e non è tutto rose e fiori come nei film.
Sì, ci sono giornate buone e altre molto meno.
Secondo i ragazzi manca del tutto la privacy…
E non importa se hanno una camera tutta per sé…
Il “nemico” è in agguato! Il genitore ascolta.
Loro lo avvertono.
E su questo non hanno proprio torto.
Quante volte gli adulti – approfittando di questa “clausura” – origliano o sbirciano attraverso la porta? Magari quando i ragazzi stanno facendo la video-lezione, per spiare la prof. che spiega, o per vedere che cosa si raccontano con gli amici nelle video-chiamate…

Molti genitori relegati in casa non vedono l’ora di tornare al lavoro fuori casa, ma questo vale anche per i ragazzi. Uno di questi mi ha detto: “Era meglio andare a scuola che vivere così!”.

… perché gli adolescenti hanno bisogno di stare “nel mondo”, di confrontarsi con gli amici, di sperimentare, di avere un ruolo…
E quello di “figlio” e basta va loro un po’ stretto.

Ecco perché talvolta sono insofferenti.

E allora come possiamo aiutarli?
Come possiamo rendere la nostra e la loro vita di “reclusi” meno pesante?

Certamente accordandoci, che non significa imporre il nostro volere di genitori, ma sederci a un tavolo e ammettere che nessuno potrà più continuare a seguire le vecchie abitudini.

Bisogna coinvolgere i ragazzi: chiedere loro cosa ne pensano, invitarli a trovare soluzioni.

Stabilire insieme, seduti a tavolino, quali nuovi orari dovremo rispettare e quali aiuti dovremo portare alla famiglia. E’ un modo per crescere in modo responsabile.

In questo momento di totale incertezza, i ragazzi hanno bisogno di “certezze”, di punti fermi: la famiglia lo è, se non è soffocante.

E allora perché non partire dalla condivisione dei propri bisogni e desideri?
Esprimerne un paio a testa e chiedere al resto della famiglia di rispettarli?
Metterli persino per iscritto… in bella mostra!

Noi adulti non dobbiamo apparire per forza positivi e sereni se non lo siamo.
Certo, è il caso di evitare sempre di scaricare sui figli preoccupazioni, insoddisfazioni, tensioni.
Ma chi l’ha detto che i figli adolescenti non siano in grado di “capire” i nostri bisogni e le nostre difficoltà? Basta esprimerli nel modo giusto: niente lagne né continui lamenti.

Solo comprendendo i bisogni dell’altro saremo genitori e figli migliori.
Perciò… usiamo questo tempo per farlo.

“Vabbé, a parte il fatto che si fa le canne, è un ragazzo normale!”.

Così mi ha detto un ventenne parlando di un suo nuovo amico.
Ma è davvero “normale” che un giovane fumi hashish o marijuana?
Perché dobbiamo porci la domanda, se vogliamo assumerci un ruolo educativo.
E non aiuta, come genitore, dirsi: “No, ma mio figlio non lo fa” oppure “Mia figlia non frequenterebbe mai certe compagnie”.

Perciò provate a chiedere ai vostri figli se per loro è normale che un coetaneo fumi abitualmente marijuana. Probabilmente vi risponderanno di sì, anche se loro non lo fanno.

Riflettiamoci insieme, ora, tralasciando il consumo che ne fanno gli adulti e la discussione sugli effetti e sulle conseguenze.

Parliamo di adolescenti, di ragazzi delle scuole superiori e degli universitari.
Ragazzi quindi che studiano, che hanno a disposizione tutte le informazioni sugli “spinelli”.
Ragazzi che non lavorano, ma hanno a disposizione dei soldi che vengono dalla famiglia.

Giovani che escono dallo stereotipo del “tossico” anni ’80, che si vedeva vagare in giro per Milano “strafatto”, barcollante, col braccio pieno di buchi e gli occhi semichiusi, destinato a morirci di eroina.

Per molti dei nostri giovani, un ragazzo che fuma “erba” è normale quanto uno che non lo fa.

Ma secondo voi… è davvero così?

Mi sono presa la briga di documentarmi e ho letto parecchie testimonianze di adolescenti (12-20 anni) che sono soliti “farsi le canne”.

Le motivazioni sono per lo più legate al desiderio di sentirsi bene con se stessi e col gruppo a cui si è scelto di appartenere; al sentirsi in pace, rilassati e tranquilli, riuscendo così ad alleviare lo stress della scuola e degli impegni.

Un modo veloce per “staccare un attimo la spina e svuotare la testa da tutti i problemi, liberandoti da qualunque preoccupazione ti stia assillando”.

Qualcuno lo fa per solitudine, qualcun altro per sentirsi “potente”, allegro, felice e “vivere in modo migliore la vita”, guardandola da un’altra prospettiva, quella più piacevole.

Ma ci sono molti altri che fumano spinelli perché ciò li aiuta a pensare, a riflettere:

“Ti apre la mente e ti porta a grandiosi ragionamenti ai quali durante la vita quotidiana non saresti mai arrivato”.

Sanno che non risolverà i loro problemi, ma “aiuta a guardarli tutti insieme da lontano”.

Alcuni di loro esprimono il bisogno di voler scappare dai problemi (anche solo per un’ora) e attribuiscono alle “canne” il potere di far loro provare sensazioni che non riuscirebbero mai a raggiungere “normalmente”.

Ricorrono spesso nelle loro risposte parole come “normale” o “normalmente”.

E sapete qual è un sinonimo di “normale”?
Il dizionario riporta “sano”.
Mi piace accostare questi due aggettivi: “normale” e “sano”.
Come a dire: un ragazzo “normale” è sano.

E dunque vi sembra “sano” (e quindi normale) un ragazzo che ricorre alla cannabis per vivere meglio?

Questi ragazzi fumano per “smettere di pensare”, ma la mente fa parte di noi, come il cuore, i polmoni. Non possiamo fermarla, ma solo confonderla, anestetizzarla, ma così facendo non risolviamo certo i nostri problemi.

Fumano “per poter guardare i loro problemi tutti insieme da lontano”.
Ed è questo il problema: che i problemi non vanno guardati tutti insieme, perché il rischio è quello di esserne schiacciati.
Vanno guardati uno ad uno, mai contemporaneamente. E bisogna occuparsi di ciascuno di essi in modo separato, dandosi del tempo, fino a risolverlo del tutto.

E’ dura affrontare la quotidianità, con la sua noiosa routine da una parte e i mille disagi (di salute, di relazione, di lavoro, di studio) dall’altra. Ma non farlo in modo cosciente e consapevole toglie la possibilità di trovare una soluzione.

Bisogna fermarsi (non fermare la mente) e chiedersi:
“Che cosa mi annoia?”
“Che cosa mi piace fare?”
“Quale attività mi fa perdere la cognizione del tempo e dello spazio?”.

Tutti abbiamo bisogno di “staccare la spina” ogni tanto, ma dobbiamo far capire ai giovani che possiamo farlo in mille modi appassionanti, senza ridurci a una “canna”.

I ragazzi intervistati facevano spesso riferimento al gruppo, che in effetti è molto importante in quella fascia d’età.
Ma possiamo farli riflettere sul fatto che la parola “gruppo” si può legare a splendide esperienze, non per forza allo sballo.

Possono essere felici praticando uno sport “di gruppo” o suonando in una band o coltivando interessi comuni, come la passione per le auto o le moto.

Ci sono mille modi per evitare di iniziare a fumare le “canne” e in questo possiamo davvero guidarli.

La prima cosa è far loro capire che “non è normale” farlo (anche se lo fanno in molti).
La normalità va in direzione della salute, della realizzazione, della felicità e tutto questo non si può trovare in uno spinello.

Caro genitore, dipende da te come ti tratteranno i tuoi figli quando sarai anziano.

Non ho mai conosciuto i nonni, quelli che ti strapazzano di baci e ti abbracciano così forte da toglierti il fiato. Sono morti prima che nascessi, lasciando sole le nonne. Però ho avuto la fortuna di vivere i primi anni della mia vita insieme a una nonna speciale e a una bisnonna birichina.

E’ vero, la nonna era malata di quel male che non risparmia quasi nessuno, ed io avevo solo cinque anni “e mezzo” quando è mancata, ma i ricordi che mi ha lasciato sono ancora vivissimi e a volte mi sembra di sentire ancora la sua voce, con quella “erre” così diversa da tutti gli altri e il suo sguardo così dolce.

Ero (e continuo ad essere) innamorata di mia nonna, perché mi faceva sentire importante…

Bastava il suo sguardo, una sua occhiata complice e io sentivo tutto il suo amore.

Eh, i nonni! Quale dono prezioso del cielo!

In casa mia, lei e la bisnonna erano rispettate e coccolate: il valore della loro saggezza era inestimabile.

Oggi purtroppo non è più così. Almeno nella maggior parte dei casi.

Non vanno più di moda il rispetto, l’ammirazione e l’attenzione verso gli anziani.

Quante volte assisto a scene in cui i nipoti maltrattano a parole e a gesti i nonni!
Quante risposte maleducate, espresse con parolacce e tono di voce sprezzante!
Magari in presenza dei genitori, che nemmeno intervengono!

Eh, già! I nonni… Chi li rispetta più?!

Ho visto nipoti sbuffare in faccia ai nonni a cui erano affidati. E ho visto i nonni spiazzati, incapaci di reagire.
Un dono del cielo buttato via!
Che tristezza, se penso a quanto avrei voluto continuare a crescere con la mia nonna accanto…

Il fatto è che oggi ben pochi genitori insegnano “il rispetto per l’anziano” ai figli e così vanno perse tutte quelle buone azioni che invece – se compiute – fanno stare bene sia chi le riceve sia chi le fa.

E allora perché non rivederle insieme, qui, ora?

Caro genitore, sei al timone del tuo vascello! Sei il capitano della nave!

Dipende da te, da una tua scelta educativa, se domani – quando sarai anziano – tuo figlio ti tratterà con rispetto, stima e tuo nipote si rivolgerà a te ammirando la tua saggezza e il tuo valore.

Perciò non perdere tempo prezioso!

Che tuo figlio sia piccolo oppure già grande, “allenalo” al rispetto per chi è anziano.

Fagli comprendere il valore della vecchiaia e farai un regalo a te stesso, ma anche a tutta l’umanità.

Parti da qui e sii d’esempio:

1. Dare del “lei” agli anziani che non si conoscono.
Non è difficile per i bambini imparare a farlo. Certo, è faticoso per noi adulti dover insistere e correggerli, ma ti assicuro che a 8 anni ci riescono perfettamente. Io l’ho fatto e ha funzionato.

2. Offrire il proprio aiuto.
I nonni non chiedono nulla, ma non significa che non abbiano bisogno.
– Offrirsi di portare al posto loro dei pesi, come i sacchetti della spesa o le confezioni di acqua, può solo far piacere.
Prenderli sotto braccio, quando devono attraversare la strada o scendere le scale, è un gesto d’affetto, ma è anche un valido sostegno per loro che così si sentono più sicuri.

3. Cedere il posto a sedere.
Che sia in chiesa, in un ufficio, sul treno o sull’autobus, chiedere ad un anziano se vuole il nostro posto a sedere e alzarci per cederglielo, resta sempre un bel gesto che ci distingue dal resto della gente. In fondo, stare in piedi quando si è giovani, non è una gran fatica.

4. Rivolgersi ai nonni/anziani con educazione.
Significa:
– Capire che sono “grandi” e non bambini.
– Evitare toni aggressivi, arroganti, saccenti.
– Evitare le frasi e gli atteggiamenti di compatimento (se non capiscono qualcosa non vuol dire che sono “deficienti”).
– Non sbuffare loro in faccia né fare “spallucce”.
– Censurare frasi del tipo: “Ma sei sordo?!”, “Non hai capito niente!”, “Non sei capace!”, perché a nessuno di noi, tantomeno a dei bambini/nipoti, piacerebbe sentirsi giudicare a quel modo.

5. Rispettare il loro riposo.
Vuol dire non disturbarli se e quando hanno bisogno di fare un pisolino. Perciò non gridare, non svegliarli, evitare di fare giochi rumorosi vicino a loro.

6. Essere pazienti.
Lo so, a volte non è facile, ma dobbiamo far capire ai bambini che anche loro, quando saranno anziani, avranno bisogno di più tempo per ricordare le cose o comprenderne di nuove. Bastano un bel respiro e un sorriso. In fondo, quante volte dobbiamo ripetere le cose a loro, ai bambini?

7. Evitare di evidenziare i loro problemi legati all’età.
Far notare ad un nonno che cammina troppo lentamente, che non ci sente, che sta perdendo i capelli o dirgli che fa ridere con la dentiera o che va troppo spesso a fare pipì non lo aiuta a stare meglio. E’ già un disagio per lui… Perciò, perché infierire?

8. Far loro dei complimenti.
Basta davvero poco! Insegniamo ai figli a “valorizzare” i nonni, facendo loro notare le qualità che hanno: “Nonno, come sei bravo a bocce!”, “Nonna, sei bravissima a fare la torta di mele!”.
Ci sono anche dei complimenti mascherati da richieste d’aiuto, che fanno sentire i nonni utili e ancora in gamba: “Nonno, tu che sei bravo a costruire le cose, mi aiuti con il compito di tecnologia? Devo usare il traforo…”, “Nonna, tu che sei la migliore, mi insegneresti a cucinare la torta di mele?”.

9. Non fissare gli anziani con handicap.
Di solito è la prima cosa che si insegna, quella di non guardare fisso né additare chi ha un handicap. Con gli anziani, che diventano sensibili e permalosi, è bene ricordarselo. Perciò, se un anziano cammina col girello o zoppica o ha un equilibrio precario, insegniamo a non riderne, ma a comprenderne la difficoltà.

10. Salutare per primi.
E’ importante che i figli, grandi o piccoli, sappiano che è buona regola salutare per primi gli anziani. Un sorridente “Buongiorno”, quando si incontra un anziano, non ha mai fatto male a nessuno!

11. Far visita e telefonare.
I nonni che non vivono in casa con noi e nemmeno a così breve distanza da poterci andare a piedi, di solito soffrono un po’ di questa lontananza e spesso sono loro a muoversi o a telefonare.
Perché allora non sollecitare i bambini/adolescenti a chiamare i nonni? A informarsi se stanno bene o semplicemente a salutarli?
I nipoti adolescenti hanno cellulari costosissimi e messaggiano continuamente.
Perché allora non trovare un minuto per chiamare i nonni?

Ecco, sono certa che molti di voi potrebbero suggerirne altre di “buone pratiche” e quindi, perché non scriverle tra i commenti?

Il Mondo, la cosiddetta “società”, siamo noi.
E sta a “noi” renderla migliore.
Magari partendo proprio da qui.

Con i figli… “cogli l’attimo” e non te ne pentirai!

Due settimane fa ero sul lago: leggevo un bel libro, ammirando di tanto in tanto il paesaggio.
Proprio a pochi metri da me, ad un certo punto, vedo passare una vecchia barca di legno: un uomo anziano, con la pelle abbronzata e i capelli bianchi mossi dal vento, remava stando in piedi e facendo una certa fatica.

La barca a remi procedeva lentamente: a prua, un bambino di otto-nove anni stava seduto e rilassato, contemplando il lago.

“Vieni qui, ora! Ti insegno come fare” gli dice il vecchio.
“Ma nonno, sono troppo piccolo!” si affretta a rispondere il bambino.
“Non è vero, io ho imparato alla tua età” commenta tranquillo il nonno.
“Ma perché DEVO impararlo adesso?” chiede il nipote.
“Perché io non so quanto riuscirò ancora a remare e tu devi saperlo fare” spiega l’uomo.
“Sì, nonno, ma PROPRIO ADESSO?” si lamenta il ragazzino.
“Certo! Perché GIA’ mi sento un po’ stanco…” risponde il nonno con tono affettuoso.

Volete sapere com’è andata a finire?

Ho visto il bambino mettersi ai remi, guidato dalle mani e dalle indicazioni del nonno, e remare… Remare fino a far scivolare veloce sull’acqua la barchetta.

Volete sapere che espressione aveva sul viso il bambino?

Il suo sguardo, inizialmente concentrato e serio, ha poi mostrato tutta la soddisfazione e la gioia di esserci riuscito.

Non è una storiella inventata, questa.
E’ una storia vera, di quelle che chiunque può “vedere” se interessato e incuriosito dal comportamento umano.

Sapete perché ve l’ho raccontata?
Perché… CARPE DIEM, come direbbe il bravo professore del film “L’attimo fuggente”.

Dobbiamo saper cogliere le occasioni per insegnare qualcosa ai nostri figli, nipoti, perfino al partner.

Non si tratta di “mettersi in cattedra” e impartire una lezione. E chi la ascolterebbe?!

Nelle molteplici occasioni dobbiamo saper scegliere il momento migliore, quello che si presta meglio a darci una mano a trasmettere un valore, una tradizione, un ricordo, qualcosa di pratico (come remare).

Non facciamo l’errore di rimandare… “Tanto poi c’è tempo!”.
Il tempo non c’è!
Ecco perché “carpe diem”: cogli l’attimo!

Quel nonno è stato eccezionale a cogliere l’attimo.
Se avesse rimandato al giorno dopo, le condizioni non sarebbero state le stesse. E magari il nipote non l’avrebbe assecondato.
Ma le sue parole, il tono, il significato implicito del “non sarò qui vicino a te per sempre”… hanno colpito il nipote, che ha deciso di provare.

Quel nonno ha dato una lezione a tutti noi, perché in una frase ha racchiuso un valido insegnamento:

con i bambini e coi ragazzi bisogna spesso inventarsi una “buona scusa” per far sì di essere ascoltati.
Importante è anche dare un tempo, “ora” e non “la prossima volta”.

Dobbiamo cogliere tutta la bellezza di saper coinvolgere i figli, facendoli sentire utili, persino necessari in alcuni momenti.
E loro ci seguiranno, senza protestare, perché si sentiranno importanti, valorizzati.
Come ad esempio una bimba di 5 anni che ho visto accompagnare, tenendola per mano, la nonna che si reggeva col bastone…

Quanta tenerezza, quanta disponibilità e amore in quel gesto.

Ma i bambini, i ragazzi sono così: capaci di “dare” tantissimo e imparare tantissimo.

Sta a noi “cogliere l’attimo” e domandarci:

“Quanto è importante per me trasmettere a mio figlio ciò che so, ciò che amo, ciò in cui credo?”…

e il gioco è fatto!

Impegno e allenamento non contano solo nei tuffi!

Ieri stavo guardando in Tv le gare di tuffi ai Campionati mondiali di nuoto: adolescenti che si tuffavano in coppia da trampolini altissimi, con un controllo di sé che aveva dell’incredibile e una motivazione, una grinta degne di veri campioni.
Li guardavo ammirata…
Ce n’era uno di soli tredici anni…
Praticamente, uno studente della (ex) scuola media…

Pensate che alcuni sono stati penalizzati semplicemente per aver tenuto leggermente piegata la punta di un piede!

Pazzesco!

Al termine della prestazione, il loro allenatore li ha guardati con un’aria seria, severa e il volto corrucciato: nella prova successiva hanno dato l’anima!

Queste sono gare dove i ragazzi sanno che – per ottenere il massimo punteggio – devono essere “perfetti”!
E nessuno contesta questa rigidità nella valutazione da parte dei giudici: è normale!

Mi è venuto spontaneo tracciare un parallelo con la scuola
ed è una riflessione che voglio condividere con voi.

Provate a pensarci: quando a scuola un ragazzo fa un errore pari a “quella punta del piede leggermente piegata”, si aspetta di ricevere comunque un bel “10”!
E se quel voto non arriva, si lamenta – insieme ai genitori – per l’eccessiva severità e rigidità del docente nella valutazione.

E cosa accade?
Accade che al docente viene suggerito di valutare in base ad una percentuale
In questo modo lo studente arriva a meritare un “10” facendo ben più di un errore.

… ma nel mondo dello sport ad alto livello questo sarebbe ed è inconcepibile.

E come mai?

Forse che la “prestazione cognitiva” abbia meno valore rispetto a quella sportiva?

Perché – come atleta – posso accettare di dover raggiungere “la perfezione” e – come studente – “quella perfezione” mi appare assurda?

C’è qualcosa che non va, vi pare?

Cambiando poi canale e capitando durante la trasmissione del Telegiornale, ho sentito il giornalista che sottolineava con un certo sconcerto che

in Italia i giovani laureati sono solo il 28 %.

Vi starete domandando: “Ma che cosa c’entra con il discorso di prima sui tuffi e lo sport?”.
C’entra!

Perché nello sport i ragazzi danno per scontato di dover arrivare il più vicino possibile alla perfezione per avere ottimi risultati.
Nella scuola è l’esatto contrario, ovvero:

“Perché devo arrivare a dare il massimo?”.

Ecco quindi ciò su cui dobbiamo riflettere:

molti, moltissimi dei nostri ragazzi arrivano alla scuola superiore che “non sono allenati” a studiare, a stare fermi e concentrati sui libri un paio d’ore dopo le lezioni scolastiche.
E così, di fronte ai primi votacci, hanno delle crisi di autostima e perdono di motivazione: iniziano a mettere in dubbio sia la scelta della scuola sia le loro capacità.

In realtà è come se si presentassero sul trampolino senza essersi allenati!
E’ così semplice da capire.

Pertanto: se volete che i vostri figli siano tra quelli che si laureano, in quell’esclusivo 28 %, allora…

spronateli ad “allenarsi” ogni giorno, a tenere duro, a impegnarsi, a non mollare, ad accettare un brutto voto come stimolo a fare meglio.

Solo così diventeranno dei “campioni”!

Ragazzi, ecco come “riempire” le vacanze!

Manca poco: la scuola sta finendo.
Tra qualche giorno inizieranno per voi ragazzi tre lunghi mesi da “riempire” come desiderate.
Eppure molti di voi sono dispiaciuti, perché non vedranno più i compagni di classe, e altri sanno già che si annoieranno a casa da soli.
La maggior parte si è già lamentata dei compiti estivi da fare.

Ma dai, ragazzi! Non avete idea di quanto siete fortunati!

Basta organizzarvi e l’estate sarà meravigliosa!

Vi do qualche spunto:

1) Se i vostri genitori lavorano e siete affidati ai nonni, coinvolgeteli nell’organizzare un pic-nic sul prato in un parco vicino a casa.

Mettetevi d’accordo con qualche amico: ciascuno porterà i suoi panini e da bere.
Basterà una coperta da mettere a terra e, se il parco è vicino, potrete andarci a piedi o in bici.
Sarà bello stare in mezzo alla natura e vi sentirete subito in vacanza!

2) Vi piace andare in bicicletta?
Una domenica, coinvolgete più genitori possibili e organizzate una biciclettata lungo un percorso ciclabile, magari facendo una pausa per pranzo in un agriturismo.

Sarà un modo piacevole e insolito per stare tutti insieme!

3) Fate i compiti in compagnia: contattate qualche compagno e invitatelo a casa vostra per svolgere i compiti delle vacanze.

Lavorate insieme per un paio d’ore e poi uscite per gustarvi un buon gelato.

4) Mancate di concentrazione nei compiti? Allora chiedete ad un compagno di venire con voi in biblioteca: starete al fresco e lavorerete in silenzio.

Al termine, via per un giro in bici o al parco.

Il vantaggio di “miscelare” compiti, amici, divertimento è che non sentirete il peso dei compiti, manterrete il legame con i compagni e potrete svagarvi insieme a loro.

E, senza rendervene conto, farete un grande regalo ai vostri genitori, perché potrete partire per le vacanze senza portarvi i compiti.
Così anche loro potranno godersi il meritato relax!

Ah, non dimenticate di portarvi un bel libro e scegliere un luogo tranquillo dove isolarvi e tuffarvi nella lettura.

Buone vacanze!  🙂

Ragazzi, cambiate il Mondo!

Cambiare il Mondo si può?

Il Mahatma Gandhi, tanto tempo fa, ha detto: “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.

E lui la sapeva lunga su come cambiare il mondo, visto che è riuscito a liberare la sua India dagli inglesi senza armi né eserciti.

Ma perché mai voi giovani dovreste cambiare il mondo?

Beh, perché magari non vi piace così com’è e in fondo dovrete viverci a lungo.
Meglio essere attivi, quindi, che stare a guardare o ad aspettare che qualcosa cambi. In fondo avete l’energia per farlo.

“Eh, già, come posso cambiare il mondo” dirà qualcuno “sono solo un ragazzino!”.

Vero, ma il tuo mondo qual è?
Prova a pensarci un attimo.
Non è forse la scuola, gli amici e la famiglia? Ok, mettiamoci anche lo sport, la musica…

Allora, prova a riflettere: che cosa vorresti cambiare di questo tuo mondo?

Devi concentrarti sui tuoi bisogni, sulle cose che per te hanno un gran valore, perché ciascuno ha bisogni diversi.

Ad esempio, c’è chi ha bisogno di essere ascoltato senza essere giudicato, chi vuole essere bene accolto nel gruppo classe…

Per tutti c’è poi un ordine di importanza.
I bisogni sono tanti, è vero, ma poi devi metterli in ordine, da quello che per te è più importante fino a quello meno.

La maggior parte dei ragazzi che ho ascoltato ha messo al primo posto “essere rispettato”, cioè “non preso in giro, accettato per come sono, accolto e ben voluto”.

Tutti bisogni che portano a “vivere sereno”.

Bene, ragazzi, sapete che vi dico?

Che se questi sono anche i vostri bisogni, dovete AGIRE per ottenerli.
Non potete aspettare che se ne occupino gli altri al posto vostro.
Dovete lottare!

Come?

Prima di tutto pensate: “Cosa posso fare IO per rispettare, accettare gli altri?” e poi mettete in pratica la risposta che trovate.

Ad esempio, “smetto di ridere alle spalle di chi già viene preso in giro dagli altri” oppure “smetto di rispondere male ai miei familiari”.

Fate come dice Gandhi: cambiate per primi voi e il mondo cambierà di conseguenza.

 

 

*Articolo scritto da Laura Gazzola e pubblicato sulla Pagina dei Ragazzi del quotidiano “La Provincia di Como” nel febbraio 2018.

Sei moderna o semplicemente volgare?

Oggi le nostre chiacchiere sono tutte al femminile.

Eh, già, perché ho notato che

molte femmine hanno confuso la “modernità” con la “volgarità”.

Vogliamo parlarne?

Ho giusto in mente alcune ragazze dagli undici anni in poi, vestite alla moda, carine, all’apparenza sicure di sé, che “maltrattano” i maschi con critiche feroci e con prese in giro che ferirebbero chiunque.

E gli adulti commentano: “Eh, sono le ragazze di oggi! Le ragazze moderne!”.
Beh, non sono d’accordo.

Essere “moderne” significa sì seguire le tendenze e i gusti del mondo presente, ma non c’entra col diventare volgari.

Non avete idea di come si comportino le ragazze volgari?

Be’, per esempio, si esprimono a parolacce, gridano, mangiano a bocca spalancata…
Ne ho viste alcune fare addirittura a gara di sputi!

Ok, ok, alcune di voi si saranno accorte che è una maschera, che queste “ragazzacce” non sono davvero come sembrano.

E avete ragione, perché le parolacce usate di continuo, in modo sfacciato, nascondono tutta la loro insicurezza nei rapporti con gli altri.

Vogliono farsi credere sicure di sé, mature… e invece appaiono tutt’altro.
Il fatto è che sono tanti gli elementi che poi fanno dire alle persone: “E’ una ragazza bella, ma volgare!”.

Pensate a quelle che si mettono le mani addosso come i maschi: che tirano coppini, fanno gli sgambetti e si spintonano.
Pensate a quelle sguaiate, che si siedono ovunque con le gambe divaricate e masticano la cicca a bocca aperta…

Sarebbe proprio sbagliato definirle “moderne”, perché

la modernità è sinonimo di originalità, ma in positivo.

Allora, se volete essere davvero “moderne”, cercate di comportarvi ed esprimervi in modo elegante, sensibile.

Non c’entra col vestirsi in modo classico e nemmeno con il modo di comportarsi che avevano le vostre nonne.

Essere volgari indica una mancanza di cultura, di finezza e di stile.

La vera originalità, quindi, sta nel riuscire ad essere “moderne” e al contempo fini, educate, capaci di buone maniere e di buone parole.

 

 

Articolo scritto da Laura Gazzola e pubblicato sulla Pagina dei Ragazzi del quotidiano “La Provincia di Como” il 30/01/2018.

Prova il “diario magico” per essere felice!

Ragazzi, chi di voi ha mai scritto un “diario”?

Nessuno? Forse qualche ragazza, ma solo per un po’?

Bene, oggi vi parlo di una fantastica occasione per diventare ogni giorno più felici.
Il diario sarà il “mezzo” che useremo per far crescere la nostra felicità!

Ora vi spiego.

Intanto non ha nulla a che vedere col diario segreto e servono solo 5 minuti per compilarlo ogni giorno.

Prima di dire: “No, non ce la faccio!”, sperimentatelo per 5 giorni consecutivi.
Per compilarlo non dovrete stare a pensare troppo: prendete le risposte che vi arrivano subito e scrivetele.

Ma andiamo per gradi.

I momenti della giornata in cui dovrete scrivere saranno la mattina (appena svegli) e la sera (prima di andare a dormire).

Iniziamo dal “mattino”:

1) Sul vostro diario rispondete subito a una domanda:
“Quali sono le 3 cose per cui sono grato questa mattina?”.
Pensate alle piccole cose, quelle che vi vengono in mente subito, come ad esempio: “C’è il sole! Ho dormito bene! Ho un’intera giornata da vivere!”;

2) Ora pensate a “come” desiderate trascorrere la giornata, a quali attività svolgere prima di sera.
Riflettete e poi scrivete la risposta a questa domanda:
“Quali sono le 3 attività che faranno di oggi una giornata fantastica?”.
Scegliete delle attività che vi facciano stare bene e che vi aiutino a crescere.
Iniziate, ad esempio, ad immaginare a come vi sentirete la sera, quando le avrete fatte!;

3) Ora chiudete il diario e iniziate la vostra giornata.

Alla “sera”, prendete il vostro diario e ripensate alla giornata vissuta:

1) Scrivete “quali sono state le 3 cose meravigliose che sono accadute oggi”.

Esempi: “Ho incontrato il ragazzo che mi piace!”, “Sono stato a pranzo dai nonni”…
Sforzatevi di trovare 3 cose positive!;

2) Pensate e scrivete “in che modo avreste potuto rendere migliore la giornata appena conclusa”

ad esempio, “stando meno su internet e uscendo con gli amici”.

Approfittate di queste ultime settimane di scuola e provate questo “magico” diario.

Vedrete che qualcosa cambierà!

 

  • Articolo scritto da Laura Gazzola e pubblicato sulla Pagina dei Ragazzi del quotidiano “La Provincia di Como” – Maggio 2018

Studi, ma i risultati non arrivano? Ecco il perché!

Siamo allo sprint finale, se volete guadagnarvi buoni voti!

E so che molti di voi, pur  dando il massimo, non sono soddisfatti dei voti che ottengono:

“Sono sui libri tutto il pomeriggio” mi dice una tredicenne, “persino la domenica, ma i voti sono comunque bassi!
Non so, forse mi manca un buon metodo di studio …”.

Certo, può essere o magari il problema è un altro e non c’entra né con il metodo né con l’intelligenza.

Facciamo un piccolo test e vediamo se vi riconoscete in queste frasi:
1) quando studio, non sto mai fermo e mi dondolo sulla sedia;
2) non riesco a ricordare le cose che ho appena letto sul libro;
3) mentre leggo o cerco di ripetere, gioco con la penna o con qualsiasi cosa ci sia sul tavolo;
4) dimentico facilmente dove ho messo le cose;
5) mentre studio, controllo spesso i messaggi sul cellulare;
6) anche se ho studiato a casa, durante la verifica faccio errori stupidi.

Se leggendo, avete esclamato: “Sì, mi succede proprio così!” state tranquilli perché non avete niente che non funzioni, tranne… la concentrazione.

Eh, sì, non riuscite a restare concentrati perché la vostra testa va altrove.

Il risultato è che, quando affrontate un compito, una verifica o un’interrogazione, siete lenti, concludete poco e la vostra prestazione è molto al di sotto delle vostre potenzialità.

In poche parole: state seduti davanti al libro per ore, siete convinti di studiare, ma non assimilate quasi nulla, perciò a scuola non vi ricordate granché.

Niente paura, però! Potete rimediare.

Il primo passo da fare è capire perché vi distraete.

Le cause solitamente sono:
1) dormite poco e siete stanchi;
2) fate tutto all’ultimo minuto, di fretta e con ansia;
3) saltate da una cosa all’altra, senza portarne a buon fine nessuna;
4) studiate in un luogo troppo rumoroso;
5) siete spesso interrotti da amici e familiari;
6) quello che studiate non vi interessa.

La prossima volta vi svelerò come fare per concentrarvi al massimo.

 

* Articolo scritto da Laura Gazzola sulla Pagina dei Ragazzi del quotidiano “La Provincia di Como” l’8 maggio 2018.