Sarò davvero innamorata di lui?

Quante volte le ragazze mi raccontano di “pensare sempre a quel qualcuno” e quante volte le donne adulte mi confidano i loro dubbi, le loro sofferenze per quel partner che è ormai tanto diverso da come l’avevano conosciuto.

Spesso la domanda sottintesa è

“Sarò davvero (ancora) innamorata di lui?”.

A questo proposito mi viene in mente che alcuni decenni fa, un noto studioso nonché docente universitario, Francesco Alberoni, aveva realizzato uno studio veramente interessante su questo argomento. Tanto interessante che lo ricordo ancora.

Proviamo dunque a conoscere meglio “l’innamoramento”, così da dare risposta alla nostra domanda.

L’innamoramento non c’entra con la sessualità e quindi non è scontato che nasca da quella.
Tra l’altro, non è un evento unico nel corso della vita, perché può capitare di innamorarsi una seconda volta, ma può anche accadere di non innamorarsi più.

La mia nonna, ad esempio, rimasta vedova in giovane età, ha amato soltanto mio nonno e, una volta perso lui, non si è mai più innamorata.

Ma come faccio a capire di essere innamorata sul serio?

Be’, quando si è innamorati si pensa che tutto sia meraviglioso grazie alle “straordinarie” qualità del partner… E non ci si rende conto che l’altro è una persona normale, uguale a tutti gli altri esseri umani.

Ciò di cui non si è consapevoli è che “a rendere così diversa la nostra vita” sia la nuova esperienza, ovvero l’esserci innamorati.

E si sa, quando si è innamorati si desidera stare sempre col partner per potergli parlare e poterlo anche abbracciare, baciare, accarezzare… Di lui vogliamo sapere tutto, in modo da sentirci più vicino a lui ma anche poter essere noi stesse.
Di lui capiamo ogni gesto, tanto che la vita sembra più bella e persino più semplice.

Intendiamoci, la quotidianità non ha proprio niente di straordinario… ma quando siamo innamorati, tutto diventa magnifico. E così, un’ora con l’amato è paragonabile all’eternità e questo è il motivo per cui, perdendo l’amato, si vive con un’eterna nostalgia.

Sì, ok, Coach. Ma come faccio a distinguere una “cotta” dall’essere innamorata veramente?

Semplice!

Una delle caratteristiche dell’innamoramento è che si hanno degli ostacoli da superare.
Alberoni dice infatti che senza ostacolo non c’è vero innamoramento.

E a me vengono tanto in mente coppie giovani in cui tutto procede bene finché la strada è spianata dai genitori, che comprano loro la casa nuova, l’arredamento, i festeggiamenti per le nozze, il viaggio, ecc. Alla prima difficoltà, però, queste coppie “scoppiano”.

Il fatto è che superare gli ostacoli permette di “costruire” qualcosa di nuovo (una coppia, una famiglia) a partire dall’unione di due individui che hanno compiuto un percorso di cambiamento, di crescita prima di incontrarsi (come – ad esempio – aver “tagliato” del tutto con il rapporto precedente).

OK, Laura! Ci devono essere degli ostacoli da superare insieme… Tutto qui?

Sappiamo di essere innamorati quando il desiderio di vedere o di sentire l’altra persona riappare più e più volte, fino ad imporsi, ad essere costante.

E questo fatto ci spinge ad una “rinascita”, perché ci permette di ripensare al passato senza più provare delusione o dolore.
E’ un po’ come dire che il passato viene privato del suo valore e così si può arrivare a provare tenerezza per l’ex, di cui non ce ne importa più niente e verso il quale ci si sente gentili e buoni, grazie al nuovo amore.

Ma, ribadisce Alberoni, la vera storia dell’innamoramento è legata al “modo” con cui si affronta, si risolve oppure si aggira un grande ostacolo… e lo si fa insieme.

Altro che “… e vissero tutti felici e contenti”! La vita di coppia idilliaca non esiste!

La quotidianità è fatta di problemi, di scontri. Perciò è normale alternare momenti di felicità ad altri di sofferenza. Non esiste un reale equilibrio quando si ama!

Tuttavia è vero che chi è innamorato si sente felice nel fare qualcosa per la persona amata, perché i suoi desideri sono gli stessi di quelli dell’amato.

E… cosa importantissima: se sei innamorata del tuo partner, è impossibile che ti innamori di un altro!

E ora veniamo alla “domanda fondamentale”…

Come passiamo dall’innamoramento all’amore che dura nel tempo?

L’amore è la conseguenza naturale dell’innamoramento: passiamo da qualcosa di impetuoso e nuovo a qualcosa di quotidiano. Ma c’è qualcosa che non cambia e cioè che l’innamorato non vuole altro che essere amato per sempre.

E sai quando capisci che l’amore sta finendo? Quando cominci a fare i conti “io ti ho dato e tu no”…

In effetti, quando siamo innamorati diamo tantissimo senza domandarci se è giusto o no, se è troppo o se l’altro ricambia allo stesso modo.

Ovviamente è scontato che “il dare” sia reciproco e che i problemi e le difficoltà si affrontino insieme.

Si passa all’Amore, quindi, attraverso una serie di “prove” che l’amato deve superare. Sono prove di diverso tipo e si legano a due bisogni principalmente: al bisogno di “verità”, verificando perciò che l’amato sia sincero e leale, e al bisogno di “reciprocità” , ovvero verificando di avere obiettivi comuni ben chiari.

Se le prove, invece, sono richieste che comportano la “rinuncia” ai propri progetti, ai propri sogni (come avere una famiglia, dei figli, sposarsi), alla propria vita… il legame è destinato a rompersi, perché sono prove che non si superano e si trasformano in punti di non ritorno.

Ultime verità importantissime:
– l’innamoramento diventa Amore, quando non c’è più l’entusiasmo iniziale, ma si sviluppa una reciproca dedizione;
– non è proprio scontato che l’innamoramento diventi Amore, ma è possibile che un Amore nasca anche senza innamoramento, ad esempio da un incontro sereno, dal piacere di stare insieme, dall’avere idee e obiettivi comuni.

Ora tocca a voi capire a che punto siete e se la vostra storia avrà lunga vita o meno.

Essere felici è davvero possibile?

Da molti anni sulle riviste, nei blog, nelle pubblicità sentiamo parlare di quanto sia importante essere felici.
E molte volte, lo confesso, ho pensato “Ma che scoperta! E’ ovvio che sia importante, perché quando sei felice riesci a fare tutto meglio… Persino a stare meglio di salute!”.

E allora perché continuano a parlarne?

Nella Dichiarazione d’indipendenza americana (4 luglio1776) si legge che “a tutti gli uomini è riconosciuto il diritto alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità”.

Trovo meraviglioso aver diritto alla felicità!

Ma come la mettiamo con la realtà di tutti i giorni?
Vallo a dire a chi perde il lavoro, a chi si ammala gravemente, a chi non riesce ad avere figli, a chi non trova l’anima gemella…
E pure a chi ha i figli, il partner, il lavoro, che però gli procurano solo problemi, pensieri, notti insonni.

Credo allora sia importante riflettere sul concetto di “felicità” e farlo qui, ora, insieme.
Solo così potremo orientarci nella direzione giusta per trovarla.

Diciamo subito che la felicità non è uno stato permanente, senza pensieri né crisi e dove la vita procede senza scossoni.

Sarebbe infantile e sciocco immaginare di vivere tutti i giorni toccando il cielo con un dito.
Eppure tutti noi abbiamo provato questa emozione in occasione della nascita di un figlio, della dichiarazione dell’amato, della laurea, del raggiungimento di un traguardo…
Momenti dove abbiamo sentito battere forte il cuore, ma che hanno avuto breve durata. Un’eccitazione che non può durare anni, è ovvio.

Perciò scartiamo l’idea che la felicità sia quell’ebrezza che ci fa vedere il mondo “rosa”.

La felicità non coincide nemmeno con il concetto ormai diffuso del “prima io e poi gli altri”, perché è troppo facile stare bene ignorando o calpestando i bisogni e i diritti degli altri.

Ci sono poi le pubblicità, che ci bombardano di messaggi dove – per essere felicedevi “possedere” qualcosa: l’eterna bellezza, i “Like” sulle tue foto, l’abbigliamento griffato, il fuoristrada, la casa lussuosa… E poi devi andare alla Spa, mangiare cibo biologico, trovarti con gli amici per l’happy hour anche se hai l’influenza…

Questa non è felicità: è qualcosa di effimero, passeggero e se abbiamo questa idea della felicità, saremo infelici per tutta la vita. Niente ci appagherà mai abbastanza.

Ma allora come si fa ad essere felici?

Possiamo arrivarci cercando di mettere in equilibrio le sfere della nostra vita: il lavoro, le relazioni, la cura di noi stessi.

Perciò non serve che ci batta forte il cuore.

L’importante è riuscire a provare soddisfazione per ciò che facciamo e abbiamo.
Vivere giorno dopo giorno con uno stato d’animo positivo.

Sì!, bello!, ma se non proviamo tutta questa soddisfazione?

Allora dobbiamo andarcela a cercare! Tocca a noi migliorare la nostra situazione!

Lo vogliamo o no raggiungere questo stato d’animo positivo?

E allora non lasciamoci fermare da dubbi, esitazioni.
Nessuno in famiglia lo capisce?
Eh, pazienza! Faremo da sole.
Cercheremo una soluzione e ci metteremo in gioco come se si trattasse di una sfida.

Gli ostacoli da superare ci paiono montagne?
Il desiderio di stare bene deve essere più forte.

E poi cerchiamo e troviamo dei validi alleati: medici, allenatori, life coach…

L’importante è non rinunciare ad essere “felici”.

Ti senti “vuota” dentro? Forse sei troppo piena.

Ci sono donne che, vedendo finire una relazione, vivono un senso di “vuoto” e stanno male perché non sanno come riempirlo.

E’ il caso di Sofia che, con aria sconsolata, mi racconta della sua storia con un uomo che in tre anni l’ha distrutta, facendole perdere autostima e fiducia in se stessa.
Un compagno che le ha tarpato le ali ogni volta che lei ha tentato di volare per raggiungere un obiettivo.
“Ma sei sicura di voler tentare? Perché guarda che se va male, come spesso accade, ci rimani malissimo” le ripeteva, oppure le minava quelle poche certezze che le erano rimaste con frasi del tipo: “Ma pensi davvero di farcela? Pensi di esserne capace?”.

E a furia di mettere in dubbio le sue capacità con la scusa del “Lo dico per te, perché tu non soffra se fallisci”, l’ha fatta sentire inadeguata in tutto.

A quel punto l’ha lasciata con il colpo di grazia: “Sei una fallita, senza spina dorsale! Ti fai mettere sotto i piedi senza affrontare la situazione! Non hai carattere!”.

E lei è crollata.
Si è chiusa in se stessa e non ha accettato nessun tipo di aiuto per un anno.

Poi… mi ha contattata.

Quando l’ho incontrata non aveva alcuna certezza. Nemmeno sull’obiettivo da voler raggiungere.
Continuava a ripetere che non si sentiva più la ragazza di un tempo. Quella sì era forte e determinata. Già!
Mica come lei, che ha messo in stand by la sua vita per amare un uomo che l’ha solo distrutta.
Aggiungiamo anche una buona dose di sensi di colpa per averglielo permesso e il quadro è completo.

Magari è capitato anche a te di trovarti nella situazione di Sofia: di abbandonare il ruolo di “protagonista” nella tua vita per diventare “una comparsa” nel film di un altro.

Esserti quindi svuotata dei tuoi sogni e desideri, senza nemmeno rendertene conto.

Esserti snaturata e aver perso te stessa in nome di un amore che era solo a senso unico.

Se però, come Sofia, sei diventata consapevole di vivere da spettatrice e desideri tornare protagonista, ma non sai come fare, perché senti un gran vuoto dentro che non vuoi colmare con un altro uomo…

Prova ad immaginare un grande sacco “vuoto”: che cosa vuoi metterci dentro? Con cosa desideri riempirlo?

Se la tua prima risposta è “non lo so”, insisti: pensa, guarda bene dentro.

Spesso accade che – come per Sofia – il “vuoto” in realtà è così pieno di paure da impedirti di vedere quello che c’è e che desideri raggiungere per stare bene.

Fai luce in quel “sacco” e scoprirai tanti nuovi obiettivi da raggiungere: amicizie da riallacciare, capacità da riscoprire, interessi da coltivare.

E se capisci che da sola ti riesce difficile… contattami.
Al traguardo ti accompagnerò io.

Se vuoi vivere meglio, non aspettarti nulla dagli altri.

Vi è mai capitato di rimanere male, di soffrire o di restare deluse da qualcuno?

E magari di pensare:

“Io al suo posto non mi sarei mai comportata così!”, “Io non sarei mai stata così ingrata/cattiva/superficiale!”.

Che poi, se si tratta di una collega o di un conoscente, la delusione svanisce piuttosto velocemente. Ma se si tratta di un familiare… Magari di un fratello, una sorella, un genitore, un figlio o il partner… allora la sofferenza e la delusione si amplificano.

Possiamo cancellare ciò che ci ha fatto stare male? Probabilmente no, ma possiamo imparare sia a farcene una ragione sia a cambiare il nostro approccio, in modo da non cadere più nello stesso errore.

Per vivere meglio, dobbiamo evitare di cadere nella trappola delle “aspettative”.

In poche parole significa che:

“Non posso misurare il mondo in base a ciò che io farei in una data situazione, perché io non sono il metro del mondo”.

Se ci pensate, niente di più vero!

Noi siamo “unici” perché abbiamo esperienze, pensieri ed emozioni che sono soltanto nostri.

Nessuno sarà mai come noi, né avrà la nostra sensibilità o generosità o capacità di amare.

Gli altri non sono noi.

Non hanno avuto la nostra stessa educazione, gli stessi valori, le stesse esperienze.

Non hanno le nostre emozioni e non pensano nel nostro stesso modo.
Non sono noi.

Perciò… come possiamo pretendere che ragionino o “sentano” come noi?

Certo che può capitarci di arrabbiarci con qualcuno che si comporta con noi come mai noi faremmo con lui! E’ normale, ma questo non ci fa bene, non ci aiuta a vivere meglio.

Sapete perché?

Perché l’altro non è e non potrà mai essere una nostra fotocopia.

Le persone (persino i familiari) sono diverse da noi e come tali risponderanno a loro modo e non necessariamente per cattiveria o per mancanza di rispetto o altro.

Perciò…

non sprechiamo tempo ed energie nel chiederci il perché non si siano comportate come noi “ci aspettavamo”.

Se vogliamo una risposta, facciamo loro una domanda precisa: “Perché mi hai trattata così?” o “Perché mi hai risposto in quel modo?”.

Se poi spieghiamo loro come ci hanno fatti sentire, magari potremmo scoprire che non si sono neanche accorti di averci fatto male e che non ne avevano alcuna intenzione.

In conclusione, se vogliamo vivere più serenamente, dobbiamo accettare di essere tutti diversi e considerare che il nostro modo di pensare e agire non è necessariamente il migliore.

Ricordiamoci:

“Noi non siamo il metro del mondo, perciò non aspettiamoci dagli altri ciò che noi faremmo al loro posto!”.

La relazione che vivi ti rende infelice? Sposta il focus!

Oggi parliamo di relazioni sentimentali che NON ci rendono felici.

Ne parliamo al femminile, perché sono parecchie le donne – giovani e meno giovani – che si lamentano del partner e gli attribuiscono la colpa della loro infelicità.

Quando mi raccontano la loro storia, noto subito che parlano soltanto del partner:

“lui non fa questo, lui dice questo, se mi amasse direbbe o farebbe”…

E spesso vorrebbero che io dicessi loro che cosa prova o pensa il partner sulla base dei comportamenti che mi segnalano.

Vogliono entrare nella mente del partner e capire come ragiona.

Ma le cose non funzionano così.

Queste donne si sfiniscono di domande a cui non ci sono risposte e lo fanno nel tentativo (inconscio o meno) di avere il controllo su ciò che sta succedendo o che potrebbe accadere.

Praticamente, spostano tutta la loro attenzione da se stesse all’altro.
E fanno di tutto per far andar bene le cose, come se il risultato della relazione dipendesse solo da loro.

Si sforzano di essere accondiscendenti, in modo da non scontrarsi e soddisfare le esigenze del partner. Cercano di non deluderlo e di aderire sempre più all’idea che il partner ha di compagna ideale e di rapporto di coppia ideale.

Vi siete riconosciute in queste donne?

Se così fosse, proviamo ad approfondire il perché di questi comportamenti:

  • Magari siete convinte che per essere amate dovete essere “come il partner vi vuole” (le “brave” mogli fanno così!).
  • Magari sentite la necessità di avere il controllo su ciò che accade.
  • Magari a livello inconscio volete che il partner si comporti in un certo modo (cioè come voi desiderate) e, se ciò non succede, tentate di “cambiarlo” per trasformarlo nell’uomo giusto per voi.

Vi ritrovate in queste convinzioni?

E allora sappiate che portano a commettere gravi errori:

  • Focalizzarvi solo sul partner, vi allontana da voi stesse, dai vostri bisogni e desideri. Vi impedisce inoltre di ascoltare e comprendere le vostre emozioni, così utili per capire quale strada seguire. Nel tempo, il rischio che correte è quello di sentirvi sempre più inadeguate, con il conseguente calo della vostra autostima.

  • Vi convincete di poter far funzionare la coppia “da sole” e questo vi porta a essere schiacciate da questa responsabilità. E se doveste “fallire” nel vostro intento, vi carichereste anche della delusione, del dolore e della convinzione di “non essere state capaci” di far funzionare il rapporto.
  • Continuate a stare male, ma rimandate la chiusura del rapporto che non funziona, perché sperate che lui diventi come voi desiderate.

Come fare per uscirne?

Certo non è facile…

Prevede che voi cambiate il vostro modo di “vedere”.

Vediamo come:

1. D’ora in poi, quando vi rendete conto che i vostri pensieri pongono l’attenzione solo sul partner (es. perché dice questo?, perché si comporta così?), sforzatevi di concentrarvi su voi stesse e

domandatevi: “come mi sento io? Cosa desidero io? Questa situazione mi va bene oppure no? E come mai non mi piace?”…

2. Quando vi accorgete di fare i salti mortali per tenere in piedi il rapporto,

ripetetevi che “in una relazione si è sempre in due”, perciò la responsabilità è al 50%.

E se il partner non fa nulla per migliorare le cose, significa che è poco motivato a continuare la vostra relazione. Davvero volete investire su una relazione così sbilanciata? Pensate ancora che avrà un futuro?

3. Se da tempo pensate che è ora di chiudere la relazione, ma continuate a rimandare, perché sperate che lui cambi,

ripetetevi che le persone sono esattamente come le vediamo ora, nel presente.

Se aspettate che lui cambi… state solo perdendo del tempo prezioso.

In conclusione, lavorate su voi stesse e investite il tempo per ricostruire la vostra autonomia, che sta alla base della vostra serenità.

Nessuno deve mancarvi di rispetto!

Oggi vi parlo di “rispetto” e di “farsi rispettare”, perché in un solo giorno mi è capitato di assistere a due episodi che mi hanno lasciata senza parole.

Nel primo episodio ero in un negozio in attesa del mio turno. La coppia di mezza età, che il commesso stava servendo, si stava confrontando sull’acquisto. Ad un certo punto il marito alza la voce e, con tono autoritario, strilla alla moglie: “Stai zitta, va’! Che hai già parlato troppo!”.

Nel secondo episodio ero al parco. Una sedicenne cammina col suo cane al guinzaglio e parla al telefono in modo seccato: “Mammaaa, ti ho detto di no!” esclama. E poi urla: “Porca p….!, Caxxo! Ti ho detto di no!”.

Questi due casi dimostrano che:
1. L’uomo e la sedicenne hanno mancato di rispetto.
2. La moglie e la madre hanno permesso che mancassero loro di rispetto.

Magari è capitato anche a voi che qualcuno vi mancasse di rispetto. E come avete reagito?

Siete rimasti in silenzio, pensando: “Non è possibile che stia capitando proprio a me!” oppure avete immediatamente reagito?

Alcuni non reagiscono perché non hanno ben chiaro il concetto di rispetto.

Sappiate, però, che qualunque sia il vostro ruolo (di genitori, coniugi, lavoratori), il rispetto è qualcosa che dovete pretendere. E’ anche una questione di dignità.

Significa essere riconosciuti, considerati per ciò che siete e per il valore che avete.

Vuol dire non permettere a nessuno di offendervi con le parole, ma anche con il linguaggio non verbale fatto di espressioni facciali, alzate di spalle, smorfie, sbuffi…

Se desiderate il rispetto, dovete per primi rispettarvi, cioè amarvi, stimarvi, sentirvi importanti.
Al contrario, se pensate di essere scontati, sostituibili, inadeguati e manchevoli, allora gli altri non vi rispetteranno mai, perché i primi a mancarvi di rispetto sarete proprio voi.

Chi vi rispetta vi tratta con educazione.

Se, invece, si comporta con voi in modo offensivo e indelicato, vuol dire che gli avete “permesso” di oltrepassare il limite.

Perciò, il primo gesto importante da compiere verso voi stessi è “definire il vostro limite”, cioè il confine che gli altri non devono superare.

Una cosa utile, che mi sento di consigliarvi, è fermarvi a riflettere e poi scrivere su un foglio quali sono i “confini” che gli altri dovranno rispettare per non mancarvi di rispetto (ad esempio: “non permetterò a nessuno di dirmi parolacce, nemmeno per scherzo”). E poi aggiungete cosa risponderete nel caso qualcuno oltrepassasse i vostri confini (es. “risponderò: oh, ma come ti permetti!” oppure, simpaticamente “oh!, ma cosa sono queste confidenze?!”, ecc.).

Se a mancarvi di rispetto sono i figli, significa che non avete fatto loro comprendere che gli adulti siete voi e che loro sono tenuti ad osservare le vostre indicazioni/regole. Perciò, ristabilite i ruoli (in un prossimo articolo vi spiegherò come).

Se a mancarvi di rispetto è il partner, parlate chiaramente: fate presente che ha oltrepassato il limite. Non c’è bisogno di litigare, ma dovete avere ben chiaro che cosa non volete accettare e comunicarlo con calma e fermezza.

Prossimamente approfondiremo il tema del “rispetto”. Intanto vi lascio con questa frase:

“Se non si è convinti del proprio valore, non ci si farà mai rispettare: senza autostima non si va lontani. Dignità e autostima vanno di pari passo.”    Paolo Crepet

Lui delude le tue aspettative? Cambia tu!

Quante volte ci è capitato di essere arrabbiate col nostro partner, perché – secondo noi – non fa il suo dovere di padre o di marito?

Condividere la vita con un altro essere umano non è facile e spesso capita di sentirci frustrate perché “lui non ci arriva” a capire che deve contribuire, facendo la sua parte nell’accudimento dei figli, nei lavori domestici, nel fare la spesa…

Per carità, ci sono uomini che lo fanno, ma sono così pochi che – in quanto Life Coach – mi è più frequente ascoltare le lamentele di donne che sono allo stremo delle forze, piuttosto che lodi di mogli felici.

Mi viene in mente una cliente che lavora ed è mamma di due bimbi piccoli che non frequentano ancora la scuola primaria. Il marito lavora più ore di lei e quando torna a casa è stanco. Tuttavia si ritaglia degli spazi per rilassarsi o distrarsi con gli amici, mentre lei non stacca mai, passando dal suo lavoro a quello di mamma, di domestica, di cuoca e tanto altro. Lui pare non rendersi conto dei suoi sforzi e lei – quando è molto stanca – si accorge che le sue aspettative vengono costantemente deluse.

“Possibile che lui non voglia capire che il mio badare ai figli è un lavoro molto stressante? Perché non si rende conto che deve darmi una mano?!” dice seccata.

E ha ragione, perché i figli sono di entrambi e non solo delle madri.

Il fatto è, però, che non possiamo vivere in attesa che “lui” cambi: che si accorga delle nostre fatiche e decida improvvisamente di contribuire al 50%, come dovrebbe essere.

Sì, possiamo metterci a tavolino e parlargli, in modo da stabilire chi fa cosa…
Ma se lui è convinto di fare già tanto, solo perché lavora qualche ora più di noi… allora siamo noi a dover cambiare.

“Eh, già! Ma perché devo cambiare io, se il problema è lui?!” mi dice questa giovane donna.

E’ semplice, non ci sono grandi alternative: “Vuoi tenerlo questo marito o vuoi liberartene?” le chiedo volutamente in modo provocatorio.

E voi?

Se la risposta è “Ma stiamo scherzando?! Certo che voglio restare con lui!”, allora non c’è altro da fare che “cambiare”.

Siamo noi a dover definire ciò di cui abbiamo bisogno e a capire che possiamo soddisfare i nostri bisogni senza più aspettarci nulla (o quasi) dall’altro.
Il nostro scopo non dev’essere il lamento, ma l’azione.

Cosa possiamo fare concretamente per portare “solo” il 50 % del peso?

Farci aiutare da una babysitter? Trovare una collaboratrice per i lavori domestici? Cercare una persona che stiri al posto nostro?

Muoviamoci! Non perdiamo tempo ad arrabbiarci perché “lui” non fa il suo dovere!

Cambiamo approccio!

Proviamo a domandarci: “Se io fossi sola a crescere mio figlio, come mi organizzerei?”.

Lo so che la risposta che avete in mente è: “Ma io non sono da sola!” e avete ragione.

Tuttavia, continuando con questa convinzione che sia lui a dover cambiare, non arriveremo da nessuna parte.
Le convinzioni sono radicate e intestardirci di “voler cambiare l’altro” porta solo a frustrazione e conflitti.

Guardiamo avanti, perciò!

Cambiamo il nostro approccio al problema e la soluzione arriverà!

Coppie felici: meglio esprimere o tacere i propri sentimenti?

Paura, gioia, speranza, delusione, desiderio, solitudine…

I sentimenti che possiamo provare ogni giorno sono tanti: a volte arricchiscono la nostra vita, altre volte la rendono insopportabile.

Il fatto è che non possiamo “controllare” i sentimenti e quest’ultimi fanno ciò che vogliono: in un periodo sono estremamente intensi e in un altro vanno pian piano scomparendo.

Se noi parliamo di un certo sentimento (come la rabbia o la felicità), ne prendiamo la distanza;  se ci lasciamo travolgere, esso acquisterà forza.

E noi sappiamo bene che per far funzionare una RELAZIONE DI COPPIA, bisogna saper cogliere e ascoltare i sentimenti.

“ C’è differenza tra parlare di sentimenti ed esprimere i sentimenti ” dice un noto psicologo che se ne occupa da moltissimi anni (A. Vansteenwegen).

E ha proprio ragione, perché i sentimenti sono dei segnali molto forti in una relazione: ci dicono qual è il suo stato di salute e, se sono negativi, ci fanno capire che qualcosa va modificato.

Non dobbiamo avere “paura” di esprimere ciò che sentiamo, perché la paura non dà mai buoni consigli!

La questione , però, è: dobbiamo dirci “tutto” ciò che sentiamo oppure dobbiamo scegliere quali sentimenti esprimere e quali tacere?

In generale, è bene “non accumulare” troppi sentimenti negativi, perché poi arriva la goccia che fa traboccare il vaso e la nostra reazione sembra esagerata e fuori luogo.

Se sono irritata con il mio partner per colpa dei lavori domestici, è meglio dirglielo, ma senza arrivare alle liti. Di solito ci si accorda su “chi fa cosa” e quindi si può decidere di rivedere gli accordi.

In generale, poi, sappiamo bene che cosa rasserena il partner e che cosa lo fa imbestialire, perciò sarebbe meglio “prevenire che curare”.

Quindi, se conosco bene il mio partner e so che lo irrita tantissimo il ritardo perenne, eviterò di farlo aspettare.

Al contrario, se so che adora andare al cinema o a cena in un determinato ristorante, farò in modo di organizzare un’uscita che lo renderà felice.

Ma… è vero che bisogna dirsi tutto? Proprio tutto, per far funzionare la coppia?

Allora, reprimere i sentimenti fa male: porta persino a somatizzazioni!

Ma vivere con una persona che dà libero sfogo a tutti i suoi sentimenti… è un incubo!

Pensate a chi ha continui sbalzi d’umore, che spara a raffica frasi cattive oppure offensive solo perché “le sente in quel momento”… Viverci diventa davvero impossibile!

In questo caso, quindi, meglio non dirsi tutto ciò che proviamo, se non altro per il bene della nostra coppia.

Ma allora quando è meglio condividere i sentimenti che proviamo?

Vansteenwegen ci suggerisce di farlo quando abbiamo qualcosa che ci sta a cuore: se siamo dispiaciuti o delusi o temiamo per qualcosa.

In questi casi, non bisogna “fuggire”, ma esprimere “cosa c’è che non va”. In questo modo il sentimento che proviamo diventerà meno intenso e passerà prima.

Certo, se si tratta di un sentimento negativo di breve durata, possiamo anche non comunicarlo, perché passerà da sé. Ma se è costante, allora dobbiamo dirlo al nostro partner.

Molte persone invece nascondono i propri sentimenti negativi, li reprimono, li negano. Provano a far finta che non ci siano! Esprimerli, per loro, significherebbe mettere in pericolo la loro relazione.

Ma così facendo, si allontanano dal partner e si isolano.

Meglio trovare il momento adatto e dire al partner: “Quando ti comporti così… vado su tutte le furie!” oppure “Mi sento delusa…”, ecc.

In questo modo il partner dovrebbe rendersi conto che non si tratta di uno sfogo, ma di una cosa importante, anche se non possiamo pretendere che lui/lei “senta” ciò che sentiamo noi con la medesima intensità.

Eh, sì! Ci vuole una gran pazienza per far funzionare le cose! E anche una buona dose di autocontrollo!

E per aumentare i sentimenti positivi, bisogna creare dei… “ riti ”, come il pranzo della domenica, una passeggiata con tutta la famiglia (che unisce), un film guardato insieme, i lavori di manutenzione della casa condivisi o… un’uscita serale per stare un po’ soli.

I piccoli gesti delle coppie felici.

La psicologia positiva (quella su cui si basa il Coaching) e, in particolare, Gottman hanno scoperto che le coppie felici fanno determinate cose, per altro molto semplici.

Vediamo quali:
1) la mattina, prima di accomiatarsi, si informano su almeno una cosa che farà il partner durante il giorno (bastano 2 minuti);

2) alla fine della giornata di lavoro, appena si ritrovano a casa, parlano per 20 minuti di argomenti non stressanti (utili a “decomprimere”);

3) si manifestano affetto, stringendosi, abbracciandosi, baciandosi (il tutto con molta tenerezza);

4) durante la settimana, hanno l’abitudine di riservarsi almeno due ore per stare soli in un’atmosfera rilassata;

5) almeno una volta al giorno, manifestano al partner ammirazione e apprezzamento.

Inutile dire che tutte queste azioni sottintendono un reciproco coinvolgimento emotivo e affettivo.

Col passare degli anni, quando il rapporto rischia di diventare un po’ scontato, può essere utile ricordarsi di alcuni semplici gesti che fanno sentire all’altro che proviamo ancora un grande interesse per lui.

Sentirsi amati, considerati e apprezzati non è importante solo all’inizio del rapporto, ma sempre.